tag:blogger.com,1999:blog-46806099690390505312024-03-13T13:34:34.437-07:00Tracce VisibiliUnknownnoreply@blogger.comBlogger25125tag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-46293519311023115802019-12-30T15:21:00.002-08:002023-12-18T09:00:49.286-08:00Christoúgenna a Gozzano<div class="separator"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5NHcgniTSCHMo621keOBB2iKN-t4ll-VhxE9x5To0QuD2_EjB42xZNsFVe2nU7YTYNq0c02Gl_KZf0cg5-XSvg7AQ1TIlPHS_ycbGC8_Tbe_AR_sHkDmZE_23nsuJXoRllL-ZHCukvxUX0yi_sVfay9DttDWI01RWvGlxUg5uIQ92LX1ccCkM4ny75lMF/s819/Screenshot%202023-12-18%20175227.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="685" data-original-width="819" height="415" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5NHcgniTSCHMo621keOBB2iKN-t4ll-VhxE9x5To0QuD2_EjB42xZNsFVe2nU7YTYNq0c02Gl_KZf0cg5-XSvg7AQ1TIlPHS_ycbGC8_Tbe_AR_sHkDmZE_23nsuJXoRllL-ZHCukvxUX0yi_sVfay9DttDWI01RWvGlxUg5uIQ92LX1ccCkM4ny75lMF/w496-h415/Screenshot%202023-12-18%20175227.png" width="496" /></a></div></div></div></span></div><h2 style="text-align: left;"><span style="font-family: inherit;">Antivigilia, notte.</span></h2><div class="separator"><span style="font-family: inherit;">Mancavano solo due giorni a Natale, due giorni</span> ancora e anche il Natale dell’anno del signore 964 sarebbe stato alle spalle. Il primo a Gozzano. E anche l'ultimo, Dio volendo. Il giorno che aveva deciso di accettare quell’incarico in mezzo ai barbari del nord avrebbe dovuto rompersi una gamba, piuttosto. A mille leghe di distanza da Pavia, dai suoi affari, da tutta la gente che contava qualcosa in quello schifo di mondo che questo schifo di mondo stava diventando. Tre Papi in un anno, c’erano stati. E uno lo era stato due volte. E poi guerre e rivolte, Re e Regine che andavano e venivano, Ottone Primo che di tanto in tanto scendeva giù con i suoi eserciti a mettere a posto le cose come piaceva a lui, e tutti quanti poi tornavano a fare come prima non appena se ne era andato. Quelli rimasti vivi, quantomeno. Una leggera folata di vento freddo interruppe il corso dei suoi pensieri. E da dove veniva? Istintivamente si voltò verso il camino. Il fuoco si era spento. Doveva essere notte fonda ormai. Si alzò per andare a buttare un ciocco sulle braci, aveva ancora un po' di lavoro da fare. Un altro soffio di aria gelida lo fece sussultare. Scendeva dal camino. E c'era qualcosa d'altro che stava scendendo, se ne sentiva chiaramente il rumore, adesso.. Fece un passo indietro, mente i brividi di freddo si trasformavano in brividi di paura. Improvvisamente una mano artigliata, deforme, quasi scheletrica si sporse dalla cappa. Poi un altra. Poi con un tonfo sordo e una cascata di cenere e fuliggine, qualcosa precipitò pesantemente sulle braci spente. Quasi spente, in effetti. Si sentì un grido raccapricciante, poi una sagoma balzò fuori da tutta quella confusione mentre la stanza si riempiva dell’odore di pelo bruciato. Era un diavolo, e di quelli brutti. Magro come la fame, con un aspetto a metà tra un lupo ed una scimmia (e non è una combinazione facile, credetemi), ricoperto da una fumante pelliccia sudicia, avanzava lentamente su due gambe caprine che terminavano con i classici zoccoli fessi. A dire in vero, più che avanzare caracollava, anche se adesso sembrava dirigersi decisamente verso l’uomo che lo stava osservando terrorizzato. Corrado Langosco, così si chiamava il tipo, tentò di rinculare verso la parete, ma prima che riuscisse a fare un solo passo la porta alle sue spalle si spalancò con un botto e un uomo grande, grosso e barbuto entrò, anzi, irruppe nella stanza.</div>
“Si scansi!” gli gridò.<br />
“ Ma.. che.. “<br />
“Via dalla mia strada” intimò l’omone, sollevando minacciosamente la pesante scopa di ramaglia che brandiva come se fosse una spada. O forse una picca.<br />
Per quanto non direttamente interpellato, il diavolo si sentì in dovere di rispondere con un ringhio. Poi, spiccò un balzo con un’agilità ed una potenza del tutto inaspettate, schivò la ramazzata che era stata tentata ai suoi danni, passò sulla testa corazzata dell’omone, atterrò quasi sulla soglia e, prima che questi riuscisse anche solo a voltarsi nella sua direzione, rimbalzò fuori, nella corte, e svanì nella notte. L’omone accennò un breve inseguimento, più per dovere che per convinzione, poi lanciò un paio di altrettanto doverose imprecazioni nel buio e rientrò.<br />
“Tutto a posto? Non che siano veramente pericolosi, ma non si sa mai…”<br />
“Il diavolo! Era il diavolo quello!” strillò il tipo che veniva da Pavia con un tono un po’ più alto del necessario.<br />
“Beh, non proprio ‘il Diavolo”, ma piuttosto ‘un diavolo”. Un Kallikantzaroi.”<br />
“Un cosa?” ribatté l’altro che stava riprendendo coraggio..<br />
“Un Kallikantzaroi. Tecnicamente non sarebbero nemmeno dei diavoli poi, ma solo delle creature demoniache. E di seconda classe, per giunta, di quelle più fastidiose che dannose. Certo che sono brutti a vedersi, specie se uno non se lo aspetta.. A proposito, com’è che ha il fuoco spento? Non le avevano detto di tenere sempre almeno un ciocco vivo?”<br />
“Non è certo un gran consiglio, con questo freddo..”<br />
“Ma qui non è solo una questione di riscaldamento. Vabbè, quel che è fatto è fatto, adesso cerchiamo di tirare su queste fiamme…” gli porse la ramazza che stava ancora impugnando “tenga, l’ho trovata qua fuori nella corte e magari le può servire per mettere un po’ d’ordine.” Liberate le mani, gettò un bel po’ di legna sul fuoco chinandosi poi a soffiarci su come un mantice da fucina. Nel giro di pochi minuti le fiamme avvamparono alte e allegre a riscaldare stanza e cuori. “Ecco fatto, con un fuoco così stiamo tranquilli..” Improvvisamente scoppiò in una risata.. “Ha sentito come puzzava quando ci è passato a fianco? Sembrava un cinghiale scappato dallo spiedo..”<br />
Quasi inaspettatamente anche l’altro prese a ridere, ormai lo spavento era passato e al suo posto si stava facendo viva una certa curiosità.. “Già, immagino che sia corso dabbasso in palude a spegnersi.. Ma cosa diavolo, anzi, quale diavolo è questo Kaliza Kalikan.. Non riesco neanche a dirlo..”<br />
“Kallikantzaroi. Ci ho messo un bel po' anche io ad impararlo. Ma non c’è niente da bere qui?”<br />
“E come no.. Ho del Sangue di Giuda che viene dalle mie Vigne nel Pavese e che è indicatissimo dopo un colpo al cuore come questo. Probabilmente non lo conosce, ma.. “<br />
“Al contrario...” lo interruppe l’altro “per una ragione o per un altra ho vissuto parecchi anni a Pavia, ed il Sangue di Giuda lo conosco eccome. Va benissimo messer.. “<br />
“Langosco. E io chi devo ringraziare per avermi salvato la vita?”<br />
“Proprio lei cercavo! Beh, non è stato un gran salvataggio in fin dei conti. Come le dicevo queste bestiacce non sono veramente pericolose. Dispettose più che altro. Poteva svuotarle la credenza, questo sì. O farle ballare i piedi, magari. Ma niente di serio, non un Kallikantzaroi.”<br />
“Ma cosa sono? Me lo vuole dire una buona volta?”<br />
“Di preciso non lo so neanche io, ma ho un amico con cui potrà discuterne a piacimento domattina, se vuole. So che vivono sottoterra e divorano l’Albero che Sorregge il Mondo. A Natale, la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo rigenera l’Albero e allora questi si infuriano, salgono in superficie e si sfogano contro tutti quelli che trovano."<br />
“Ma non è ancora Natale.”<br />
“Ci ha fatto caso, vero? E’ che da qualche anno qualcuno viene fuori anche prima, probabilmente per portarsi avanti con il lavoro. Tanto già lo sa cosa deve accadere. Comunque, il giorno dell’Epifania si fa la Benedizione delle Acque e questo per qualche motivo li ricaccia tutti quanti all’Inferno per un altro anno. O qualcosa del genere”<br />
“Non ne ho mai sentito parlare, e sì che ho girato parecchio..”<br />
“Già, è che vengono dalla Grecia. Non credo che ce ne siano altri qui in giro.”<br />
“Dalla Grecia?”<br />
“Sì, avrà sentito parlare di San Giulio e San Giuliano, vero?”<br />
“Certamente. Quelli che hanno portato la parola di Cristo ai pagani che abitavano in queste lande selvagge e hanno costruito le Cento Chiese..”<br />
“Centouno. Ma, per favore, non definisca queste zone “selvagge” se vuole farsi degli amici, qui. Beh, comunque i due Santi venivano dalla Grecia, è possibile che se li siano portati dietro involontariamente. Oppure, e questo è come la penso io, li hanno semplicemente attirati dall’inferno che li ospitava: qui la terra è più profonda che in altri luoghi, e a volte succedono cose curiose. E parecchio. Il che mi riporta al motivo della mia visita.”<br />
“Pensavo fosse venuto a salvarmi..”<br />
“No, è stato solo un effetto collaterale. E poi, come le ho detto, i Kallikantzaroi non costituiscono un vero pericolo.”<br />
“E allora che vuole?”<br />
“Si metta comodo, che è una cosa lunga..”<br />
<br />
<h2>
Vigilia, in mattinata.</h2>
“E allora, come è andata?” domandò piuttosto bruscamente il Precettore.<br />
“Metà e metà.”<br />
“In che senso?”<br />
“Nel senso che non ho fatto nessuna fatica a spiegargli la nostra posizione. L’ho trovato con un Kalli in casa e quindi poco propenso allo scetticismo.”<br />
“Suppongo che questa sia la metà buona”<br />
“Precisamente. La metà cattiva è che non si vuole sbilanciare. Al principio non voleva neppure ammettere di essere un uomo dell’Imperatore.”<br />
“Poi ha cambiato idea?”<br />
“Più o meno. Gli ho mostrato la lettera di raccomandazione del povero Liudolfo, e non ha potuto certo far finta di nulla.”<br />
“Ti sei preso un bel rischio, Se fosse stato dalla parte del Re..”<br />
“Avevo una lettera pressoché identica siglata da Berengario.”<br />
“Buona come l’altra, immagino.”<br />
“Langosco era a Pombia la primavera dell’anno scorso. O con l’uno o con l’altro doveva stare: ho seguito il mio naso e c’ho preso al primo colpo”<br />
“Meno male, e speriamo che adesso non tradisca le nostre attese.”<br />
“Speriamo, comincio a essere stanco di tutta questa gente che va e che viene”<br />
“Si vede, sembri più brutto del solito, stamattina.”<br />
“Grazie, ma credo che sia solo per la nottataccia. E per il vino.”<br />
“Ah, quello. Si dice che il modo migliore per combatterlo sia di berne un altro po’.”<br />
“Non sai quante volte c’ho provato, e non ha mai funzionato. Beh, per quel che ho da perdere, tanto vale tentare ancora.”<br />
Si versò un boccale dalla caraffa che stava sul tavolo, ne bevve un sorso abbondante e lo risputò subito dopo, rumorosamente.<br />
“Aceto! Diavolo, e perché ti tieni una caraffa di aceto sulla credenza?”<br />
“Aceto? Non è aceto, è vino. E anche niente male..”<br />
Assaggiò e sputò a sua volta.<br />
“Aceto! Per la miseria. Colpa dei Kallikantzaroi! Maledette bestiacce! E dire..”<br />
Fu interrotto da una rumore furibondo di colpi alla porta.<br />
“E chi sarà mai, adesso?” Attraversò la stanza come una nube di tempesta, mentre il baccano al di fuori sembrava non voler diminuire.<br />
“Guardate, guardate qui!” sbottò il primo dei disturbatori, prima ancora che la porta si fosse del tutto aperta.”Maledette bestiacce, tutto il mio latte è andato a male. Colpa loro.” proseguì agitando una brocca che doveva probabilmente contenere il liquido in questione. “E le mie provviste per il pranzo di Natale? Sparite!!” Rincarò un altro che non agitava niente proprio perché niente gli era rimasto. “E io no trovato tutta la casa sottosopra e i mobili da buttare.”<br />
“E perchè lo venite a raccontare a me?” Domandò Lorenzo il Precettore.<br />
Ci fu un attimo di silenzio, poi qualcuno pensò a qualcosa che si potesse dire, e lo disse. “Perchè tu sei un uomo istruito e sai sempre cosa si deve fare.” “E conosci tante persone importanti..” “Sei una persona importante, addirittura.”<br />
“E anche perchè ormai vi siete abituati a lamentarvi con me, che tanto poi ci penso io.”<br />
“Allora ci pensi tu?”<br />
“Non ho detto questo!”<div>"Sì che lo hai detto!"</div><div>"No che non l'ho detto!"<br />
“Ma qualcuno lo deve fare, è una cosa importante” “Da domani i Kallikantzaroi piomberanno in paese a frotte, come ogni anno.” “E anche di più, visto che già ne sono arrivati così tanti”<br />
“Andiamo, andiamo, è una questione di pochi giorni dopo tutto. Fino all’Epifania, e poi spariranno per un altro anno, come è sempre stato…”<br />
“Ma nel frattempo le nostre feste saranno rovinate.” “Per non dire dei miei mobili.” “O del mio latte.” <br />
“Vabbè, vedrò che posso fare. Intanto tornate a casa, e tenete il fuoco sempre acceso. E’ ancora il sistema migliore..”<br />
Detto questo, arretrò di qualche passo e chiuse la porta tra sé e i postulanti.<br />
“E cosa pensi di poter fare? Se si può sapere..”<br />
Lorenzo sussultò. Poi la memoria riprese a funzionare. “Costantino! Mi ero scordato di te.. “<br />
“Beh, sono ancora qui. Hai qualche idea o hai detto tanto per dire?”<br />
“Ho più che un’idea. Abbiamo un piano. Andiamo a cercare Alexios, che te ne parlo.”<br />
<br />
<h2>
Vigilia, quasi mezzanotte. Praticamente Natale</h2>
“E’ tutto pronto, Costantino?”<br />
L’omone, che era risalito a passo spedito fin su al Castello, prese fiato un paio di volte prima di rispondere. “Tutto come hai chiesto. I focolari sono accesi, le strade e le abitazioni illuminate. Al primo rintocco tutte le case apriranno una finestra e non la richiuderanno finchè tutto non sarà finito.”<br />
“Splendido. Allora vado dai nostri piccoli amici.” Il piccolo frate si diresse verso gli alberi che si innalzavano appena oltre la Basilica. Le fronde, alla luce delle torce sistemate dagli uomini, sembravano quasi muoversi ed agitarsi di vita propria. Canti e richiami, quasi inquietanti nel buio della notte, si alzarono fragorosi al suo arrivo. Lui alzò le braccia invocando il silenzio, e in un attimo silenzio fu.. "Fratelli dalla coda rossa” chiamò con la sua voce da bambino. “Siate pronti. L’ora è vicina, siate pronti..“</div><div>
<br />
“Funzionerà?” domandò sottovoce Costantino a Lorenzo, che intanto li aveva raggiunti sulla spianata.<br />
“Certo che funzionerà. Alexios è Greco e di Kallikantzaroi ne sa sicuramente più di te e di me messi insieme. E poi dice che l’idea è in buona parte di Michele. Se non ti fidi di un Arcangelo..”<br />
“Detesto che continui a parlare solo con lui.”<br />
“Lo sai che è così che deve essere, ne abbiamo già parlato mille volte. Fa parte dei compiti del ragazzino, ed è uno dei mille motivi per cui è qui. E poi qualche eccezione l’hanno già fatta, a suo tempo.”<br />
“Sì, ma Alexios non ha neanche dieci anni.”<br />
“Forse. E forse no, il tempo ha probabilmente tutto un altro significato per lui.. Comunque ormai è troppo tardi per questi dubbi, facciamo la nostra parte e teniamo le dita incrociate. Al massimo faremo una figuraccia. Non sarà certo la prima.”<br />
“E neanche l’ultima, se è per questo. Alexios! Sei pronto?” chiamò.<br />
“Prontissimo.”<br />
“E allora cominciamo!”<br />
Una campana non molto distante e piuttosto vigorosa batté tre colpi. Al terzo rintocco Alexios alzò nuovamente le braccia al cielo e, in un sol colpo, centinaia, anzi, migliaia di piccoli uccelli si alzarono in volo dagli alberi che li avevano finora ospitati. Erano bruni, grandi più o meno come un passero ma più slanciati. Alcuni avevano capo e petto colorati di grigio scuro, quasi nero. Altri erano tutti di un semplice marroncino, che magari non era molto originale ma stava bene un po’ con tutto. Di notte non era facile distinguerne i particolari, ma una cosa era certa. Tutti, ma proprio tutti, sfoggiavano una vistosa coda rosso brillante, che, stranamente, in quel buio risaltava quanto e forse anche di più che alla luce.</div><div>
“Codirossi Spazzacamino” commentò Lorenzo, il Precettore, spinto forse dalla natura del suo mestiere. "Una scelta alquanto appropriata.”<br />
“In che senso?” domandò Costantino..<br />
“Ci sono diverse leggende che spiegano il colore della loro coda, e tutte quante implicano una loro certa dimestichezza con il fuoco. Il che, suppongo, tornerà utile questa notte..”<br />
I Codirossi intanto si erano sparpagliati nel cielo sopra Gozzano. A poterli seguire, avremmo visto ciascuno di loro entrare in una delle case dalle finestre aperte, caricarsi una piccola brace ardente sulla coda (che non sembrava risentire della cosa) e infine andare a posarsi su di un rametto di un grosso abete che cresceva ai margini della spianata della chiesa, proprio al di sopra del borgo. Ogni piccola brace trovava un altrettanto piccolo groppo di resina pronto ad accoglierla, e lì veniva depositata. <br />
“Avanti fratellini, avanti! Ci siamo, quasi!” incalzò Alexios che intanto si era spostato lì vicino. I codirossi risposero all’incitamento rivolgendo la coda verso la brace, allargandola a ventaglio e lanciandola infine in un frenetico movimento dall’alto al basso e viceversa. Colpito dalla corrente d’aria, il minuscolo tizzone si ravvivò e riavvampò, combinandosi con la resina che lo alloggiava. Una piccola ma ben visibile fiammella si alzò da un rametto. Poi un altra. Poi cento. Poi mille, ed infine millemila. L’intero abete ora scintillava come un cielo di stelle, come.. come un Albero di Natale. Le campane suonarono a festa e, la gente scese per strada radunandosi in piazza e su, al castello, per ammirare questa nuova meraviglia.<br />
Improvvisamente un ululato a metà tra un lupo ed una scimmia (e non è una combinazione facile, credetemi) risuonò dai tetti di una delle case del paese. Quindi la sagoma di un Kallikantzaroi si stagliò contro lo sfondo della luna ancora bassa sull’orizzonte.. Ululò una seconda volta, poi si stese in tutta la sua altezza e puff, svanì in una insignificante nuvoletta di fumo. Ne apparve un altro: puff. Poi, puff, puff e puff ancora puff: in un attimo tutti i Kallikantzaroi svanirono nel nulla. Presumibilmente “tutti”, perchè ad un certo punto cessarono di apparire e poi scomparire.<br />
“Hai visto che ha funzionato?”<br />
“Mai dubitato.” ribatté Costantino, con convinzione.<br />
“Avete visto? Puff, e sono spariti! Ha funzionato!” irruppe Alexios prima che Lorenzo potesse anche solo provare a rispondere.<br />
“Bravo ragazzo” replicò Costantino. “Adesso il problema sarà rifarlo tutti gli anni.”<br />
“Pensavo, piuttosto, di chiedere a tutte le famiglie di costruirne uno più piccolo, da tenere in casa. Potrebbe andare bene?” intervenne Lorenzo.<br />
“Ma certo. Basta che ce ne sia uno in paese, questo è quanto abbiamo concordato con Michele. Le dimensioni non contano.”<br />
“Come ‘le dimensioni non contano’? E allora perchè abbiamo mobilitato tutto il paese per costruire questo colosso?”<br />
“Beh, perchè così grande è più bello, non trovi?” detto questo il ragazzino saltò al collo del Precettore. “Buon Natale, Lorenzo. E buon Natale anche a te, Costantino.. Buon Natale a tutti!”<br />
<br /><br /></div><div>E anche buon anno, aggiungo io in qualità di autore, visto che questa volta il racconto di Natale è arrivato quasi a Capodanno. E buone feste, fin che ce ne rimango da festeggiare. E buon 7 di gennaio agli gli amici di Gozzano, per cui c’è anche San Giuliano.<br />
<br />
Christoúgenna a Gozzano <span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;">by </span><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html" style="background-color: #fff9ee; color: #888888; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px; text-decoration-line: none;">Fabrizio Burlone</a><span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;"> is licensed under a </span><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/" style="background-color: #fff9ee; color: #888888; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px; text-decoration-line: none;"><u>Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</u></a><span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;">.</span><br />
<span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;">Permissions beyond the scope of this license can be requested at birdcosi@yahoo.it</span><br />
<div>
<br style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px;" />
<a href="http://lh5.ggpht.com/-C0XOup01E3M/UNhlcwvVHbI/AAAAAAAAEjM/OfU2Kg8SB4g/s1600-h/image%25255B2%25255D.png" style="background-color: #fff9ee; color: #888888; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px; text-decoration-line: none;"><img alt="image" border="0" height="35" src="https://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" style="background: none rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-shadow: rgba(0, 0, 0, 0.1) 1px 1px 5px; display: inline; padding: 0px 0px 5px; position: relative;" title="image" width="92" /></a></div>
</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-856533428124935662018-02-14T06:47:00.001-08:002018-02-14T06:51:13.120-08:00Il pan dei merli, vale a dire la vera storia del Panettone.<span style="font-family: "georgia";"><img alt="Pan dei merli 2" height="480" src="https://lh6.ggpht.com/-EDYVdydbxtU/UNhlbmNL4UI/AAAAAAAAEjE/F1ZiWtrhb6E/Pan%252520dei%252520merli%2525202%25255B8%25255D.jpg?imgmax=800" style="display: inline;" title="Pan dei merli 2" width="579" /></span><br />
<h2>
<span style="color: purple;">Il pan dei merli. </span></h2>
<h2>
<span style="color: purple;"> </span></h2>
<h2>
Natale</h2>
<span style="font-family: "georgia";">Toni
inspirò con forza l’aria carica di sapori che saliva dalla cucina. Lo
faceva tutte le mattine mentre scendeva dalla stanzetta in cui dormiva
con gli altri sguatteri. Era più forte di lui: era come fare colazione
in anticipo. Sapeva benissimo che gli altri ragazzi lo prendevano in
giro per quello, per quello e per l’espressione di meraviglia che gli si
dipingeva sul viso ogni giorno quando finalmente varcava la soglia
delle Grandi Cucine. Lo facevano anche i cuochi, anche il capo cuoco
qualche volta, ma solo per scherzo. Loro erano tutte persone importanti,
sempre indaffarate a lavorare e a dare ordini. Taglia questo, pela
quello, pulisci di qui, pulisci di là. E non andava mai bene niente a
sentir loro, si poteva sempre fare di meglio e in minor tempo. Ma a lui
era troppo contento al momento per prendersela per tutte quelle
ramanzine. Era la mattina di Natale e lui era nel posto più bello del
mondo. Cosa avrebbe potuto chiedere di più? Uno degli aiutanti gli
sbraitò qualcosa sul “restare imbambolati” e poi proseguì per la sua
strada, in altre faccende affaccendato. In effetti non c’era tempo da
perdere, oggi. La notte prima era anche dovuto scappar via dalla Veglia
di Natale per poter dormire qualche ora prima di presentarsi in cucina,
ma Padre Giovanni si era detto d’accordo e di conseguenza doveva esserlo
stato anche il Padreterno. Per fortuna, o di proposito, la chiesetta
riservata alla Servitù non distava molto dal Palazzo (anche se era un
tantino “fuori mano”) e allora eccolo qui adesso, bello fresco e
riposato. E affamato. Raccolse qualcosa da mettere sotto i denti lungo
la via che portava al suo angolino privato, proprio a fianco di una
grande credenza ormai in disuso. Gli si fermò quasi il cuore nel vedere
che questa mattina anche quella era stata ripulita e adoperata. In
parte, almeno. Aprì lo stipetto di mancina, temendo quello che avrebbe
potuto scoprire. Il suo segreto era ancora lì, meno male, proprio dove
lo aveva messo lui, intatto. Solo un bel po’ più grande, ma quello se lo
aspettava. Nessuno si era accorto di niente (che fortuna), quindi
richiuse il tutto, prudentemente. Un cuoco finalmente lo notò,
trovandogli immediatamente qualcosa da fare. Toni si prese al volo un
altro po’ di colazione e attaccò il lavoro, fischiettando. Era proprio
contento, oggi. Solo l’estate prima, chi avrebbe mai detto che lui,
proprio lui, sarebbe diventato un giorno uno degli sguatteri di cucina
del Duca Ludovico Sforza detto “il Moro”? Una posizione invidiabile, a
dir poco. Certo che, a pensarci, i casi che lo avevano portato fin lì
erano stati a quantomeno bizzarri. Tutto era cominciato su, verso la
Martesana, dove la sua famiglia viveva facendo quello che più o meno
facevano tutti da quelle parti, vale a dire la fame..</span><br />
<br />
<h2>
Luglio</h2>
<span style="font-family: "georgia";">Da
quando erano cominciati i lavori per le nuove conche, a bazzicare il
Naviglio e gli Approdi non era poi così difficile trovare un lavoro
giornaliero. Però, bisognava farsi trovare al posto giusto nel momento
giusto, accattivarsi la simpatia di barcaioli, capimastri, carrettieri e
quant’altri, guadagnarsi la loro fiducia. Poi c'era da darsi da fare,
lavorare sodo e lasciare una buona impressione, perchè per uno che
veniva preso ce ne erano sempre due che restavano fuori. Oggi a me
domani a te, dicevano gli uni agli altri, ma Toni aveva scoperto in
fretta che con un po' di impegno si riusciva a mangiare tutti i giorni,
o quasi. Lui ci riusciva, almeno. La cosa peggiore, comunque, era il
dover aspettare in riva alla Martesana: una noia mortale, non c’era mai
niente da vedere lì, mai niente da fare. Anche per quello,
probabilmente, uno degli altri ragazzotti si era portato dietro la
fionda del fratello e adesso si stava divertendo a tirare i sassi contro
i legni dall’altra parte del canale.<br />“Così son capaci tutti, ci vuole un bersaglio più difficile” lo sfidò un suo compare.<br />“E quale, se ne vedi?” rilanciò il fromboliere.<br />“Quelle Rondini lassù. Riesci a prenderle?”<br />Tutti quanti rivolsero lo sguardo verso il cielo. Appena visibili, in alto, le Rondini volavano come il vento.<br />Senza
troppa convinzione, il ragazzo montò una pietra nell’attrezzo, lo roteò
un paio di volte con una certa abilità e infine scagliò il proiettile.
Che passò a un miglio di distanza dal suo bersaglio per poi sparire
rapidamente alla vista del lanciatore ed atterrare chissà dove.<br />“Impossibile” dichiarò questi.<br />“Se non sei capace..”<br />“Non
è che non sono capace. E’ proprio che è impossibile. Provate voi a
mano, se non ci credete. Sopra alla roggia ce ne sono un sacco che
volano basse. Provate. Se riuscite a prenderle almeno una mi rimangio
quello che ho detto. E ci metto anche la fionda, sopra. Contro niente.”<br />Spronato
dalla sfida e dalla posta in palio il gruppo corse verso la Martesana,
armato di sassi, ciottoli e pietre varie. La sassaiola partì micidiale,
per venire interrotta bruscamente alla terza o quarta salva dalle
bestemmie di un barcaiolo di passaggio che si era trovato
involontariamente a ridosso delle traiettorie dei più scriteriati. I
ragazzi ruppero le righe dandosi ad una fuga a dir poco precipitosa, e
senza aver fino a quel punto raccolto alcun trofeo.<br />“Sciocchi” commentò Toni dall’approdo da dove aveva osservato la scena. “E poi quelle non sono neanche Rondini, sono Rondoni.”<br />“E
quale che sono le differenze, ragazzo?” gli domandò un tizio che si era
fermato accanto a lui a guardare. Toni si voltò, incuriosito, a
scrutarlo. Non ci aveva fatto caso subito, ma era proprio quell’omone
che si era visto in giro di recente da quelle parti a controllare il
canale. Prendeva misure, disegnava appunti su di un taccuino che si
portava sempre appresso, raccoglieva pezzi di terreno di riva, faceva
domande agli operai e ai capimastri. Doveva essere un gran signore, a
giudicare dalle vesti e dagli ornamenti. E un gran sapiente: barba e
capelli lunghi, aspetto imponente, sembrava proprio uno dei Re Magi come
li aveva visti ritratti sulla pala di Sant'Eustorgio qualche tempo
addietro, in città. E poi lo aveva notato spesso e volentieri anche più a
valle, dove c’era la testa dei lavori, intento a parlare fitto fitto
con ingegneri e direttori che parevano prendere assolutamente sul serio
di tutto quello che lui diceva, senza discussioni. Da non crederci. A
volte arrivava con un codazzo di ragazzi e nobiluomini e sembrava tenere
lezione, o illustrare un’idea. E adesso stava chiedendo una cosa
proprio a lui.. Che strano accento, però.<br />“Le differenze sono
parecchie, Messere” rispose senza esitazione. “In volo, il rondone è più
grande di quasi un palmo, e soprattutto ha una forma inconfondibile, di
una falce senza il manico o di uno spicchio di luna, se preferisce.
Testa e coda si notano appena ed è tutto scuro, a parte la gola che è
invece chiara, quasi bianca. Ma non è facile da notare quando stanno in
alto. La rondine invece ha una coda lunga lunga, fatta come la forcella
di un ramo, la pancia è bianca e gola e parte del capo attorno al becco
sono tinte di un rosso scuro, come quello di un mattone. E poi volano
in modo completamente diverso, la rondine è più agile, più mobile..”<br />“Aspetta
che ti mostro una cosa, allora..” Il signore gli aprì davanti il
taccuino e prese a sfogliare le pagine. Toni scorse di sfuggita immagini
di strane macchine, di parti anatomiche, di volti, di figure di cavalli
parziali e intere, il tutto immerso in una strana calligrafia
illeggibile (e lui sapeva leggere, appena appena ma lo sapeva fare) che
sembrava occupare qualunque posizione disponibile sulla pagina. “Ecco!”
esclamò alla fine l’uomo. “Questi che sono, secondo te?” <br />"Rondoni.
Vedete qui come l'ala è così robusta e comunque sottile e slanciata?
Questo con la pancia bianca poi deve essere un Rondone Maggiore, il più
grande e il più potente di tutti." Toni si soffermò ad ammirare le
figure che sembravano volare sulla carta davanti a lui. "Certo che Voi
siete proprio bravo a disegnare, sapete?" dichiarò alla fine. "Anche se
tutto questo dettagliare di ali dritte e piegate, chiuse e aperte,
vicine e lontane mi sembra in fondo più difficile che bello. Avete mai
pensato di fare qualche ritratto? O qualche pittura di Santi o di
Madonne? Da quanti ne vedo nei palazzi e nelle chiese mi viene da
pensare che ci sia richiesta, e magari uno bravo come Voi potrebbe anche
ricavarci qualcosa." <br />"In effetti qualche cosa l’ho fatta, anche"
dichiarò l'altro candidamente, "Ma in fin dei conti io mi vedo più come
un costruttore che come un artista, e questi schizzi qua sono giusto
degli appunti per dei progetti che c’ho in testa.. Nulla di preciso
ancora, ma un domani chissà... E tu, piuttosto, come l’è che sai tutte
codeste cose sulle Rondini?"<br />"Sulle Rondini e su gli altri uccelli"
dichiarò il ragazzo. "Mio padre coltiva il Gelso, su a Concorezzo, e io
gli do una mano. O meglio, dovrei dire 'gli davo', visto che adesso con
tutto questo parlare di guerra che si sta facendo si è fermato tutto
quanto ed è rimasto senza lavoro."<br />"A me lo dici, ragazzo. Io c'ho
rimesso un cavallo e cento tonnellate di bronzo per questa guerra che
non l’è nemmeno ancora cominciata. Mi spiace per il tuo babbo, comunque.
Ma sono certo che si ripiglierà in fretta, il gelso ha un futuro qui a
Milano. Ci potrei anche scommettere."<br />Toni non aveva capito un
granché della cosa del cavallo, ma lo prese come un augurio di buona
fortuna. "Grazie”rispose quindi educatamente. “E’ quel che dice anche
lui. Nel frattempo bisogna pur mangiare, però.. A proposito, non è che
Voi, che mi sembrate un gran signore, avreste qualche cosa da offrire a
un giovane di buone speranze che sa tante cose sugli uccelli?"<br />Il Gran Signore parve un poco imbarazzato dalla richiesta. "Non so quanto denaro abbia dietro, ma posso vedere.."<br />"No,
no" si affrettò a chiarire Toni. "Intendevo un lavoro, non un
elemosina. Non è che mi dispiaccia darmi da fare ai cantieri, ma oggi ti
pigliano, domani non ti pigliano, dopodomani chissà. Sto cercando
qualcosa di più stabile. Le braccia le ho buone e la fatica non mi
spaventa. Che dite?"<br />L'altro ci pensò su un pochettino. "E’ che al
momento non saprei per cosa prenderti, ragazzo" dichiarò alla fine. “Di
questi tempo ho più gente da pagare che lavori da portare avanti,
perdiana, e pure a me mi tocca di campare alla giornata, ormai. D'altra
parte..”<br />"D'altra parte..." incalzò il ragazzo.<br />"D'altra parte,
l’è un po' di tempo che ho messo gli occhi su di una bella vigna dalle
parti di Porta Vercellina, giù in città. E' del Duca, e l’è tenuta
proprio maluccio in fin di conti. Non penso che se ne avrà a male se
gliela sistemiamo noi un tantino. Dai miei vigneti, nel Montalbano, di
vino buono riesco sempre a tirarne fuori parecchio, perbacco. Poi, a
cose fatte, magari si riesce anche a fargli metter giù un contrattino.
Dove il vino l’è bono la gente è felice, diceva il mio babbo. Facciamo
così: domani mattina devo andare a Santa Maria delle Grazie, per vedere
di un lavoro nel refettorio. Se ti fai trovare lì un po’ dopo i
mattutini, poi si va a dare un'occhiata. Va bene?"<br />Per tutta risposta
il ragazzo sputò sul palmo e lo porse per la stretta, come da
tradizione. Leonardo da Vinci sputò a sua volta e accettò l'invito, e
così il patto fu suggellato. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"> </span><br />
<h2>
Ottobre</h2>
<span style="font-family: "georgia";">E così erano passati tre mesi. <br />Il
lavoro alla vigna era partito subito, ed era partito bene per giunta:
Leonardo si faceva vivo quasi quotidianamente per mostrare cosa andava
fatto e cosa no, e lui metteva in opera.<br />Non solo mangiava due volte
al giorno, perfino tre di tanto in tanto, ma riusciva anche a portare a
casa dei bei soldi per la famiglia. E' vero che la strada da fare tutti i
giorni avanti e indietro era lunga e costava un bel po’ di tempo (e un
bel po’ di scarpe), ma il lavoro andava preso dove te lo davano, diceva
sempre suo padre. Ai suoi tempi era anche peggio, aggiungeva. Brav'uomo
il papà del Toni. Delle volte scendeva anche lui giù in vigna a dare una
mano al figlio. Così, senza chiedere alcun compenso. E allora Leonardo
aggiungeva qualcosa al salario di Toni, di nascosto quasi. <br />Col
passare del tempo Toni aveva insegnato al Gran Maestro tutto quel che
sapeva sui suoi uccelli e sulle loro abitudini, di come riuscissero a
procurarsi il cibo o un posto per fare il nido, di come alcuni
passassero tutta la loro esistenza da soli o quasi e altri al contrario
preferissero riunirsi in grandi gruppi nei boschi sugli argini o nei
giardini. Di come alcuni arrivassero d'estate e partissero d'inverno
mentre altri sembravano piuttosto seguire un percorso inverso e altri
ancora si potevano invece vedere tutto l'anno, anche se magari non erano
davvero sempre gli stessi. E poi gli aveva raccontato tante e tante
altre cose. Leonardo sembrava particolarmente interessato ai Grandi
Volatori. Le Rondini ed i Rondoni come abbiamo già visto, e poi i
Falchi (il Gheppio, il Grillaio, il Lodolaio e lo Smeriglio, che lui
chiamava genericamente "falchetti", e anche il Pellegrino, il Nibbio,
l'Astore o lo Sparviere che rientravano invece nella categoria dei
"falchi" vera e propria). Le Aquile (che comprendevano anche Bianconi e
Poiane), gli Avvoltoi, i Gabbiani e le Sterne (e anche qui ci sarebbe
stato da fare un bel po' di distinguo). Era incredibile, ad ogni modo,
quante cose già sapesse il suo padrone sull'argomento. Solo che era un
sapere molto particolare, quasi chirurgico. Se conosceva benissimo, a
menadito si potrebbe dire, l'anatomia di praticamente tutti i tipi di
ala o la struttura di tutti gli ordini di penne e di piume, ben poco
sapeva invece degli usi e dei costumi dell'uccello che le impiegava o le
indossava. O perchè portasse un certo colore piuttosto che un altro o
anche solo dove e quando lo si potesse incontrare o vedere "all'opera",
per così dire. Tutte quelle cose, insomma, che facevano parte del comune
sapere di chi viveva in campagna, fosse per evitare un danno al
raccolto o per riempire un paniere. Perchè di quei tempi, non
dimentichiamolo, gli animali erano anche cibo o denaro. <br />Fu durante
quelle lunghe chiacchierate sull'argomento che i due se non diventarono
proprio amici (non era il caso), costituirono quantomeno un solido
legame tra loro. Legame destinato a proseguire anche quando, con
l'arrivo dell'inverno, i lavori alla vigna subirono una drastica e
deludente interruzione. La vendemmia non era andata benissimo, Leonardo
se lo aspettava: fretta e vino buono non erano mai andati d'accordo. Ma
il Duca, che non era uomo di pazienza, aveva presto perso interesse
nella cosa e conseguentemente aveva anche chiuso i cordoni della borsa.
Il Maestro non se l'era presa più di tanto, comunque.. "E poi" aveva
detto a Toni, "quelli che ce l'hanno in mano adesso più che andar di
male in peggio non possono. Dai tempo al tempo e finirà che gliela
piglio io per un pezzo di pane, vedrai"<br />"Sì, ma intanto io che faccio?" gli aveva domandato quello.<br />"Qualcosa troveremo. Vieni da me in bottega, domani, e si vedrà."</span><br />
<span style="font-family: "georgia";"> </span><br />
<h2>
Novembre</h2>
<span style="font-family: "georgia";">Non
è che a Toni non piacesse il nuovo lavoro, è solo che gli sembrava un
fattoapposta. Messer Leonardo lo aveva affidato al giardiniere perchè
"Il ragazzo gli desse una mano, che l'era bravo..". Solo che il
giardiniere di mani ne aveva già due, e gli bastavano e avanzavano. Due
mani ciascuno avevano anche quelli del laboratorio, e tutte due destre
per giunta. Il Signore, invece, a lui aveva assegnato due sinistre. Non
so se mi spiego...E allora tutto quel che riusciva a fare era di dare un
aiutino qua, un aiutino là, vai prendere questo, vai a pigliare
quell'altro, fammi questa commissione per favore, vai a parlare con
tizio, vai a chiamare caio eccetera. Ma non era un lavoro per davvero.<br />Meno
male che c'era la cucina, anzi, meno male che c'era donna Maturina, in
cucina. Perchè se c'era un'altra cosa che lui sapeva fare bene per
davvero, beh, quello era preparar da mangiare. Non che ci avesse
studiato, o fosse uno di quelli che nascono già imparati. E' che gli
piaceva, e allora guardava l'arte e la metteva da parte. Nonna e mamma
erano sempre state dei fenomeni a mettere su un pranzo da signori con
con quel poco che avevano a disposizione. Il papà di uno dei suoi amici,
poi, aveva una trattoria dalle parti di Crescenzago, appena dopo il
giardino dei Berra. C'era sempre un gran via vai da quelle parti, e
anche lui qualche volta era andato lì a dare una mano. In amicizia, si
intende, in cambio di un pasto caldo. Il loro cuoco era proprio bravo,
però, e gli piaceva tanto chiacchierare. Così lui passava sempre più
tempo in cucina a guardare quello che si faceva che ai tavoli a
lavorare. In amicizia, si intende. Anche con donna Maturina, la cuoca
favorita di del suo padrone, le cose si erano messe bene fin da subito. A
quella piaceva "provar di cose nuove", diceva, e al Messere di far da
cavia non garbava affatto. Ecco, allora, che il palato di Toni tornava
buono ad entrambi. Il ragazzo, in più, aveva del talento di suo, e
spesso riusciva a suggerire idee e soluzioni che poi, messe giù come si
deve, facevano presto a trovare il loro posto sulla tavola.<br />Fu
Madonna Cecilia, mentre posava con il suo gatto in braccio, a spingere
il suo destino proprio in quella direzione. "La curi tu anche
quest'anno la festa di Natale a Palazzo, Leo?" domandò così, a sorpresa.<br />"No, mia cara. Io e il tuo Duca non si è proprio in ottimi rapporti, sai?"<br />"Ancora per quella cosa del Cavallo?"<br />"Sì e no, adesso c'è anche una vigna in ballo. E il mio Cavallo non era cosa dappoco, ad ogni buon conto."<br />"Si, ma se non la fai tu la farà Ranieri, e sarà un disastro."<br />"Ranieri l'è un ottimo Maestro di Cerimonie, ha lavorato anche a Ferrara, dagli Este.. "<br />"Che ce l'hanno prestato senza battere ciglio.."<br />"Mah, non sarà che a te tutto quello che sa di Este ti va di traverso?"<br />"Ma cosa dici, Leo? E' che con te è tutta un'altra cosa. Come dite a Firenze? Tu giochi in un altra categoria."<br />"Lascia
stare il calcio, ragazza. E vedi di stare ferma, piuttosto, che se no
il quadro mi viene mosso. Vedrò quel che riesco a fare. Ma di più non
chiedermi, che non m'impegno."<br />"Non un gran che, ma già meglio di
niente. Ne riparleremo. Ma il ritratto me lo stai facendo con il gatto o
con qualche altro bestia di tuo gusto come le altre volte? Perché a me
piacerebbe avene anche uno con Micio."<br />"Ferma donna! E taci adesso, che l'arte l'è al lavoro.."</span><br />
<span style="font-family: "georgia";">Fin
da bambina, o quasi, la futura contessa Cecilia Gallerani si era
ricavata un posto particolare nel cuore del Grande Maestro, che non
sapeva proprio dirle di no. E poi, sotto sotto, anche lui pensava più o
meno lo stesso del Ranieri. Però, dato che al momento il Moro avrebbe
dato retta più facilmente al gatto di Cecilia che a lui, questa
volta se la doveva giocare di rimbalzo. <br />Nei mesi scorsi aveva
imparato ad apprezzare lo spirito e l'intelligenza del suo attuale aiuto
cuoco e tuttofare. Se fosse riuscito ad piazzarlo in cucina dal Duca
avrebbe avuto anche lui occhi e orecchie sul posto, e una testa di cui
potersi fidare per prendere delle iniziative casomai fosse servito.
Quindi scese in cucina a parlarne con Toni, che apprezzò subito l'idea
fino a mostrarsene addirittura entusiasta. Era un lavoro vero stavolta, e
da farsi in nome e per conto del Maestro per giunta. Come una specie di
emissario, un congiurato, un complice perfino. "Emissario" suonava
meglio però, molto meglio. "Mi raccomando" concluse Messer Leonardo.
"Occhi aperti e bocca chiusa. E spirito della cosa, ben inteso, che non
penso di poterti fare entrare ai piani alti. Come aiuto, forse, o
sguattero anche."<br />"Magari.." commentò Toni, che già non vedeva l'ora. <br />"Fammi
sapere tutto quel che capita, e.. Ma che l'è questo?" mentre stavano
parlando Leonardo aveva preso a sgranocchiare una specie di panetto
dolce che Toni stava mettendo via..<br />"E'.. è il pan dei Merli" rispose
il giovane un tantino imbarazzato. "Ma non è per voi, Signore.. Lo
faccio per gli uccelli del parco, ne vanno matti." <br />"Ecco dov'è che finiscono i miei soldi, dunque. In pasto alle bestie." protestò il Maestro per burla..<br />"Ma
no, ma no, Signore.." tentò di giustificarsi Toni. "Lo faccio con quel
che resta in fondo alle stoviglie e alla credenza. Briciole di canditi e
rimanenze di uva passa per il pane dolce. Gli avanzi delle uova, i
fondi del burro e dello zucchero, un po' di lievito e poco altro.."<br />"Per
esser fatto di cosa da poco, l'è bono. E parecchio. Perdici su
dell'altro tempo, ragazzo, quando puoi. Vale più di qualcosa, secondo
me.." E, raccolti gli ultimi pezzi del Pan dei Merli, il Maestro tornò
verso i suoi alloggi lasciandosi dietro un Toni intento a chiedersi se
avesse ricevuto dei rimproveri o dei complimenti.</span><br />
<span style="font-family: "georgia";"> </span><br />
<h2>
Natale</h2>
<span style="font-family: "georgia";">Per
farla breve, la festa del Ranieri si dimostrò decisamente al di sotto
delle aspettative già in fase di preparazione. Di conseguenza, e anche
per far cessare le proteste di Madonna Cecilia, il Duca fu costretto
(suo malgrado) a rivolgersi a Leonardo. Che non solo si dichiarò più che
propenso a subentrare al posto del Maestro di Cerimonie uscente (fu
opinione comune che Madonna Cecilia doveva entrarci in qualche modo
anche in questo), ma si rivelò anche decisamente ben informato sui fatti
trascorsi e con due o tre idee per rimetter le cose in carreggiata già
bell’e pronte. Non per nulla era l’uomo più brillante dei suoi tempi.
Anche a passaggio di consegne avvenuto, però, Toni restò al suo posto a
fare da quinta colonna. Il che ci riporta alla cucina del Duca ed al
Pranzo vero e proprio. <br />Mentre la servitù proseguiva il suo viavai
senza sosta da e verso il salone dei banchetti, sui fuochi friggevano le
frittelle e ribollivano le minestre, arrostivano le carni e cuocevano i
pasticci. Leonardo aveva arricchito il menu con due ricette nuove
nuove create apposta per celebrare la prosperità del Ducato: il risotto
d’oro e la costoletta impanata. Che, cotta al punto giusto, mostrava
anch’essa il colore del metallo più prezioso. Il tutto annaffiato da
litri e litri di buon vino, ma buono per davvero, non come quello della
vigna del Duca. In totale, i commensali si stavano divertendo, anche i
piccoli spettacoli a tema pensati per riempire i tempi morti tra le
portate erano stati più che apprezzati e tutto sembrava andare per il
meglio. Ecco perché Leonardo si sentiva inquieto. Ed ecco perché quando
la catastrofe avvenne il Genio si sentì in un certo qual modo perfino un
po’ sollevato. Cosa era successo? Presto detto. Mentre tutti erano
concentrati sul Fagiano Stufato in pignatta o indaffarati con gli
Gnocchi di Pane, il dolce principale del pranzo nonché il preferito del
duca, la Torta di Ceci Rossi, era bruciato.<br />“Bruciato?” sbottò il Maestro “E chi l’è stato a farlo bruciare?” <br />Uno
dei cuochi fece un passo in avanti. Provò a dire qualcosa, forse una
scusa o forse il nome di un altro, ma tutto quello che riuscì ad
emettere fu un flebile gemito. Poi rientrò nei ranghi, senza aver
chiarito alcunché. “Va bene, va bene. Non importa, ora. Chi l'è che sa
mettere insieme qualcosa con quel che abbiamo?”<br />“Una torta di riso?” propose uno .<br />“Ci vuole troppo tempo” obbiettò un altro.<br />“La ripiena di pere?” fu la proposta successiva. <br />“Le pere ci sono, in dispensa fuori mi pare. Ma va fatta freddare, poi.”<br />“Pancristiano?”<br />“Per il Duca? Ma scherziamo?”<br />“Bello caldo, con zucchero e cannella è squisito..”<br />“Ma non per il Duca, perbacco.” <br />“E il Pane dei Merli?” <br />I
cuochi si guardarono intorno, alla ricerca del titolare della voce che
aveva parlato e che sembrava provenire dalle retrovie. Leonardo avanzò
in quella direzione e alla fine si trovò faccia a faccia con Toni,
mentre tra gli astanti si alzava qualche risatina di scherno nei
confronti dello sguattero che aveva osato prendere la parola. Il Maestro
le zittì con un gesto. <br />“Ne hai di pronto?” <br />Toni annuì. “Parecchio. L’avevo fatto per gli uccelli del parco del Castello, che sono tanti..”<br />“E va bene per un Duca?”<br />“Ci
ho lavorato molto, come mi avevate suggerito. E adesso direi che è
pronto per qualsiasi tavola. Con tutta la roba buona che c’è qui, poi,
Vi assicuro che viene particolarmente bene.”<br />“E allora facciamolo!”
decise Leonardo, senza esitazione. “Voi, laggiù. Seguite il ragazzo e
fatevi dare il suo dolce. E voialtri preparatevi a portarlo in tavola.
Avanti, diamoci da fare, che non c’è tempo da perdere.”<br />Sconcertati
dallo sviluppo degli eventi, e anche un tantino intimoriti da quello
sguattero che sembrava essere così in confidenza con il Gran Maestro,
cuochi e servitori scattarono al lavoro senza fare altre domande. “Va
scaldato un attimino, prima. Così si ammorbidisce” avvertì Toni.<br />“E
scaldatelo, allora! Siete sordi, forse? Muoversi, marmaglia, muoversi!”
sbraitò il capocuoco, perché da che mondo e mondo i capocuochi
sbraitano, anche solo per marcare un punto.</span><br />
<span style="font-family: "georgia";">La
cucina taceva. I fuochi tacevano. Non volava una mosca, forse anche
perché era dicembre. Poi, uno dei servitori irruppe dalla sala,
affannato. Leonardo, preoccupatissimo, lo intercettò a mezza via. “E
allora?” gli domandò di un fiato. L’altro faticò un attimo a
riprendersi, infine rispose con un sussulto “Ne vogliono ancora”. Un
boato di sollievo esplose da tutti i cuori, irrefrenabile.</span><br />
<span style="font-family: "georgia";"> </span><br />
<h2>
Epilogo </h2>
<span style="font-family: "georgia";">La
giornata volgeva ormai al termine, ma un paio di punti erano rimasti in
sospeso. Toni finì di impastare il suo pane, quindi lo ripose nella
credenza e lo coprì con un canovaccio. A fianco di quello ce ne erano
parecchi altri. <br />“Ecco, adesso c’è solo da farlo riposare per un paio
d’ore, e poi si inforna. Pensavo anche di usare qualcosa per stringerlo
sui lati, così che cresca un po’ in altezza. Ci devo ancora ragionare.”<br />Messer
Leonardo si ripulì le mani.. “Ti ringrazio per la ricetta, intanto.
Certo che non l’è così semplice come la mettevi te l’altra volta. Prima
lo impasti e poi t’hai da lasciarlo lievitare. Poi un'altra volta:
impasto e riposo. E una terza, sempre impasto e riposo per la
lievitazione. Nel mentre, metti quello prima e quell’altro dopo. E
non all’incontrario, che se no l’è un disastro. Giralo così, dosalo
cosà. Mi è toccato di far da scolaretto, insomma. Però l’è sempre bello
poter far qualcosa con le proprie braccia, che non è che mi capita più
di sovente, ormai. ” <br />“Se si va di fretta ne bastano anche due di
impasti, ma a me restava comodo dargli un colpo ogni tanto, tra un
lavoro e un altro.. Eppoi, con l’abbondanza che c’è qui in cucina,
sentirete che sapore..” anticipò Toni.<br />“Speriamo, che gli altri di
stamane mattina li ho solo visti passare, neanche l’odore sono riuscito
a sentire. Due sono miei, allora. E’ inteso.”<br />“Due sono vostri, e
questi qui in fondo sono da restituire ai Merli. Tutto sommato al Duca
abbiamo servito i loro, a pranzo, e bisognerà pur compensarli in
qualche modo.”<br />“Quel che è giusto è giusto” commentò il Gran Maestro.
“Piuttosto, tu che credi di fare adesso? Torni da me o ti fermi qui,
dal Duca?”'<br />“Pensate che mi terrebbero, Maestro?” domandò il ragazzo con più di un filo di emozione nella voce.<br />“E questa l’è già una risposta, direi. Certo che ti terranno, dopo che gli hai salvato la faccia appena da qualche ora.”<br />“In fondo io gli ho solo servito il mio Pane dei Merli”<br />“Ho
visto gente diventar ricca e famosa per molto meno, sai? Anche nobile,
delle volte. Tu diventerai solo sguattero titolare, per ora. Non l’è
mica un gran sforzo dopo tutto. E poi quello che gli hai servito non era
mica solo del pane per gli uccelletti, perbacco.”<br />“Non capisco, Maestro.”<br />“Che
tu credi, che il grande Leonardo possa portare al pranzo di Natale da
lui personalmente organizzato un dolce fatto da uno sguattero per dei
Merli?” <br />“Ancora non capisco, Maestro” ripeté Toni, sempre più confuso.. <br />“Aspetta,
che avevo visto una bottiglia di bianco aperta qui vicino.” Il Genio se
ne versò una coppa e fece altrettanto per il ragazzo. “Ecco, bevi anche
tu, che l’età ce l’hai già adesso. Ottimo, mi aveva dato
quest’impressione. Ti dicevo, una portata che la va a finire sul desco
del Duca non può essere una cosa improvvisata, deve avere il suo
perché.”<br />“Ha detto che l’avevate fatto Voi?” domandò Toni un attimino spaventato dalla prospettiva.<br />“O
Santo cielo, ma no di certo. Ho detto che l’è del più bravo dei miei
allievi, un giovine per cui nutro grandi speranze e che ho mandato qui
di nascosto a fare esperienza, nel miglior posto possibile. E non è
che sia poi tanto differente da quel che l’è stato per davvero, del
resto. Solo un po’ più colorito..” <br />A Toni vennero i lucciconi agli occhi a sentire quelle parole. <br />“Suvvia,
ragazzo, non esageriamo adesso. Però non chiamarlo più ‘Pan dei
Merli’. Adesso è il ‘Pan del Toni’ e, credimi, la gente ne parlerà
parecchio da qui in avanti. Vedrai che ti diventerà una ricetta fissa
sotto Natale. Io queste cose me le sento.. Ma non dovevamo andare a
metter fuori qualcosa per i pennuti del parco?”<br />“Sì, Maestro, ma è meglio domattina. Se la notte fa brutto tempo, poi il cibo si bagna.”<br />Il
Genio se lo prese sottobraccio, avviandosi verso l’uscita. “Ecco,
proprio di questo ti volevo parlare. Mi è venuto in mente che se noi
mettiamo fuori un basamento con sopra una tettoia, a dimensioni
d’uccello s’intende..”</span><br />
<br />
<span style="font-family: "georgia";">Mentre Toni e
Leonardo si avviano verso il giardino, anche la nostra storia si avvia
verso la conclusione. Così è nato il panettone, forse. E forse no.
Questa è la storia che mi hanno raccontato i Merli del Castello
Sforzesco di Milano, e loro sostengono che venga proprio dal
millequattrocento, quasi millecinque. Mentre ci pensate su, lasciate
che vi porga anche i loro auguri. E i miei. <br />Un felice Natale a tutti, dunque, e tanti auguri di Buone Feste </span><br />
<br />
Il pan dei Merli by <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html">Fabrizio Burlone</a> is licensed under a <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><u>Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</u></a>.<br />
Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://birdcosi.blogspot.com/">http://birdcosi.blogspot.com/</a> <br />
Illustrazione di Eugenio Bausola <br />
<a href="http://lh5.ggpht.com/-C0XOup01E3M/UNhlcwvVHbI/AAAAAAAAEjM/OfU2Kg8SB4g/s1600-h/image%25255B2%25255D.png"><img alt="image" border="0" height="35" src="https://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" style="background-image: none; border-bottom: 0px; border-left: 0px; border-right: 0px; border-top: 0px; display: inline; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px;" title="image" width="92" /></a><br />
<br />Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-25878435493478972702018-02-04T13:34:00.001-08:002019-12-31T03:20:51.871-08:00Pranzo di Natale<div class="separator" style="clear: both; font-family: "times new roman"; margin: 0px; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-jV_HiYTeTXk/Wlk5vI_ucNI/AAAAAAAAUMk/I-5QJw4NKmwNl0DRp5ocu4hOn-xFuSv7ACLcBGAs/s1600/Pranzo%2Bdi%2BNatale.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-blogger-escaped-data-original-height="1130" data-blogger-escaped-data-original-width="1429" height="505" src="https://2.bp.blogspot.com/-jV_HiYTeTXk/Wlk5vI_ucNI/AAAAAAAAUMk/I-5QJw4NKmwNl0DRp5ocu4hOn-xFuSv7ACLcBGAs/s640/Pranzo%2Bdi%2BNatale.jpg" style="cursor: move;" width="640" /></a></div>
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Il Pettirosso fece due salti in avanti, con circospezione. Balzò sul bordo della mangiatoia, e poi giù, sul ripiano. Con circospezione. Non era il primo anno che veniva a svernare in quel giardino. C’era una siepe bella spessa, anche quindici o venti passi in certi punti, fitta fitta e che andava avanti in ogni direzione fin dove si poteva vedere, e anche di più.C’erano piccoli tratti di erba dove ci si poteva piazzare per prendere il sole, quando faceva presenza. C’erano parecchi cespugli, e piante, alcune con su un sacco di cose buone da mangiare e altre no, solo lì da guardare. Quando arrivava lui erano già spoglie, ma l’impressione era che dovevano essere molto belle, in stagione. Un posto decisamente gradevole, tutto sommato: probabilmente era per quello che ci passava così tanta gente. Andavano, venivano, si scambiavano qualche voce quando si incontravano, e poi via. Nessuno si fermava, a parte i bambini qualche volta. Quando le giornate erano calde li vedeva rincorrersi, chiamarsi in quei lori curiosi linguaggi, azzuffarsi sul prato. Fare cose da cuccioli, insomma. Poi, quando scendeva la neve, si precipitavano fuori, più gonfi e colorati che mai, per rotolarsi nella coltre bianca, sfidarsi a palle di neve, ammucchiarla fino a formare goffe copie di loro stessi. Altre cose da cuccioli, insomma. Non che fossero tutte rose e fiori, tanto per rimanere in tema. Proprio i bambini costituivano la seccatura maggiore. Quando decidevano di coinvolgerti nei loro giochi diventava decisamente difficile svicolare. Anche perché con quell'altezza da terra sembravano fatti apposta per l'inseguimento dei pettirossi. Poi c'erano i cani. Sempre più numerosi, chissà perché… E appena oltre la siepe, il traffico, un numero impressionante di persone ancor più frettolose e decisamente meno amichevoli, e altri cani, e gatti, e chissà cosa, ancora. Si diceva perfino un Falco Pellegrino, figuratevi. Qui, nel giardino, invece si stava veramente bene. E quando incominciava a fare freddo, ma proprio freddo freddo, come per magia compariva, su al primo piano, in un angolo di uno dei balconi centrali, la mangiatoia. Così almeno la si chiamava tra pennuti, nessuno sapeva esattamente quale fosse il nome che gli avevano attribuito i suoi costruttori. In pratica, una piccola piattaforma coperta che ospitava diversi altri contenitori appesi o sul fondo. Come quello su cui stava zompettando proprio in quel momento, per intenderci.</div>
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Nella mangiatoia, non si capiva bene perché, gli umani mettevano a disposizione cibi e bevande di ogni tipo, a volte delle autentiche, leccornie. Lui l’aveva trovata quasi per caso, i pettirossi non frequentano spesso i balconi. Ma visto che l’aveva trovata, quando la mollava, ormai? Si guardò nuovamente intorno. Ancora niente. Meno male. Incominció a becchettare qua e là, mancava poco più di un'oretta al tramonto, meglio non indugiare oltre.</div>
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“Ciao, bel ragazzo.”</div>
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Il Pettirosso si congelò sul posto. Erano arrivate. Come aveva fatto a non vederle!</div>
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“Ciao, ragazza. E le tue sorelle dove sono?” rispose, mostrando una sicurezza che non era affatto sicuro di avere.</div>
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“Qui, per esempio.”</div>
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Quella che si era appena fatta sentire era una cinciarella, come la prima. Ora, questo mi sembra un buon momento per uno spiegone. Tutti quanti, chi più e chi meno, sanno come è fatto un pettirosso. Fotografato, dipinto o disegnato, ripreso in un documentario, o magari perfino incontrato di persona in un parco o in un giardino, a tutti, chi più e chi meno, sarà capitato di vederne uno. E’ una presenza piuttosto comune, quasi iconica.</div>
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Ad ogni modo, per i pochi sfortunati a cui invece non fosse mai capitato, stiamo parlando di un uccellino grosso quanto un passero (giusto per fare un paragone), di colore genericamente marroncino e grigiolino sulle parti basse. Ma con un brillante, spettacolare petto rosso-arancione, e anche buona parte della faccia a dire il vero. Vive prevalentemente sul terreno, un po’ come i merli, e ha un richiamo che assomiglia all’urto tra due biglie metalliche, tipo quelle che si fanno girare tra le dita contro le stress per intenderci. Il canto vero e proprio invece è molto più articolato e a me fa venire in mente il disgelo e la primavera. Qui in pianura, però, arriva in inverno, e quando fa freddo, ma tanto freddo, gonfia le piume per isolarsi dal gelo esterno finendo per assomigliare ad una palletta di sofficità in persona (si fa per dire) con uno sgargiante petto rosso.</div>
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E veniamo ora alla cinciarella, che sotto parecchi aspetti è invece tutto un altro paio di maniche. Per prima cosa, è quasi del tutto arboricola, quindi per vederla bisogna stare a testa in sù, come i sognatori o i birdwatcher. Ma i sognatori o i birdwatcher veloci però, perché le cinciarelle non stanno mai ferme un secondo, e quando si muovono si muovono con una rapidità tale che nemmeno l'occhio di Terminator riuscirebbe a starci dietro. È più piccina del Pettirosso, anche se di poco. Ma su queste scale anche poco vuol dire molto. E per finire, è anche meno comune. In totale, è ragionevolmente un oggetto sconosciuto o giù di lì per la maggior parte del genere umano, quindi meglio partire subito con la descrizione. Come dicevo, è piccolina: una dozzina di centimetri scarsi dalla punta del becco a quella della coda. Il dorso tira sul verdone, per poi girare verso il blu man mano che scendiamo verso il fondoschiena e ancora più giù. Ma se il retro e piuttosto mimetico, il fronte è un'esplosione di colore. Di giallo, per essere più precisi, dal sottocoda al petto, a volte con un elegante riga nera longitudinale non troppo evidente. E non è finita, perché risalendo, appena sotto al becco, troviamo un piccolo bavaglino nero portato come una cravatta od un papillon, e sugli occhi una specie di mascherina di Zorro che incornicia due guanciotte candide come la neve. E terminiamo con la capigliatura, nel suo equivalente uccellesco ovviamente, che nel nostro caso è di un bel blu elettrico, portato con una certa eleganza. Eccola qui la nostra cinciarella, quindi: una cosina da niente con un piumaggio festaiolo, quasi un uccelletto ornamentale. E invece no, perché la cinciarella, nella sua categoria, è anche un'autentica teppista. Una bestiaccia, che non molla mai e sa farsi valere contro avversari di qualunque dimensione e natura, compresa la nostra, se serve. D'inverno, poi, abbandonata la sua natura solitaria e territoriale, si riunisce in vere e proprie bande, che a vedersele venire incontro fanno proprio paura.</div>
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E a questo punto possiamo anche riprendere la nostra storia, a partire da un'altra cinciarella che compare quasi dal nulla per farsi sentire.</div>
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“Ma anche qui.”</div>
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“E qui.” Aggiunse una terza.</div>
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“Siete parecchie, oggi… Sei? Sette?”</div>
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“Sette. Un bel numero, non credi?”</div>
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“Così si dice..”</div>
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“Otto invece mi sembra un numero brutto.” Commentò una delle nuove arrivate.</div>
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“Anzi, bruttissimo. Specialmente se la mangiatoia è una sola.” Aggiunse un’altra.</div>
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Il pettirosso rimase un attimo indeciso sul da farsi. Quindi, senza proferire parola (o equivalente) spiccò il volo per planare subito dopo verso il prato del giardino e poi la siepe che aveva eletto a sua residenza per quell’inverno. I Pettirossi non sono certo animali da farsi mettere le zampe in testa, ma con quelle Cince c'era solo da rimetterci. Autentici bulli, ecco cosa erano. L'inverno fin lì era stato quasi tiepido e c'era ancora cibo in abbondanza un po’ dappertutto. La mangiatoia, poi, era sempre strapiena, e se faceva tanto di vuotarsi i proprietari (bontà loro) la rifornivano in giornata. Non c'era bisogno di fare i prepotenti. Lo facevano tanto per farlo, perché era così che venivano su, perché era l'unico modo che conoscevano per non sentirsi piccoli piccoli, come francobolli. Inutile farsene un cruccio, sarebbe tornato alla mangiatoia più tardi, tanto non si fermavano mai a lungo. E magari ci avrebbe anche incontrato il merlo o il codirosso, gente simpatica di ben altra pasta. L’ideale per fare quattro chiacchiere in un freddo pomeriggio d’inverno.</div>
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Il sole era tramontato da un po’, a breve sarebbe stato buio pesto. Buio come poteva diventarlo un giardino di città, si capisce. Ma i pettirossi non sono animali notturni, e l'illuminazione cittadina al nostro non dispiaceva più di tanto. Anche perché non solo non rovinava lo spettacolo, ma gli consentiva addirittura di avvicinarsi per assistervi in totale sicurezza. Beh, più o meno… Balzò in cima ad un muretto, giusto per mettersi fuori tiro da pedoni e cani a passeggio. Mancava poco. Ecco, forse stava cominciando. Il balcone di fronte si illuminò per un istante di un bagliore quasi soffocato. Poi, più niente per qualche istante e quindi, d’improvviso, tutto il parapetto si accese di una cascata di luci colorate che si inseguivano senza sosta. Blu, rossi, gialli e verdi per cominciare, e poi altri ancora che non si capiva neanche bene se erano proprio colori o solo riflessi. Dopo qualche secondo anche il davanzale avvampò, e poi le finestre.. Il pettirosso sapeva il motivo di tutta quella luminaria. Era il Natale. Lui e tutta la sua specie conoscevano bene quella festa, perché a loro ricordava anche il motivo per cui il loro petto brillava di quel rosso scarlatto. Chiuse un attimo gli occhi, per richiamare le storie che gli raccontava il nonno..</div>
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“Devi sapere” diceva, “che in principio noi eravamo degli uccellini grigi, dalla punta del becco a quella della coda. Io avrei detto marroncini, ma la leggenda sostiene “grigi”, e allora restiamo sul grigio. Non che ci sia niente di male, intendiamoci, un colore è un colore. Il fatto è che non avevamo niente di rosso, ecco.</div>
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Poi, più di duemila anni addietro (secondo il conto degli uomini) capitò che uno dei nostri bis-bis-bisavoli, un sacco di bis, si trovasse dalle parti di Betlemme. Cose che succedono, noi Pettirossi siamo un po’ dappertutto del resto. Passando davanti ad una stalla notò all'interno, un po’ in disparte, una famigliola raccolta intorno ad un focolare con un bambino piccolo piccolo che sembrava dormire di gran gusto. Ah sì, mi ero dimenticato di dire che era notte. E che era inverno, ecco. Era notte ed era inverno. Il bimbo dormiva, dicevo, ed anche i genitori. La mamma lo stringeva forte forte per tenerlo al caldo, perché il fuoco che avrebbe dovuto riscaldarli era ormai ridotto ad una misera fiammella. Il nostro antenato capì subito che la faccenda poteva diventare pericolosa: faceva molto freddo quella notte, e le piume con cui gli umani si ricoprivano erano veramente poco adatte a quel clima. Senza neanche pensarci due volte, entrò nella stalla, si piazzò davanti al focolare e prese a battere le ali in una specie di volo da fermo, gettando aria sulle braci con tutta la forza che aveva. In breve il fuoco riprese a brillare vigorosamente, il bimbo aprì gli occhi a metà e cacciò una specie di farfuglìo che avrebbe anche potuto essere di approvazione. Incoraggiato, l’antenato aumentò il ritmo finché le fiamme non tornarono a sfavillare alte e potenti come non mai. Ora la luce del fuoco illuminava tutta la stalla, proiettando uno sgargiante riflesso rosso scarlatto sul petto del bisavolo mentre il calore si diffondeva gradevolmente tutto all’intorno. Per farla breve, visto il risultato il nostro eroe continuò entusiasticamente a sventolare aria per tutto la notte, e al mattino dopo scoprì che il riflesso rosso fuoco che colorava il suo petto non aveva nessuna intenzione di andarsene, anzi, sembrava diventato il colore vero e proprio delle sue stesse piume. Poi gli umani si svegliarono, e si profusero in ringraziamenti, offrendosi anche di condividere qualcosa della loro modesta scorta di cibo con l’antenato. Che dopo aver mangiato il loro pane e bevuto la loro acqua come si conviene in questi casi, salutò e ringraziò a sua volta, per tornare quindi alle sue occupazioni. Ora, tutti noi sappiamo che il bimbo addormentato era niente di meno che il figlio del nostro Creatore. Non solo nostro. Di tutti. Il Creatore, insomma. E che fu la sua riconoscenza a donarci il Rosso che ci contraddistingue. Sua e di Sua Madre. E del Padre. Loro, insomma. Ecco.”</div>
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Tornato al presente, il pettirosso si immerse nuovamente nello spettacolo di luci che ormai correva a pieno regime. Avverti qualcosa di freddo posarsi delicatamente sulle piume della nuca. Sollevò lo sguardo: aveva preso a nevicare.. Difficile dire quanta ne sarebbe venuta giù, il cielo non si vedeva più da un pezzo. Ma sembrava una cosa seria. Ci sarebbe stata ressa, alla mangiatoia.</div>
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<span data-blogger-escaped-style="color: #3d85c6; font-size: large;" style="color: #3d85c6; font-size: large;">Natale</span></h3>
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In settimana di neve ne era scesa parecchia, ma non in maniera esagerata. I bambini erano scesi a fare il canonico pupazzo con il naso di carota, si erano rincorsi, erano caduti a faccia in giù e a faccia in su nella coltre che copriva prato e vialetti, si erano sfidati a palle di neve, alcuni avevano vinto e altri perso, e quando aveva incominciato a far buio erano rientrati. Per ricominciare il giorno dopo, e quello dopo ancora, i bambini portavano sempre un sacco di allegria.</div>
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Oggi, ad ogni modo, era il giorno di Natale, e l’allegria era venuta da sè. C’era stato un sacco di movimento, fin dal mattino presto. Gente che andava e veniva, c’erano mille riti da eseguire in quel giorno, e ognuno aveva il suo, uguale eppure diverso da quello di tutti gli altri. Poi, in tarda mattinata, gli arrivi avevano incominciato a superare le partenze, e chi arrivava non lo faceva mai a mani vuote. A mezzogiorno in punto, beh, più o meno, in giro non si vedeva più nessuno, neanche a pagarlo. Erano tutti in casa, con le gambe sotto al tavolo. Così si dice, Anche nell’appartamento della mangiatoia si faceva festa. C’era un bel po’ di gente, e voci, e rumori. Ogni tanto qualcuno usciva sul balcone a prendere qualcosa, lasciando scappare all’aperto certe folate di aria calda così carica di profumi buoni che si potevano sentire fin giù di sotto, in giardino. Bene bene, questo voleva dire che tra non molto anche la mangiatoia sarebbe stata imbandita a festa. Ci sarebbero state un sacco di cose speciali, magari anche quel pane dolce di cui parlavano spesso i merli, sostenendo che era stato inventato proprio per loro. Fanfaronate, ma di certo era una squisitezza. C’era solo da aver pazienza. A metà pomeriggio, diffatti, uno dei costruttori uscì con un vassoio pieno zeppo di specialità e prese a rifornire la loro “tavola”. Ci mise il suo tempo per finire, tanto era carico, e poi tornò dentro, al calduccio. Il Pettirosso non ci pensò due volte, e si precipitò a piazzare, a sua volta, le zampe sotto la mangiatoia. Anche se nel suo caso era solo un modo di dire. Uno dei merli lo aveva preceduto, fiondandosi sul suo mucchietto di dolci preferito. Ma non era un problema, c'era spazio per tutti. Da una finestra alcune persone li stavano osservando con una certa soddisfazione. Neanche questo era un problema, accadeva regolarmente. E comunque si stancavano piuttosto rapidamente. Manco a dirlo, dopo appena poco di più che un attimo, arrivarono le cinciarelle. Il merlo schizzò via a precipizio. Il pettirosso invece proseguì, fingendo di non essersi accorto di nulla.</div>
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“Rosso!” lo chiamò la cincia di destra. Il rosso continuò a becchettare. “Rosso!” chiamò ancora, più forte.</div>
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“Che vuoi?”</div>
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“Questa è roba nostra. Pensavo ci fossimo capiti, ormai.”</div>
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“E’ che sono un po’ lento, sai? Dov’è che c’è scritto?” replicò, senza smettere di pranzare..</div>
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“Non fare il furbo con noi. Non ti conviene.”</div>
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“Ma certo che no. Allora sapete che facciamo? Se è roba vostra ve la lascio. Io ho altro da fare, del resto: scusate il disturbo e salutatemi a casa, quando ci tornate”</div>
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Detto fatto, spiccò il volo come nelle occasioni precedenti, senza pensarci poi troppo. Nel giro di qualche minuto la mangiatoia sarebbe tornata libera, era sempre così. E quelle bestiacce non sarebbero riuscite a mangiare tutto neanche fossero state grosse il doppio e dieci volte più numerose. Decise di aspettare nelle vicinanze, inutile sbattersi più di tanto.</div>
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Ora, è da sapere che gli uccelli non erano gli unici frequentatori del balcone. Questi costruttori di mangiatoie, diffatti, tenevano anche due micie: una arancione, come il gatto Garfield, l’altra nera, con una piccola macchia bianca sul petto. Diverse tra di loro come il giorno e la notte, se l’arancione aveva comportamenti e abitudini (magari anche per motivi cromatici) quasi leonesche, la nera ricordava assolutamente una pantera. E come una pantera, appunto, in questo preciso momento si stava avvicinando a passo di leopardo alla mangiatoia. Nessuno l’aveva vista uscire, eppure era lì. Improvvisamente balzò allo scoperto, ma invece di lanciarsi verso la preda si arrestò a mezza strada, appiattendosi al suolo come se questo fosse stato sufficiente a renderla invisibile. Non funzionò un granchè.</div>
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Il pettirosso, dalla sua posizione, stava osservando la scena con un misto di curiosità e preoccupazione. La mangiatoia stava un in un angolo, e per volar via le cincie avrebbero dovuto sorvolare a breve distanza la pantera in “agguato”. Sarebbe bastato un balzo ben calcolato per prenderle. Magari era proprio quello che voleva: acchiapparle al volo. Divertimenti gatteschi. Le cince intanto avevano inevitabilmente visto il pericolo, e fatti i loro conti avevano deciso di agire in maniera inaspettata: anziché fuggire avevano scelto di combattere. Bulli con i cosiddetti, tutto sommato. Si erano piazzate in una stretta formazione a cuneo e avevano preso ad eseguire una specie di danza fatta di colpi sulle ali, pestoni di zampe, roteamenti di teste, smorfie, sbattimenti di becchi e cosa simili. Accompagnati da versi, strilli, grida ed altre amenità del genere. Avrebbe anche potuto apparire terrificante, ma sfortunatamente il gatto non sembrava essersi terrificato un granché. Agendo più che altro d'istinto, del resto faceva sempre così, il pettirosso decise di intervenire a supporto dei suoi fratelli di ordine. E sottordine, pure. Una questione di affinità tassonomica insomma. Si lanciò come un missile fin oltre le cime degli alberi, e ancora un po’ più in su (che brivido, non volava spesso così in alto), poi scese precipitevolissimevolmente verso balcone, planò a mille all’ora sopra alla nuca della gatta in agguato, ruotò su sé stesso come una trottola e atterrò perfettamente, sui classici tre punti, proprio di fronte alla predatrice. Senza porre altro tempo in mezzo spalancò le ali e gonfiò le piume, mostrando tutto il rosso che aveva. Improvvisamente, senza nessun motivo apparente, tutte le luci del balcone si accesero e presero a lampeggiare furiosamente, mentre il pettirosso lanciava il suo urlo di guerra. E dire che non sapeva neanche di averne uno. Beh, tutto questo fu veramente troppo per la nostra gatta, che rassomigliando ad una pantera non poteva ovviamente avere un cuore da leone. Schizzò via come un fulmine verso la porta più vicina, e tanto fece a forza di zampate, miagolii e salti in alto, che qualcuno arrivò quasi subito per farla entrare. “Ma che hai, cucciolotta?” le domandò l'umana. La cucciolotta però era già sparita nel soggiorno, dietro al divano. Le decorazioni sul balcone si spensero.</div>
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“Caspita, rosso. Chi l'avrebbe mai detto…”</div>
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Il Pettirosso si voltò con la seria intenzione di mandare a quel paese la cinciarella che aveva parlato e tutte le sue sorelle, ma improvvisamente tutte le luci di Natale si accesero nuovamente, abbagliandolo. Per un istante o due non fu più in grado di fare o pensare nulla, poi i fari si spensero. Ma tutto ormai era cambiato. La rabbia era svanita, il vaffa se ne era andato. Il Natale era tornato. Per la prima (e forse unica) volta avevano condiviso qualcosa, e questo non andava sprecato. Forse era quello che cercavano con il loro atteggiamento così aggressivo: un senso di appartenenza, noi contro tutti, ma almeno “noi”. Magari era la volta buona di allargarlo questo “noi”, e una volta iniziato, chissà fin dove si poteva arrivare. E in caso contrario, beh, comunque a Natale bisogna essere più buoni, è un must.</div>
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“Certo che siamo stati forti, vero?”</div>
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“Fortissimi, rosso. Una forza della natura!” Tutto il gruppo esplose in una risata liberatoria.La tensione si era spezzata.</div>
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“E avete visto che faccia ha fatto il gatto quando si sono accese le luci?” puntualizzò una voce.</div>
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“Uno spettacolo! E come è scappato via!” commentò un’altra.</div>
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“Nuovo spettacolo. A proposito, cos’è quella roba che facevate tutte insieme, in formazione?”</div>
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“Una danza di famiglia. Terrificante, vero?”</div>
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“Assolutamente. Si può imparare qualcosa?”</div>
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“Forse, ma non so se sei all’altezza..”</div>
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“Beh, magari poi possiamo provare. Accidenti, tutto questo movimento mi ha messo una gran fame. A voi no?”</div>
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“Già, ma qui c’è un’intera mangiatoia a disposizione.”</div>
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“E allora approfittiamone.”</div>
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“Diamoci sotto. Bello quel sistema di mostrare petto e ali con un movimento solo, magari lo mettiamo nella danza. Ma prima, distruggiamo questa mangiatoia, avanti.”</div>
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<br /></div>
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Magari non era un granché, ma era comunque un inizio..</div>
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<span data-blogger-escaped-style="color: #3d85c6; font-size: large;" style="color: #3d85c6; font-size: large;">Epilogo</span></h3>
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La gatta arancione stava ancora osservano gli uccellini banchettare sul balcone quando la nera la raggiunse.</div>
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“Che hai combinato?” le chiese.</div>
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“IO? IO? Io non ho fatto niente. Sono uscita per mangiare un po’ dello strutto che i padroni riservano per i pennuti”</div>
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“Ancora?”</div>
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“Lo sai che mi piace. E poi ne mangio solo un poco e ne lascio abbastanza per tutti..”</div>
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“E allora?”</div>
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“E allora niente: la mangiatoia era occupata, quindi mi sono piazzata un po’ indietro ad aspettare che la liberassero. Ma bene in vista, così che fosse evidente che c’era una coda..”</div>
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“Va bene. E poi?”</div>
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“Beh, poi la gang degli uccellini invece di sbrigarsi a prendere quello che dovevano prendere e cedere il passo, hanno deciso di fare un flash mob fuori di testa. A quel punto è arrivato un altro uccello tutto rosso davanti che doveva avere qualche brutta malattia, e d’improvviso tutte le luci si sono messe a lampeggiare come se il balcone stesse per venire giù.”</div>
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“E tu cosa hai fatto?”</div>
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“E cosa dovevo fare? Mi trovavo chiusa in un posto largo come un fazzoletto che forse stava per crollare, con un branco di uccelletti psicopatici più uno che, per quel che ne sapevo, poteva aver preso il virus T ed essere lì lì per trasformarsi in uno Zombi, e tu mi chiedi che cosa ho fatto? Me la sono data a gambe, ecco che cosa ho fatto. E con tutta la velocità che avevo.”</div>
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“Mah, secondo me guardi troppa televisione.”</div>
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“Troppa televisione un piffero. La prossima volta, invece di stare a guardare alla finestra, vieni fuori a darmi una mano. E buon Natale.”</div>
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Detto questo, la gatta nera voltò le spalle alla sua compagna arancione e si diresse verso la cucina a vedere se era rimasta un po’ di panna nel suo piattino.</div>
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“Buon Natale” mormorò l’altra, avviandosi verso il divano e lasciandosi alle spalle, ormai dimenticato, il telecomando delle decorazioni di Natale per esterni con cui aveva giocherellato fino a pochi minuti prima.</div>
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Ecco, il racconto di Natale è finito. Ma prima di porgervi anche i miei auguri volevo indicare che i fatti narrati si ispirano ad una vicenda realmente accaduta. Solo i nomi di luoghi, animali e persone sono stati cambiati, per ovvie ragioni di privacy. E con questo è tutto. Tanti auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.</div>
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<a href="http://lh5.ggpht.com/-C0XOup01E3M/UNhlcwvVHbI/AAAAAAAAEjM/OfU2Kg8SB4g/s1600-h/image%25255B2%25255D.png" style="background-color: #fdfaf8; color: #26c559; font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif; font-size: 16px;"><img alt="image" border="0" height="35" src="https://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" style="background: rgb(255 , 255 , 255); border-radius: 5px; border: 1px solid rgb(200 , 200 , 200); box-shadow: rgba(0 , 0 , 0 , 0.2) 0px 0px 20px; cursor: move; padding: 8px; position: relative;" title="image" width="92" /></a></div>
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<span style="background-color: #fdfaf8; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 16px;"><br /></span><span style="background-color: #fdfaf8; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 16px;">Pranzo di Natale by </span><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html" style="background-color: #fdfaf8; color: black; font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif; font-size: 16px;">Fabrizio Burlone</a><span style="background-color: #fdfaf8; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 16px;"> is licensed under a </span><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/" style="background-color: #fdfaf8; color: black; font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif; font-size: 16px;"><u>Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</u></a><span style="background-color: #fdfaf8; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 16px;">.</span></div>
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Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://birdcosi.blogspot.com/">http://birdcosi.blogspot.com/</a></div>
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Illustrazione di Eugenio Bausola</div>
<br />Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-2856184233964952282018-02-04T13:30:00.000-08:002018-02-04T13:31:51.183-08:00Natale forcello<p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><br></p><p style="text-align: center; margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><a href="http://lh3.ggpht.com/-sKSbhhMmktU/VJoDIjXWOII/AAAAAAAAJbM/2U-tCaf4hXo/s1600-h/NATALE%252520FORCELLO%252520copia%25255B6%25255D.jpg"><img alt="NATALE FORCELLO copia" data-blogger-escaped-style="display: inline;" data-orig-src="http://lh5.ggpht.com/-KXs7-y1lcsM/VJoDJ3zLHDI/AAAAAAAAJbU/eOqYCTQZkKQ/NATALE%252520FORCELLO%252520copia_thumb%25255B3%25255D.jpg?imgmax=800" height="557" src="https://lh5.ggpht.com/-KXs7-y1lcsM/VJoDJ3zLHDI/AAAAAAAAJbU/eOqYCTQZkKQ/NATALE%252520FORCELLO%252520copia_thumb%25255B3%25255D.jpg?imgmax=800" title="NATALE FORCELLO copia" width="726" style="cursor: move; display: inline;"></a></p><h2 style="font-family: "Times New Roman";"><font color="#4f81bd" data-blogger-escaped-style="color: #4f81bd; font-family: Times New Roman; font-size: large;" face=""times new roman"" size="5">Novembre, Ricetto di Candelo.</font></h2><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><font data-blogger-escaped-style="font-family: Times New Roman; font-size: medium;" face=""times new roman"" size="4">L'uomo richiuse la porta dietro di sé, consegnandosi all’Autunno. Tra non molto avrebbe rimpianto il calore del camino davanti a cui si erano svolte le trattative, ma per il momento andava bene così. Era stata una buona giornata, assolutamente. A più di tre anni dalla grandinata del ‘905, che aveva distrutto i vigneti del Gattinara, riuscire a portarne a casa una fornitura ad un prezzo ragionevole era stata un’autentica fortuna. Brava gente, questi qui di Candelo. Commercianti, sicuro. Ma onesti, o quasi. E gente che vedeva lontano. Prima o poi la produzione dei vini sarebbe tornata a regime, c’era da scommetterci, ma nel frattempo quelli stavano accumulando una fortuna. Mentre tanti altri, in Valle, erano stati costretti ad emigrare o ad andare a lavorare in fabbrica, e meno male che c’erano quelle, ad ogni modo. La Valle non sarebbe più stata quella di una volta, sicuro, ma la gente sarebbe vissuta per vedere tempi migliori, e quello era quello che contava per davvero. Un gemito prolungato proveniente dalla fitta nebbia che fluiva lungo i vicoli del ricetto lo riscosse dai suoi pensieri. Cosa era stato? Ora non si sentiva più. Si guardò intorno, cercando di indovinare qualcosa, ma la fioca luce dei lampioni non aiutava per nulla. Il ricetto di Candelo era un autentico angolo di medioevo arrivato fino all’era moderna, con i suoi stretti vicoli lastricati e i muraglioni fortificati. Bellissimo, niente da dire, ma a quell’ora e con quel tempo anche piuttosto inquietante. Chissà cosa altro poteva averlo seguito nel suo viaggio nel tempo, arrivando fin lì dai secoli oscuri. Che mica si chiamavano “oscuri” per niente. Rieccolo. Questa volta non cessò improvvisamente, ma anzi proseguì modulandosi in intensità e frequenza. Una seconda voce si unì alla prima, accordandosi alle sue variazioni. Musica, ecco cos’era! Un canto, oppure.. no, erano strumenti.. Come si chiamavano? Pive, ecco! Incuriosito, l’uomo si incamminò in direzione del suono. Percorse un paio di stradine, attraversò una specie di piazzetta, arrivò fino ai muri perimetrali e poi tornò un tantino indietro, sempre immerso in una nebbia da poterci piantare i chiodi. Alla fine svoltò l’angolo giusto. La musica, che intanto era cessata, non poteva che venire da lì: dalla bottega del Liutaio. Senza neanche sapere bene il perché, aprì la porta ed entrò nel laboratorio. Quattro facce stupite ed anche un po’ intimorite si voltarono a guardarlo. “Fate, fate pure. Non badate a me” li autorizzò l’uomo. A torto o a ragione, i quattro decisero di accogliere l’invito del nuovo arrivato e tornarono ai loro affari. Quello che doveva essere il Mastro Liutaio proseguì l’esame dei curiosi strumenti che si trovavano sul banco di lavoro, dettando di tanto in tanto istruzioni al suo ragazzo di bottega che si affrettava a prendere nota. Gli altri due, intanto, rispondevano alle domande poste, prelevando e dando fiato agli strumenti quando la cosa risultava necessaria o utile.<br>L’uomo si avvicinò al bancone, per osservare. Le due pive erano simili, eppure diverse. Erano entrambe formate da un sacco di pelle oblungo piuttosto consumato (di pecora o di capra si sarebbe detto), a cui erano ancorati, rispettivamente, tre e quattro legni che assomigliavano vagamente a dei flauti o dei pifferi, fatti di legno chiaro tirato a lucido. Era proprio su di uno di quelli che il Liutaio stava lavorando, con qualche incertezza è vero, ma anche con una certa efficacia. Nel mentre, i due Pivari mostravano di riuscire comunque a produrre una varietà di suoni impressionanti, muovendo le dita sui fori dei legni, soffiando nel sacco e premendolo per svuotarlo. Peccato che tutte quelle prove non mostrassero alcuna armonia. Però a quello si poteva anche rimediare.<br>“Scusate..” intervenne.<br>Nuovamente, gli altri quattro si interruppero e si voltarono a guardarlo.<br>“Potreste suonarmi qualcosa? Se non è di troppo disturbo, si intende. E se gli strumenti lo permettono.”<br>“Veramente stavamo facendo altro, al momento” replicò il Liutaio.<br>“Certamente, non intendo interferire. Ma vorrei cionondimeno ascoltare qualcosa di Natalizio, proprio qui ed ora. Naturalmente sarei disposto a compensare il disturbo” aggiunse, depositando sul bancone il prezzo di una discreta sedia a teatro.<br>Tentati dalla somma, o forse incuriositi dal personaggio, i Pivari imbracciarono i loro strumenti. “Tanto si doveva provare, no?” domandarono in direzione del Liutaio, il quale annuì senza troppa convinzione. Soddisfatta la forma, i due attaccarono a suonare un pezzo appartenete al repertorio richiesto, facendo quindi seguire un paio di brani assortiti tanto per gradire. Terminata la prova, tornarono a guardare quello che adesso era diventato un cliente, in attesa di un commento o di una nuova richiesta. <br>Per tutta risposta ottennero un leggero applauso, che sembrava ad ogni buon conto trasmettere una certa soddisfazione.<br>“Bravi, ragazzi miei. Bravi, veramente. Complimenti. Questo è proprio quello che speravo di sentire.”<br>“Beh, grazie.” Rispose uno dei ragazzi. “E quando Mastro Antonietti avrà finito il lavoro, la mia Piva suonerà anche meglio.”<br>“Splendido!” proseguì l’altro. “Ma lasciate che mi presenti, adesso. Mi chiamo Guglielmo Guglielmina e tra le altre cose sono il proprietario dell’Hotel Mottarone. E avrei una proposta da farvi.”</font></p><h2 style="font-family: "Times New Roman";"><font color="#4f81bd" data-blogger-escaped-style="color: #4f81bd; font-family: Times New Roman; font-size: large;" face=""times new roman"" size="5">24 dicembre, Mottarone.</font></h2><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><font data-blogger-escaped-style="font-family: Times New Roman; font-size: medium;" face=""times new roman"" size="4">"E allora?" domandò Agostino. <br>"Un momento" rispose Bartolomeo, sbuffando come una locomotiva. "Lasciami riprendere fiato." Aveva fatto tutta la strada di corsa proprio perchè non vedeva l'ora di portare la notizia al suo compaesano, ma adesso un attimo di respiro gli ci voleva proprio. <br>"E allora?" ripeté il primo Pivaro dopo pochi istanti.<br>"Si può fare. Thomas ci presta gli ski, come li chiama lui, e quando arriviamo giù li possiamo lasciare ad un tizio che è un amico suo. Poi ci pensa lui a farglieli avere." <br>"E la pista?" <br>"Mi ha spiegato tutto per filo e per segno, e dice che è talmente facile che anche due novellini come noi possono scenderla a occhi chiusi. Dice anche che se non ce la facciamo, per quest'anno smette di insegnare gli ski ai turisti e passa il resto dell''inverno a prenderci a pedate nel sedere."<br>"E allora facciamolo" dichiarò Agostino, mostrando più convinzione di quanta in realtà non ne avesse. Per due come loro, che avevano imparato ad usare gli sci appena appena, approfittando dei tempi morti della loro arte e della disponibilità del maestro di sci Svizzero che l’Hotel Mottarone metteva a disposizione dei suoi illustrissimi clienti, pensare di venir giù dal Mottarone da soli era semplicemente una follia. Ma era stata una stagione pazza, quella, quindi una pazzia in più o una pazzia in meno che differenza faceva? E poi, divertimento a parte, era il modo più veloce per poter scendere a valle, e i patti con il Signor Guglielmina erano chiari: fino al termine del Galà di Mezzanotte loro dovevano ritenersi in servizio. Partendo, anzi, skiando alle prime luci dell'alba, però, avrebbero raggiunto Armeno in tempo per scroccare un passaggio </font><font data-blogger-escaped-style="font-family: Times New Roman; font-size: medium;" face=""times new roman"" size="4">a Don Giulio, che si doveva recare alla collegiata di Gozzano di prima mattina, non si ricordava più per che cosa. Lì, all'Albergo del Falcone, avrebbero poi senz'altro trovato un altro passaggio per arrivare almeno fino a Borgosesia, e magari anche a Biella. Natale è Natale, ma c'era sempre qualche carrettiere o qualcosa del genere che doveva viaggiare per forza, anche a dispetto dei Santi. Da Biella in poi un qualche tipo di trasporto lo si sarebbe trovato, alla peggio si poteva salire a piedi. E magari arrivare comunque a casa prima di notte, o al massimo per Santo Stefano. Certo, ci voleva un bel po' di fortuna appunto, ma la fortuna aiuta gli audaci, no?<br>“Oh, ma ti sei imbambolato?"<br>“Eh? No. O forse sì, ma solo un attimo. Cosa stavi dicendo?"<br>“Che sarebbe il caso di provare un po', per questa sera."<br>“Sì certo. Andiamo.”<br>Un po’ per vezzo e un po’ per necessità, fin dall’inizio avevano scelto di esercitarsi all’aperto, in “divisa” da Pivari. E un po’ in disparte, per evitare di svelare il repertorio e/o di infastidire i clienti. In fondo era solo una questione di punti di vista. Sul retro dell’albergo si trovavano un paio di stradine di servizio che venivano mantenute agibili anche durante l’inverno, quantomeno per un breve tratto. Una di queste accedeva ad una radura riparata dal bosco su due lati che pareva fatta apposta per suonarci con le Pive, o almeno così era sembrato a loro. E allora, quando potevano provavano proprio lì, solo che quella mattina il posto era occupato. In mezzo allo spiazzo innevato, evidente a più non posso, ci stava un uccello nero. Non un corvo o una cornacchia, ma piuttosto un gallo, o meglio, un galletto. Ne aveva sagoma (grosso modo) e dimensioni, e a ben vedere anche il tipico portamento. Non mostrava cresta e bargigli evidenti, ma soltanto due vistose sopracciglia rosso fuoco. E un altrettanto vistosa coda candida, che però nella circostanza si confondeva un tantino con lo sfondo della neve. Sembrava razzolare nello spiazzo come avrebbe fatto un suo equivalente domestico in un’aia, o forse era solo l’impressione che dava mentre si faceva strada nella neve alta, intento a fare chissà cos’altro. Seminascosti tra gli alberi, altri due ospiti dell’albergo stavano osservando la scena con evidente interesse. Uno dei due alzò la doppietta rimasta fino a quel momento celata al di sotto del pesante tabarro, prendendo la mira. Senza pensarci su due volte, Bartolomeo imbracciò la Piva e scatenò un vero e proprio uragano sonoro, una cosa da far paura. Istintivamente i cacciatori si voltarono a guardare, e quando tornarono a cercare la preda, beh, quella se ne era già andata da un pezzo. Bartolomeo allargò le braccia in loro direzione, come a dire “Sono qui per suonare, che ci volete fare?”. Quelli lo mandarono a quel paese con un gesto inequivocabile, poi girarono sui tacchi e andarono a cercare miglior fortuna altrove.<br>“Sì, e altrettanto anche a Voi!” replicò Bartolomeo a mezza voce: erano pur sempre clienti dell’Albergo</font><font data-blogger-escaped-style="font-family: Times New Roman; font-size: medium;" face=""times new roman"" size="4"> dopotutto.<br>“Non ti vanno proprio giù, vero?” commentò Agostino sogghignando.<br>“Chi? I cacciatori? E certo che no! Che male gli avrà fatto, poi, quella povera bestia?”<br>“Prova a chiederglielo. Guarda, è ancora lì.”<br>In effetti il gallo era tornato, e li stava guardando con quella che non poteva essere altro che curiosità. Bartolomeo suonò una manciata di note, una specie di saluto. Per tutta risposta l’altro aprì la coda a ventaglio, mettendo in mostra una bizzarra coppia di lunghissime penne laterali dalla punta ricurva che facevano rassomigliare il tutto a una..<br>“Com’è che si chiamava quella cosa che suonava Nerone mentre Roma bruciava?” domandò Bartolomeo.<br>“La Cetra?”<br>“Sì, quella lì. Non ti sembra che la sua coda assomigli a una Cetra?”<br>“O era una Lira? Che differenza c’è tra le due? Comunque sì, mi sembra. Neanche tanto, però. Ma è lui che fa queste voci?” Si sentiva uno strano risucchio, come lo scarico di un lavandino mal funzionante, e un borbottio a metà strada tra il verso del piccione e quello del tacchino.<br>“Sembrerebbe di sì. Beh, se lui canta, noi suoniamo, no?”<br>“Siamo qui per questo. Attacca.” Ai primi accordi della melodia scelta per il compito</font><font data-blogger-escaped-style="font-family: Times New Roman; font-size: medium;" face=""times new roman"" size="4"> il gallo prese a zompettare avanti e indietro, a saltare, a camminare in cerchio. E a sprofondare anche nella neve, ma quello probabilmente non rientrava nelle sue intenzioni. Sbalorditi, i due Pivari si interruppero per guardarlo, e altrettanto fece l’uccello. Ripartirono, e ripartì anche lui. Si fermarono nuovamente, e nuovamente si fermò anche quello. Dopo un po’ di tira e molla i musicisti decisero di proseguire indipendentemente dalle coreografie altrui, e il volatile proseguì anche lui per una buona ventina di minuti. Poi, senza una ragione apparente, spiccò rumorosamente il volo e scomparve nel primo sottobosco. <br>Rientrati in albergo, i due andarono a cercare il Rinaldo Covina, che faceva un po’ da guida per i turisti e aveva dimostrato di saperne più di tutti su piante e animali del posto.<br>“Era senz’altro un Gallo Forcello, o Fagiano di Monte se preferite. Ma non ce li avete voi, dalle vostre parti?"<br>“Adesso che lo hai battezzato, mi sembra proprio di sì. Devo averne sentito parlare qualche volta. Ma stanno sempre su in alto, come qui. I nostri galli del fondovalle al massimo sono Padovani, come le galline."<br>"Non ne avevo mai visti neanche io" intervenne Bartolomeo. "Fino ad oggi almeno." <br>"Allora venite con me, che ve ne faccio vedere un altro."<br>"Qui in albergo?"<br>"Sì, venite.."<br>Passarono attraverso le cucine, sfidando le ire dei cuochi già ferocemente impegnati nella preparazione della cena del Galà di Natale, e arrivarono fino alla hall, dove la direzione aveva allestito il tradizionale Presepe. <br>"Ecco: date un occhiata là, sul tetto della capanna" li invitò il Covina. I due si avvicinarono per guardare. Sulla tettoia che riparava la Natività c'era un gallo nero che non poteva essere che il loro amico Forcello. <br>"Non mi vorrai dire che ce ne era uno anche a Betlemme!" Protestò Bartolomeo. <br>"No, no di certo. Però ci sono delle leggende che raccontano di come durante la notte di Natale, il primo Natale intendo, un gallo nero abbia cantato dal momento della nascita di Gesù fino all'alba successiva. Per portare al mondo la lieta novella, dicono alcuni. Oppure per tenere lontani i diavoli del deserto, sostengono altri. Insomma, il perché con si sa, ma comunque ha cantato."<br>"Ma davvero?"<br>"Proprio così, ne parla anche Shakespeare nell'Amleto. Qualcosa del genere, comunque."<br>"Beh, ma che c'entra il nostro gallo?"<br>"E' un'idea del nostro Don Giulio. Dice che dai versi che fa questo qui, è ovvio che deve essere stato lui a cantare tutta la notte da Gesù. E così si è giocato la voce.."<br>Dopo un istante di assestamento i due ragazzi scoppiarono in una sincera risata, risata a cui si unì subito anche la guida.<br>"Sarà venuto in montagna per curarsi" azzardò Agostino. "L'aria di queste parti è fenomenale per la gola, si sa."<br>"Comunque sono ancora più contento di aver fatto amicizia, oggi" commentò Bartolomeo. "E se è alle dipendenze dirette del capo lassù, speriamo che ci metta qualche buona parola, di tanto in tanto."<br>"Speriamo."<br>"Speriamo."</font></p><h2 style="font-family: "Times New Roman";"><font color="#4f81bd" data-blogger-escaped-style="color: #4f81bd; font-family: Times New Roman; font-size: large;" face=""times new roman"" size="5">25 dicembre, Mottarone.</font></h2><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><br></p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><font data-blogger-escaped-style="font-family: Times New Roman; font-size: medium;" face=""times new roman"" size="4">Bartolomeo si svegliò con gli occhi tutti appiccicati e la bocca che sapeva di segatura. Mamma mia, che festa. Avevano suonato prima, avevano suonato durante, e avevano suonato anche dopo, fuori, sulla neve. Le pive erano state un successone. Un Inglese, anzi, no: uno Scozzese, aveva anche provato a replicare un paio di melodie delle sue terre. Dove, diceva, si usavano degli strumenti molto simili ai loro. Il risultato non era stato all'altezza delle aspettative, ma tutti quanti si erano divertiti un mondo. Un Americano di Atlanta, Georgia, per un po' aveva requisito l’intera orchestrina cercando di far suonare quadriglie e contraddanze, e anche un tipo di musica che lui chiamava "di campagna" e che giurava che prima o poi sarebbe partita dalla sua città alla conquista di tutti gli Stati Uniti d'America. Quelli veri, quantomeno. Ma il culmine della serata era stata la Messa di Mezzanotte, era perfino arrivato un prete apposta da Varallo per celebrarla. A Don Giulio non era piaciuto per niente, ma era un amico di famiglia dei proprietari. E poi lui non sarebbe potuto venire, ad ogni modo. Avevano bevuto troppo, e dormito troppo poco, ma adesso era ora di muoversi. Agostino era già più avanti, aveva recuperato un po' degli avanzi che avevano raccolto nelle cucine la sera prima e stava facendo colazione. "C'è la nebbia" dichiarò. <br>"Hai guardato fuori?"<br>"No, mi hanno mandato un telegramma. Certo che ho guardato fuori."<br>"Nebbia o non nebbia, noi dobbiamo andare."<br>"E chi dice di no? Però c'è la nebbia."<br>Mandato giù qualche boccone e preparato il necessario, i due si avventurarono all'aperto. <br>"Caspita che nebbia!" esclamò Bartolomeo appena superata la porta. <br>"E che ti avevo detto?"<br>"Sì, ma non mi aspettavo che fosse così spessa. Speriamo che si sollevi."<br>"Tecnicamente sono nuvole, ed è difficile che si sollevino più di tanto. Al massimo si diradano. O si spostano."<br>"Quello che è. Basta che si levino dalle scatole. Non si riesce neanche a capire da che parte si deve andare."<br>"Beh, non esageriamo. La pista si vede ancora."<br>"Più o meno. Comunque muoviamoci. Sono tutto rintronato, magari questo fresco mi rimette a posto."<br>"O ti ammazza. Dai andiamo."<br>Pochi minuti dopo la via era già perduta. Avevano probabilmente voltato a sinistra dove avrebbero dovuto voltare a destra. O erano andati dritti. O qualcos'altro. Di fatto, l'ultima discesa li aveva portati a un punto morto, con il bosco da una parte ed un versante impraticabile dall'altra. O, almeno, così sembrava. <br>"E qui dove siamo, adesso?"<br>"Ne so quanto te. Sono dei pinnacoli quelle ombre laggiù?"<br>"O forse una cima." <br>"Non ce ne dovrebbero essere lungo la pista."<br>"Non lungo quella giusta, quantomeno."<br>"Dici che ci siamo persi?"<br>"Sembra proprio di sì, a meno che... Ma cos'è questo rumore?" dalle chiazze di rododendri che spuntavano dalla neve proveniva uno strano risucchio, seguito spesso da un borbottio a metà strada tra il verso del piccione e quello del tacchino. <br>"Deve essere uno di quei galli." <br>Improvvisamente dalla macchia sbucò una testolina nera sormontata da due 'sopracciglia' di un bel rosso vivo, cancellando ogni possibile dubbio. "Magari è proprio il nostro amico" azzardò Agostino.<br>"Può essere. Quanti mai ce ne saranno, qui?"<br>Intanto il Forcello si era fatto avanti. Arrivato a circa un metro dai due Pivari si fermò ad osservarli in quella che non poteva essere altro che una posizione di attesa. <br>"Mi dispiace, bello mio, ma questa volta non abbiamo il tempo per fermarci a suonare. Nemmeno per tirar fuori gli strumenti, a dire il vero. Ma ci ha fatto piacere incontrarti, se sei sempre tu."<br>Il Gallo li scrutò ancora per un secondo o due, poi girò sugli speroni e si avviò sui suoi passi per qualche metro. Quindi si voltò nuovamente e tornò a fissarli.<br>"Ma cosa vuole, secondo te?" domandò Bartolomeo più a se stesso che al socio, muovendosi quasi automaticamente verso l'animale. "E adesso che fa?" Il Gallo si era allontanato di qualche altro metro, come per mantenere le distanze, ma poi si era fermato nuovamente a guardarli.<br>"Secondo me vuole che lo seguiamo" rispose alla fine Agostino.<br>"E dove?" <br>"Cosa vuoi che ne sappia. Magari ci vuole presentare la famiglia."<br>"Facile."<br>"O magari conosce una strada per scendere a valle."<br>"E magari ci porta lui in bicicletta."<br>"Bravo, fai anche lo spiritoso, così si offende e ci molla qui." <br>"Ma non starai pensando di seguirlo sul serio?"<br>"Abbiamo fatto cose più strane."<br>"Dimmene tre."<br>"Comunque, che altra scelta abbiamo? Non si vede un accidente, non sappiamo dove siamo o da che parte andare, e intanto Don Giulio tra una mezz'ora al massimo scende a Gozzano, che ci siamo o no."<br>"Un po' ci aspetta, l'hai sentito."<br>"Un'altra mezz'ora al massimo. Poi deve partire, altrimenti non arriva in tempo neanche lui."<br>"E allora seguiamo il Gallo?"<br>"Hai un'idea migliore?" <br>Bartolomeo si girò verso il volatile. "Allora vada pure, signore. Noi la seguiamo."<br>Come a dimostrare di aver compreso il messaggio, il Gallo si avviò immediatamente, seguito alla meglio dai due Pivari ancora montati su sci. A volte spiccava il volo per brevi tratti, sempre preoccupandosi però di rimanere in vista. A volte risaliva il pendio o scalava una gobba, con i due amici che arrancavano dietro avanzando a"liska di pescie", come diceva Thomas. Per la maggior parte del tempo, però, si limitava a guidarli giù lungo un tracciato che vedeva solo lui e che consentiva anche ai due principianti di tenere il passo. Dopo un viaggio durato un'eternità, anche se poi non doveva essere stata neppure un'ora, la foschia prese a diradarsi. Il cielo si fece più luminoso, e qua e là cominciarono a comparire i contorni delle nuvole (o dei banchi di nebbia), agitati da una brezza invisibile ma piuttosto vigorosa. Infine apparvero i primi squarci di sereno, e tutto d'un colpo il gruppetto si trovò allo scoperto, al centro di un'incantevole prato innevato. Il Forcello si arrestò nuovamente, voltandosi per controllare il risultato. Poi gloglottò sonoramente un paio di volte ed infine volò via, rientrando nel nebbione e sparendo alla vista.<br>"Tanti saluti anche te, amico mio. E grazie per il passaggio" gli gridò dietro Agostino.<br>"E Buone Feste, quelle rimaste almeno. Ci rivediamo tra qualche giorno" completò Bartolomeo. "Ma tornando a noi, hai capito dove siamo finiti? Non vedo i Laghi, né a destra né a sinistra. E anche queste montagne qui davanti non mi suonano giuste, anche se in un certo qual modo mi sembrano familiari."<br>"Giù a Sud c'è una città piuttosto grande, potrebbe essere Gozzano. O Borgomanero."<br>"Non mi quadra. E' troppo grossa. E poi, se lo fosse, il Lago d'Orta sarebbe proprio qui di fianco. Dove invece c'è quel fiume."<br>"Aspetta: lo so io dove siamo. Quello è il Cervo, e la città a valle è Biella."<br>"Lo sapevo. Sei impazzito."<br>"Ma no, guarda: Rosazza (lo vedi il castello?), San Paolo, Sagliano e..”<br>"Andorno! Ti venisse un colpo, siamo a neanche un ora da casa!"<br>"Ed è tutta discesa."<br>"Ma come è possibile?"<br>"Merito della nostra guida, immagino."<br>"Ammesso e non concesso, la domanda rimane: come è possibile?"<br>"Avrà piazzato quella buona parola presso le sue amicizie altolocate, ricordi? Francamente, non lo so e non mi importa. L'unica cosa che conta è che se ci diamo una mossa invece di stare qui a friggere aria, magari riusciamo ad arrivare a casa per il pranzo. <br>"Giusto. Allora scendiamo."<br>Precipitarono a valle ad una velocità che neanche una valanga avrebbe potuto eguagliare, raggiungendo le prime abitazioni del paese in anche meno dell'ora preventivata. Per caso o per combinazione, che poi è la stessa cosa, la prima persona che incontrarono fu il Giuseppe, cioè il cognato di Agostino. <br>"Ma guarda un po' chi si vede, i due artisti. Ma non dovevate rimanere su all'albergo fino a Natale?"<br>"Già. E difatti che giorno è oggi?"<br>"La Vigilia."<br>Il Beppe non era il suo parente (o affine) più sveglio.<br>"No, caro. La vigilia era ieri, e di conseguenza oggi è Natale. <br>"Ascolta: non so che calendario usiate su in montagna, ma qui oggi è la Vigilia, e il Santo Natale è domani. E se non credi a me, credi al parroco. Don Dino, che giorno è oggi?"<br>Il parroco stava giusto passando di li. "Ma hai già bevuto a quest'ora Beppe?"<br>"No, è mio cognato che ha dei problemi con il calendario."<br>"E' la Vigilia di Natale. Perché, che credeva?"</font></p><h2 style="font-family: "Times New Roman";"><font color="#4f81bd" data-blogger-escaped-style="color: #4f81bd; font-family: Times New Roman; font-size: large;" face=""times new roman"" size="5">24 dicembre, Tavigliano.</font></h2><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><font data-blogger-escaped-style="font-family: Times New Roman; font-size: medium;" face=""times new roman"" size="4">La messa di Mezzanotte stava per incominciare. Agostino raggiunse Bartolomeo per scambiare due parole, dal rientro in paese i due non avevano più avuto occasione di incontrarsi. <br>"Sai," attaccò, "questo pomeriggio pensavo che sarebbe stato divertente riuscire a rientrare in Albergo in giornata, giusto per vedere le nostre facce nel vedere le nostre facce."<br>"Curioso, non mi era venuto in mente. In effetti sarebbe stato divertente."<br>"E invece siamo qui. E ad ogni modo non so se mi sarei creduto."<br>"Forse dovremmo dire che siamo 'anche' qui'."<br>"Certo che è un Natale strano questo." <br>"Un doppio Natale. Un Natale Forcello."<br>"Già, proprio Forcello."<br>"E allora facciamoci gli Auguri" <br>"E allora Buon Natale. Buon Natale di qua e di là."<br>"Buon Natale a Noi, Buon Natale a Tutti."</font></p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><br></p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><font data-blogger-escaped-style="font-size: medium;" size="4">E Buon Natale anche ai lettori.</font></p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><br></p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";">Natale Forcello by <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html">Fabrizio Burlone</a> is licensed under a <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><u>Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</u></a>.</p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";">Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://birdcosi.blogspot.com/">http://birdcosi.blogspot.com/</a></p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";">Illustrazione di Eugenio Bausola</p><p style="margin: 0px; font-family: "Times New Roman";"><a href="http://lh5.ggpht.com/-C0XOup01E3M/UNhlcwvVHbI/AAAAAAAAEjM/OfU2Kg8SB4g/s1600-h/image%25255B2%25255D.png"><img alt="image" border="0" data-blogger-escaped-style="background-image: none; border-bottom: 0px; border-left: 0px; border-right: 0px; border-top: 0px; display: inline; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px;" data-orig-src="http://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" height="35" src="https://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" title="image" width="92" style="cursor: move; background-image: none; border-width: 0px; border-style: initial; border-color: initial; display: inline; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px;"></a></p>
<!-- Blogger automated replacement: "https://images-blogger-opensocial.googleusercontent.com/gadgets/proxy?url=http%3A%2F%2Flh5.ggpht.com%2F-KXs7-y1lcsM%2FVJoDJ3zLHDI%2FAAAAAAAAJbU%2FeOqYCTQZkKQ%2FNATALE%25252520FORCELLO%25252520copia_thumb%2525255B3%2525255D.jpg%3Fimgmax%3D800&container=blogger&gadget=a&rewriteMime=image%2F*" with "https://lh5.ggpht.com/-KXs7-y1lcsM/VJoDJ3zLHDI/AAAAAAAAJbU/eOqYCTQZkKQ/NATALE%252520FORCELLO%252520copia_thumb%25255B3%25255D.jpg?imgmax=800" --><!-- Blogger automated replacement: "https://images-blogger-opensocial.googleusercontent.com/gadgets/proxy?url=http%3A%2F%2Flh4.ggpht.com%2F-Na_XyTVdv8I%2FUNhlePGj3kI%2FAAAAAAAAEjU%2Fb-JTrjWfFUo%2Fimage_thumb.png%3Fimgmax%3D800&container=blogger&gadget=a&rewriteMime=image%2F*" with "https://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" -->Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-28598200836014316792017-01-12T15:08:00.001-08:002023-12-18T08:36:44.193-08:00Carovana di Natale<a href="https://lh3.googleusercontent.com/-l2N3Yfuvaxk/WF59I0UffRI/AAAAAAAAO1c/sELLLps0WNc/s1600-h/Carovana%252520di%252520Natale%25255B7%25255D.jpg" target="_blank"><img alt="Carovana di Natale" height="483" src="https://lh3.googleusercontent.com/-q80FV_iO8vA/WF59JW2sP9I/AAAAAAAAO1g/2Q2eUIO9s78/Carovana%252520di%252520Natale_thumb%25255B4%25255D.jpg?imgmax=800" style="display: inline;" title="Carovana di Natale" width="640" /></a><br />
La tempesta li aveva lasciati stanchi e disorientati, ma, fondamentalmente, vivi. Il che era già una gran cosa. Melchiorre provò a scrollarsi via un po’ di sabbia dai vestiti, giusto per marcare un punto. Ma visto che più ne toglieva, più ne arrivava, decise di lasciar perdere per il momento. Rivolse lo sguardo intorno, alla ricerca dei suoi compagni. La visibilità era ancora pessima e la polvere, che volava da tutte le parti in refoli, mulinelli, nuvole e quant'altro, non facilitava di certo il compito. Provò a chiamare, e la sabbia gli entrò in bocca. Tossì, sputò, lanciò anche qualche imprecazione, e una voce conosciuta gli venne in risposta.<br />
“Qui. Sono qui, alla tua destra.”<br />
Sulla destra si scorgevano solo delle ombre, ma in effetti quella era la direzione in cui aveva visto dirigersi la carovana prima che la sabbia lo accecasse. Si avviò e dopo pochi istanti raggiunse chi aveva parlato.<br />
“Che tempesta!” commentò Gasparre. “Cavalco queste sabbie da sempre, ma una furia come questa non l’avevo mai vista.”<br />
“Nemmeno io. Per nostra buona sorte è ormai passata, o quasi.”<br />
“Quasi. E’ ancora difficile respirare.”<br />
"Non ci lamentiamo" commentò il terzo uomo che aveva appena rinforzato il gruppo. "E’ passata, e siamo ancora vivi. Questo è quello che conta veramente. Queste ultime ripicche svaniranno a breve, e potremo proseguire"<br />
“Dopo ben tre giorni, Baldassarre. E abbiamo anche perso la guida.”<br />
Baldassarre alzò gli occhi al cielo, dove le ultime nuvole di polvere stavano lentamente diradandosi. “No, è ancora là. Guardate.” Appena appena, all’inizio, ma poi con sempre maggior chiarezza, a mezza via tra l’orizzonte e lo zenit brillava tranquilla una piccola stella cometa. “Ci è stata inviata dall'Onnipotente, e ci vorrà ben più di una tempesta di sabbia per nasconderla.”<br />
"E allora seguiamola" esortò Melchiorre. "In marcia."<br />
I tre uomini discesero rapidamente la piccola duna su cui si erano quasi casualmente radunati, raggiungendo quasi subito la carovana che si stava faticosamente rassettando. Nel trambusto, nessuno aveva fatto caso ai due grandi uccelli bianchi e neri che volavano lentamente in alto in alto, proprio al di sopra delle loro teste. Poco male dopotutto: non erano dei grande rapaci da ammirare, e nemmeno di quelli da cui gli auguri riuscivano a trarre i loro auspici. Non erano buoni da cacciare, non erano neanche una cosa rara da vedere, da quelle parti. Era solo due cicogne, che però, curiosamente, anziché proseguire per la loro strada continuavano a volteggiare sulla compagnia cammellata, quasi a tenerla d'occhio.<br />
"Non ce la fanno” pensò tra sé e sé una di esse. “Non ce la possono fare.”<br />
<br />
Melchiorre, che era il più versato nelle arti matematiche, puntò per un’ultima volta la macchina di Ipparco verso il sole e ripeté nuovamente i calcoli nella sua mente. Quindi ripose lo strumento nella custodia di cuoio ed ottone, assicurandosi che ogni cinghia fosse serrata e ogni blocco bloccato. Era un oggetto prezioso.<br />
“E allora?” gli domandarono gli altri due, praticamente in coro. <br />
“E allora avremmo dovuto essere ben più avanti di quanto siamo ora, invece.” <br />
“Ne sei certo?”<br />
“Certissimo. Nelle stelle sta scritto che la stella si nasconderà tra due giorni, o forse tre, così da non indicare la strada agli uomini dagli intenti malvagi che incontreremo lungo il percorso. E tornerà solo quando questi saranno ormai alle nostre spalle. Tra due giorni, forse tre, però, intorno a noi ci sarà ancora solo deserto, e quando la stella sparirà noi potremmo non avere ancora individuato la direzione giusta”<br />
“D’altra parte, la profezia dice che il Re dei Re nascerà nella terra dei Giudei. Quindi, se e quando la necessità dovesse richiederlo, potremo pur sempre dirigerci verso Gerusalemme. Là troveremo sicuramente scribi e sacerdoti in grado di indicarci la via. Un evento di tale grandezza sarà stato sicuramente rivelato anche dai loro profeti e dai loro astrologi.”<br />
“E vero, ma è anche vero che potrebbero essere proprio quelli gli uomini dalle malvagie intenzioni che dobbiamo evitare.”<br />
“E perché mai, visto che proprio il Re dei Re li guiderà verso il Regno dei Cieli?”<br />
“Hai ragione, Gasparre, perdona i miei timori che a volte mi nascondono anche l’evidenza.”<br />
“Che invece l’Onnipotente benedica la tua prudenza, Melchiorre, che tante volte ci ha consentito di evitare i più grandi pericoli. E anche in questa occasione le daremo ascolto, evitando di dire più dello stretto necessario e di prendere decisioni senza aver prima consultato le stelle.”<br />
“E gli Angeli” aggiunse Baldassarre. <br />
“E gli Angeli” confermò Gasparre.<br />
Soddisfatti della decisione presa, i tre tornarono rapidamente alle loro cavalcature e, senza porre altro tempo in mezzo, si avviarono lungo la pista. Il ritardo accumulato era ormai irrecuperabile, ma loro avrebbero comunque provato a ridurlo il più possibile. Fortunatamente la carovana era ormai ridotta ai minimi termini, e farla marciare a buon passo non sarebbe stata una gran difficoltà. I mercanti, con i loro carichi di spezie e tessuti ben custoditi da guardie e soldati, i negrieri, gli schiavi, gli ambasciatori e le prostitute e l’intera coorte di avventurieri, mercenari, studiosi e viaggiatori per chissà quanti altri motivi, si erano diretti tutti verso le ricche città di Siria ed Egitto, lasciando i nostri amici soli con i pochi servitori che avevano scelto di portarsi appresso per un viaggio così lungo e costoso. Questo, forse, avrebbe insospettito un tantino uomini più avvezzi alle questioni mondane, e sarebbero bastate poche chiacchiere davanti al fuoco per scoprire che la Giudea, al momento non era esattamente un luogo di pace e tranquillità, e che a Gerusalemme regnava un sovrano che si teneva aggrappato al trono (e alla vita) con la spada. Ma, si sa, chi passa tanto tempo a studiare le cose della sfera celeste spesso e volentieri non dedica altrettanta attenzione a ciò che avviene al di sotto di essa, e di conseguenza ai tre viaggiatori non venne neppure in mente di raccogliere informazioni in questo modo. Così la piccola e solitaria spedizione proseguì sulla via indicata dalla stella, ignara dei pericoli che avrebbe potuto incontrare.<br />
E ignara anche della solita coppia di uccelli che la sorvolava, una coppia mista nell'occasione.<br />
"La direzione è corretta, quantomeno." dichiarò l'Albatro, più che altro per tener su il morale.<br />
"Grazie, ma proprio non mi serve.." rispose la Cicogna. <br />
"Scusa, Geremia. E’ che mi sembra che stia andando tutto per il verso giusto. Non capisco da dove vengano tutte queste tue preoccupazioni…"<br />
"Hai ragione, naturalmente. E' che ormai mi sembra di dovermi curare di tutte le cose del mondo, anche quando non ce n'è bisogno." <br />
"Credo che sia lo spirito dello stormo. Io, beh, la mia storia la conosci: appartengo invece ad un popolo più 'solitario'."<br />
"Già, sarà quello."<br />
"E l'età..."<br />
"Ha parlato il giovanotto... Ma una volta non mi avevi fatto credere di essere l'animale più antico del mondo?"<br />
"Antico, non vecchio. E' un'altra cosa. Ma a parte tutto, cosa vorresti fare? Accorciare il deserto? Rallentare lo scorrere del tempo? Allungare le gambe dei cammelli? Pensi forse che l'Onnipotente non potrebbe provvedere, se ce ne fosse necessità? O che non avesse previsto la tempesta, o sbagliato la conta dei giorni?" <br />
A Geremia scappò un sorriso a mezzo becco. "Di nuovo, hai ragione. Ma guardali: punti fermi in un mare di sabbia. Soli, sperduti (o quasi). Tra poco sarà la notte più importante di sempre, di tutti i sempre. E loro la passeranno su di una pista deserta, senza neanche un indizio di quanto stia accadendo a così poca distanza, senza un amico con cui condividere questa immensa gioia." <br />
L'Albatro non disse nulla per qualche momento, poi: "A questo, con un po' di fortuna, possiamo rimediare..." <br />
<br />
La Cicogna stava ritta sul culmine di una grande di duna, e sembrava stesse aspettando. Fu Gasparre ad avvistarla per primo. La fece anche notare agli altri, ma in effetti non c’era molto da notare. L’uccello piegò la testa all’indietro, battendo contemporaneamente il becco a ripetizione. Come una specie di raffica. Poi prese il volo, dirigendosi verso l’interno. Alla duna successiva, qualche minuto più avanti, le Cicogne erano due, a quella dopo tre, tutte a ripetere la stessa manfrina, poi quattro, poi cinque. Alla lunga anche il meno brillante dei viaggiatori sarebbe arrivato a capire che la cosa doveva avere un qualche significato, e ai nostri bastarono solo sei ripetizioni. <br />
“Le seguiamo?” domandò Gasparre a nessuno in particolare. <br />
“E che altro?” rispose Melchiorre. <br />
La carovana deviò sulle sabbie, diretta verso quella che sembrava una serie di piccole alture non troppo distanti. Le Cicogne si posarono ad attenderli più volte lungo il tragitto, ed al primo gruppetto si aggiunsero numerosi altri esemplari, forse provenienti da altre postazioni piazzate più avanti sulla pista carovaniera, che non si sa mai. Per tutto il tempo fu sufficiente alzare gli occhi al cielo o all'apice della prossima altura per sincerarsi di essere nella giusta direzione. Poi, proprio mentre i viaggiatori stavano ancora risalendo un ultima china, gli uccelli proseguirono, sparendo dalla visuale. Arrivati in cima, il motivo fu evidente: dinnanzi, sorprendente, c’era quella che non poteva che essere la ragione di tutto quel movimento: un oasi. Sorgeva improvvisamente, dal nulla, proprio ai piedi di una parete di roccia quasi verticale. L'ultima fila di Cicogne ancora in volo si diresse esattamente al centro, e non appena si fu posata un’immensa nube di piccoli uccelli bruni si sollevò nel cielo, in un unico battito d’ali. La nuvola mutò di forma espandendosi e restringendosi come una bolla d’aria nell’acqua. Cambiò direzione, prese quota e poi precipitò fin quasi a schiantarsi sulle cime delle palme da cui si era alzata. Si allargò come una cascata, si divise, si riunì, sembrò mimare la foggia di mille oggetti e nessuno. Infine si arrestò sul posto, per aria, in attesa... <br />
“Questa è magia!” esclamò uno dei pochi servitori rimasti.<br />
“No, ragazzo” rispose Melchiorre. “Questo è un Miracolo.”<br />
“Gli Storni di Rahat.. ” Commentò Gasparre.. “Ci stanno aspettando. Andiamo..”<br />
Come in risposta alla loro decisione, gli storni abbandonarono la posizione e la nuvola si dissolse nel nulla. <br />
La piccola carovana si mosse rapidamente in direzione dell’oasi, arrivando a destinazione che la luce del giorno aveva appena appena iniziato a tingersi dei colori del tramonto. “Fermi!” Chiamò improvvisamente Baldassare. “C’è gente!” Il gruppo si bloccò all’istante. Non che fosse un pericolo di per sé, e neppure un fatto inusuale o inatteso. Nel deserto, però, ogni fatto nuovo andava valutato con prudenza. E non solo nel deserto, in effetti. “Dove?” <br />
“Là, tra le palme.”<br />
“Ma non sono persone.. Sono uccelli”<br />
“Però sembrano persone.”<br />
“Ma non lo sono.”<br />
“Però ci sembrano”<br />
“Vogliamo finirla?” Intervenne il terzo Magio. In effetti tra gli affusti dei palmizi che si innalzavano un po’ più avanti si aggiravano gruppi di alti uccelli trampolieri che, tra il chiaro e lo scuro (per non dire della distanza), potevano anche essere scambiati per persone. A prima vista quanto meno. “Sono Aironi, e quelle con il marchio rosso sulla testa sono Gru. <br />
“E cosa ci fanno qui?” <br />
“Sono migratori, probabilmente questa oasi è un punto di sosta.” <br />
“E non sono soli. Guardate, è pieno di uccelli qui..”<br />
Di fatto tutto intorno era un tripudio di penne e piume di ogni lunghezza e di ogni tonalità.<br />
C’erano i coloratissimi Gruccioni, di almeno due razze diverse. C’erano le scintillanti Nettarine, dei Ciuffolotti di un bizzarro rosato, Otarde di varie dimensioni, Quaglie, Pernici, Nibbi, Tortore, Colombi, Martin Pescatori e chissà quante altre bestie che magari si vedevano appena, ma c’erano.<br />
“Tutti in sosta? Tutti quanti?”<br />
“E perché no? E’ buon posto, e anche per noi direi. Ci si potrebbe mettere comodi facile facile e passarci la notte…”<br />
“Beh, questa è un’ottima idea: abbiamo ancora un’ora abbondante di luce, approfittiamone per montare un campo confortevole, per una volta.”<br />
Così, dopo giorni e giorni di pasti frugali e notti quasi all’addiaccio, la carovana poté finalmente godersi una cena decente e un po’ di tranquillità davanti ad un bel fuoco.. Ed erano ancora tutti lì, a chiacchierare del più e del meno, quando gli uccelli, all'unisono, esplosero in un canto che suonò istantaneamente come la cosa più festosa che anima viva avesse mai sentito. In cielo, in terra ed in ogni luogo. Gli uomini si guardarono l’un l’altro perplessi, poi Melchiorre, che come sappiamo era il più versato nelle arti matematiche (anche se qui non c’entra), ebbe un’intuizione. <br />
“E’ nato!” <br />
“Come?” <br />
“E’ nato!”<br />
“Lui?”<br />
“E chi se no? Lui. Il Re dei Re!” intervenne Baldassare che nel frattempo era giunto alla medesima conclusione. “E ce lo siamo perso!”<br />
“Così era scritto” commentò Gasparre. Quindi si avviò verso uno dei cammelli e prelevò una bottiglia da una bisaccia. “Qui ho dello Spirito di Shus, forse se ne beviamo abbastanza potremo unirci al canto dei nostri amici pennuti.”<br />
“Possiamo quantomeno far festa insieme, dovremmo avere delle granaglie tra le provviste, sicuramente dei datteri e magari qualcos’altro da condividere. Andiamo a vedere.” <br />
“E poi Lui lo troveremo ancora lì, al nostro arrivo. Dove vuoi che vada?”<br />
“Già, siamo ancora in tempo. E allora fai girare lo Spirito, e buona Nascita”<br />
“Buona Nascita”<br />
“Non suona bene. Forse buona Natività” <br />
“O Natale. Che ti sembra? Buon Natale!”<br />
“Meglio. Buon Natale, allora. <br />
“Buon Natale a tutti”<br />
Il deserto ha le sue regole, festa o non festa, e le prime luci dell’alba trovarono la carovana già in movimento. Anche se con un passo più lento e incerto del solito. Come sempre, nessuno notò la coppia di uccelli che la teneva d’occhio dall’alto.<div>“Dritti verso la tana del lupo” commentò la cicogna, che non era la stessa di sempre. <br />
“Così è scritto, evidentemente. E comunque non sta a noi di occuparci di questa faccenda. Stai ben certo che al momento opportuno quello che deve avvenire avverrà. Piuttosto, andiamo a raggiungere Geremia” propose l'Albatro.<br />
“Sai dov’è?”<br />
“Sì, voleva passare questa notte con il suo stormo, poi si sarebbe recato a salutare il bambino. Siamo d’accordo di incontrarci lì.”<br />
“E' tempo di muoverci, allora. A breve qualcun altro verrà a proseguire la sorveglianza.. fai strada.."<br />
“Meglio che guidi tu. Io non vengo spesso da queste parti. Anzi, a dire il vero non ci vengo mai. Manca l’acqua, l’Oceano..”<br />
“Va bene, guido io.”<br />
I due uccelli eseguirono una larga virata, passando per un ultima volta al di sopra della carovana. La cicogna batté più volte il becco, in segno di saluto e come in risposta, per la prima volta, tre sguardi si alzarono nella loro direzione. <br />
“Buon Natale anche a voi, amici alati.” Gridò loro uno dei viandanti. Gli altri lo osservarono un tantino perplessi (non era la prima volta, del resto) e poi si unirono all’augurio. “Buon Natale, Buon Natale”</div><div><br />
E, se permettete, duemila anni dopo mi unisco anche io. Buon Natale a loro, e Buon Natale anche a tutti noi, che le ali non le abbiamo sui fianchi ma nel cuore, e in un modo o nell’altro siamo comunque qui per volare. <br />
<br />
<a href="http://lh5.ggpht.com/-C0XOup01E3M/UNhlcwvVHbI/AAAAAAAAEjM/OfU2Kg8SB4g/s1600-h/image%25255B2%25255D.png"><img alt="image" border="0" height="35" src="https://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" title="image" width="92" /></a><br />
Carovana di Natale by <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html">Fabrizio Burlone</a> is licensed under a <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><u>Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</u></a>.<br />
Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://birdcosi.blogspot.com/">http://birdcosi.blogspot.com/</a><br />
Illustrazione di Eugenio Bausola</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-22993067907850626772015-12-26T15:42:00.002-08:002015-12-26T15:42:59.946-08:00Nedeleg Laouen Holl<div style="float: left; margin: 0pt 10px 10px 0pt; padding: 5px;">
</div>
<div class="blogaway-section">
<img src="http://3.bp.blogspot.com/-8-qLDzT_S10/Vn8T9RlgJhI/AAAAAAAALrk/dBpfLVQ0cTg/s640/Nedeleg%2BLaouen%2BHoll%2Bcopia.jpg" /><br />
<h2>
<b><u>Nedeleg Laouen Holl</u></b></h2>
<br />L'Apprendista avanzava con cautela. La ragazza dietro di lui non la smetteva un attimo di lamentarsi, ma questo non costituiva certo ragione sufficiente per affrettarsi. Non pioveva più da parecchie ore, anzi, uno spicchio di luna si era perfino affacciato da dietro alle nuvole e qua e là erano addirittura apparse le prime stelle. Incerte, titubanti. E poi erano scomparse, quasi avessero avuto altri programmi per quella fredda notte di Natale. Lo stesso vento che spazzava il cielo scuoteva anche i rami degli alberi, gettando tutto intorno gli ultimi residui della pioggia che aveva inzuppato tutta la Bretagna nel pomeriggio. Il sentiero si vedeva appena, e un po' di cautela era più che un obbligo. Non aveva certo intenzione di mettere un piede in fallo per poi doversi presentare al padrone tutto lacero ed inzaccherato, perdiana.<br />
"Uffa, ma manca ancora molto?" erano usciti da Paimpont che stava appena spiovendo, e ormai stavano camminando da quelle che sembravano ore. Al buio, al freddo ed in mezzo ad un'accidenti di foresta.<br />
"Ti avevo detto di non venire."<br />
"Eh no, bello mio. Non provarci nemmeno. E poi, Papà già non ti vede di buon occhio e se venisse a scoprire che mi hai lasciato a casa proprio questa notte per una di quelle tue cose da miscredente o, peggio ancora, da pagano, addio matrimonio.”<br />
"Già, e se invece sapesse che che sto portando sua figlia a spasso nei boschi in piena notte, chissà come sarebbe contento."<br />
La ragazza si fermò di colpo, squadrando l'Apprendista dal basso in alto come se lo stesse facendo dall'alto in basso. "Jacques Cartier" sbottò, "ma se pensi che sia così stupida, perchè ti sei messo con me?"<br />
L'altro soppesò un paio di risposte, poi decise di non affrontare la questione in quei termini. "Mi chiedevo, in effetti, che cosa tu gli avessi dovuto raccontare per ottenere il permesso di uscire a quest'ora."<br />
"Gli ho detto che andavamo alla messa di mezzanotte a Rennes, perché tu sei un buon amico del Vescovo e lui ci teneva ad averti lì per la celebrazione".<br />
Jacques sbiancò visibilmente, anche sotto la pallida luce della luna. "A Rennes? Santo celo, e come pensa che ci arriviamo? Volando? Per andare a messa con il Vescovo, poi!"<br />
"Sì in effetti mi è sembrato un po' perplesso quando gliene ho parlato. Ma papà non ha mai viaggiato molto, e comunque mi sembrava una bella storia. Al massimo gli dirò che mi hai mentito, tu intanto incomincia a pensarci su. Ci muoviamo? Si gela, qui."<br />
Detto questo ripartì di gran carriera, lasciandosi la guida ad arrancare alle spalle. Dopo un'altra decina di minuti la foresta si interruppe piuttosto bruscamente, cedendo spazio ad un placido laghetto. Sulla sponda di fronte sorgeva un cupo maniero, una malinconica fortezza che anche a quell'ora ed in quella notte mostrava segni di attività militaresche ben poco rassicuranti. Dalle acque antistanti si alzava una leggera bruma che si fermava a galleggiare, senza fretta, appena sopra alla superficie.<br />
"E'.. E' questo il lago?" domandò la ragazza con voce un tantino incerta..<br />
"Proprio questo.." confermò l'Apprendista..<br />
"E lei c'è?"<br />
"Sicuramente. E' il 'suo' lago. Ma non fare conto di riuscire a scorgerla, però. Sono tanti anni che non si fa più vedere. Tanti, veramente. Più di quanti un uomo riesca a ricordare.."<br />
"E' triste, non credi?"<br />
"Sì, forse sì. Ma oggi è un giorno di speranza, non di tristezza. E la Dama del Lago non ha mai abbandonato Brocéliande: prima o poi qualcuno la incontrerà nuovamente. Proseguiamo, ora. Il tempo non si fermerà certo a rimirare il lago. O forse lo farà, ma lui ha tutto il tempo che vuole. Noi no."<br />
Costeggiarono il lago per un breve tratto, tornando ad inoltrarsi nella foresta subito dopo. Jacques conosceva bene quei sentieri, eppure con quella luce incerta tutto quanto sembrava più indefinito, impreciso e di gran lunga più inquietante.<br />
"Non stiamo andando verso la Tomba, vero?" domandò lei, dopo un altro tratto di cammino.<br />
"No, Lui non è lì. Ma manca poco, ormai: guarda, c'è la nostra guida."<br />
Proprio di fronte a loro, in attesa sul ramo più basso di un grande faggio, un pallido uccello notturno li stava osservando..<br />
"Un gufo bianco!" esclamò la ragazza, emozionata.<br />
“Un barbagianni, per l'esattezza.” Il volatile, che anche alla scarsa luce della luna risultava piuttosto evidente, li stava scrutando con due piccoli occhi neri che sembravano due bottoni di puro inchiostro cuciti nel bianco candido del capoccione. Candido era anche il piumaggio del ventre, che scendeva giù giù fino a formare un autentico paio di calzoni che coprivano le zampe. Sembrava più un giocattolo che un uccello. Improvvisamente aprì le ali, gettandosi nella notte come un fantasma, e non fu più così facile da vedere.<br />
"Non perderlo di vista! andiamo!"<br />
I ragazzi si gettarono all’inseguimento di gran carriera. Il Barbagianni volava di albero in albero senza mai allontanarsi troppo dai due, e quando per caso o per necessità finiva per prendere troppo vantaggio si fermava immancabilmente ad aspettarli.<br />
"Mi fa impressione quando gira la testa così!" dichiarò la ragazza in un momento in cui si erano fermati a riprendere fiato "Ma guardalo, riesce a voltarla fin dietro alle spalle, sembra che gliel'abbiano messa su all'incontrario! Ma come fa?"<br />
"E' complicato" rispose l'Apprendista. Cacciò fuori dalla tasca un piccolo taccuino e disegnò rapidamente uno schema, puntando con la matita. "Hanno delle articolazioni adatte allo scopo qui e qui. In più, l'arteria vertebrale si inserisce qui, in un punto più alto rispetto ad altri uccelli ed è vascolarizzata in maniera differente, in modo che se anche dovesse chiudersi durante la rotazione il flusso di sangue resterebbe … Ma che c'è."<br />
"Mi sto annoiando" rispose lei fingendo di mettergli il broncio..<br />
"E' una specie di magia.." concluse lui, chiudendo il taccuino e facendolo sparire nella borsa.<br />
"Ecco, così va molto meglio. Vedi che se fai attenzione ci arrivi? Continuiamo, dai, che ci sta aspettando.."<br />
I due proseguirono l'inseguimento, guidati dal piccolo rapace notturno che si muoveva con sicurezza nella semi oscurità della foresta.<br />
"Non fa il minimo rumore, neanche quando sbatte le ali." constatò la ragazza.<br />
"E' per come sono fatte le sue piume, hanno delle specie di frangette che rompono l'aria e attutiscono i suoni. E poi..” il ragazzo si interruppe, colto da un’intuizione improvvisa. “E’ una specie di magia.”<br />
“Bravo! Lo sapevo che ce la potevi fare..”<br />
Pochi minuti dopo il Barbagianni si posò sul ramo di una grossa quercia senza dar segno di voler andare oltre.<br />
“Siamo arrivati” dichiarò l’Apprendista.<br />
Era un angolo particolarmente suggestivo della foresta, quello. Perfino la luna si era sporta ad ammirarlo e adesso lo illuminava con una certa intensità. L’albero su cui la loro guida si era appollaiata si trovava al centro esatto della radura, e poco più in là un gruppo di rocce circondava quella che doveva essere la fontana più cristallina di tutta Brocéliande. Il vento che agitava freneticamente le cime degli alberi lì si trasformava in una leggera brezza che portava già i profumi della primavera che sarebbe arrivata solo tra parecchi mesi.<br />
“Cosa facciamo adesso?”<br />
“Aspettiamo.”<br />
Da lontano, forse proprio da Paimpont, arrivava distinto il suono delle campane che annunciavano il sopraggiungere della mezzanotte.<br />
“Guarda, adesso..”<br />
“Guarda cosa?”<br />
“L’albero. Guarda.”<br />
Alla luce della luna, la porzione di tronco che si trovava proprio davanti a loro sembrava scintillare di cento, mille, un milione di stelle. Stelle agitate, stelle inquiete, stelle che si muovevano convergendo rapidamente verso un punto centrale che diventava sempre più esteso, sempre più brillante. Poi, improvvisamente, il nucleo luminoso si staccò dalla superficie che lo aveva ospitato allargandosi e prendendo sempre più forma e consistenza. Ci fu una specie di lampo accecante, e poi le luci svanirono lasciando al loro posto una figura umana: un vecchio, con una lunga barba bianca e folti capelli dello stesso colore. <br />
L’Apprendista corse a sorreggerlo, perché la trasformazione sembrava averlo lasciato un tantino malfermo sulle gambe.<br />
“Buon Natale, Maestro” lo salutò.<br />
“Buon Natale anche a te, Jacques” rispose l’altro. “E lei chi è?” domandò, notando la ragazza che si stava avvicinando con una certa titubanza, porgendogli una veste.<br />
“Lei è Madenn, la mia fidanzata.. Ci teneva tanto a conoscervi, Maestro.”<br />
L’uomo, che era rimasto nudo come un pollo in padella fin da quando era comparso dal nulla, afferrò gli abiti per esaminarli con una certa perplessità.<br />
“Queste non sono le mie vesti.”<br />
“No, Maestro” rispose Madenn. “Sono abiti nuovi, gli altri erano così vecchi e logori…”<br />
“Anche io sono vecchio e logoro mia cara, quindi restituiscimi pure quelli.”<br />
“Ecco, potrebbe esserci qualche difficoltà, Maestro.”<br />
“Che difficoltà, mia cara?”<br />
“Li abbiamo bruciati!” intervenne bruscamente l’Apprendista. “Scusate, ma il tempo è quel che è e girarci intorno non serve a nulla. Comunque non è stata un’idea mia.” <br />
“BRUCIATI?!! Erano gli abiti del mio ordine, perdiana! E mi portate in cambio questo coso rosso con i bordi bianchi che sembra un costume da giullare?”<br />
“Non è un costume!” Ribatté la ragazza piuttosto piccata.<br />
“E cosa sarebbe mai, di grazia?”<br />
“E’ una Dalmatica. Era la Veste degli imperatori Bizantini. L’ho modificata sui fianchi per far risaltare il punto vita ed evidenziare le spalle, poi l’ho foderata internamente per renderla più calda. I risvolti bianchi le danno un aspetto più informale. Pensavo che la si potrebbe anche accorciare e portare con una cintura piuttosto spessa e dei pantaloni in tono per ottenere un aspetto più signorile. Ci vorrebbero poi degli stivali scuri, i calzari sono troppo freddi per questa stagione le babbucce proprio non ce le vedo con il corto, e un cappello floscio, sempre a punta se proprio le piace, ma morbido. Magari con una decorazione in tono con i risvolti, per via del..”<br />
Madenn si interruppe, notando finalmente l’espressione vacua che si era dipinta sul volto dei due uomini. “Le starà benissimo” sentenziò. “E una specie di magia”.<br />
“E poi di pronto abbiamo solo questo” aggiunse Jacques sottovoce, riprendendosi dallo stordimento.<br />
“Allora la indosserò, ragazza” decise il vecchio, rivolgendole un ampio sorriso. “Ma non finisce qui”, concluse all’indirizzo dell’Apprendista. All’atto pratico l’abito si rivelò per essere una ricca tunica finemente ricamata, calda, comoda e di un certo effetto. Un po' troppo vivace, volendo, ma in fondo in fondo non gli dispiaceva affatto. E poi aveva altro a cui pensare, adesso. “Andiamo, ora. Ci sono mille cose da fare, e la notte è breve.” Detto questo batté le mani al di sopra della testa, l’aria vibrò tutto intorno a loro e i tre si ritrovarono da un’altra parte.<br />
<br />Era una radura di vaste proporzioni. La grande foresta non c’era più, anche se lontananza si riuscivano a distinguere alcuni piccoli, sparuti boschetti. Niente che valesse la pena di menzionare. Quello che invece colpiva era lo straordinario numero di massi e macigni che affollavano quasi tutti gli spazi aperti, sistemati a distanze ed in posizioni regolari. Erano centinaia, migliaia probabilmente. Piccoli come bambini o grandi come giganti, se ne stavano tutti lì, in riga ed in colonna, in attesa.<br />
“Ma dove siamo? E come siamo arrivati fin qui?” domandò la ragazza, più che un tantino spaventata.<br />
“Il come non ha importanza. Per quanto riguarda il ‘dove’, siamo a Carnac, ai campi antichi.”<br />
“E tutte quelle pietre lì in piedi?”<br />
“Ci stanno da prima che gli uomini incominciassero a contare il tempo, nessuno sa perché. Tranne il maestro, ovviamente. Beh, anche io, in parte. E tra un po’ anche tu, ma forse non c’entra niente.”<br />
“Che vuoi dire?”<br />
“Adesso vedrai.”<br />
Il vecchio si era portato al centro di uno dei cerchi megalitici più grandi, e stava cantilenando qualcosa in una lingua che in parte assomigliava al loro brezhoneg, e in parte no.<br />
“Ma cosa sta facendo?”<br />
“Il suo mestiere. Si dice che questi massi altro non siano che i legionari romani che inseguivano San Cornelio.”<br />
“E allora?”<br />
“Beh, parecchi non lo sono.”<br />
Piano piano le rocce più piccole stavano cambiando di forma. Mettevano le gambe, le braccia ed in ultimo anche la testa. Un testone enorme, orripilante, con due orecchie sconfinate piantate sui lati e capelli lunghissimi che scendevano fin oltre le spalle. Avrebbero potuto assomigliare a dei vecchi nani rinsecchiti, non fossero stati cinquanta volte più brutti e sgraziati in proporzione. <br />
“I Korrigans!” esclamò Madenn. “Scappiamo!!”<br />
“No, no, tranquilla! Questi sono buoni.”<br />
“Buoni? Cosa vuol dire?”<br />
“E’ per via del sortilegio che li ha trasformati in pietra: può essere infranto solo con mille anni di buone azioni.”<br />
“Ah! E loro le stanno facendo?”<br />
“Ci stanno provando. Ma visto che possono tornare in vita solo di tanto in tanto, quando qualche potente mago li chiama al suo servizio di solito, sono ancora piuttosto indietro con il lavoro.”<br />
Intanto i folletti si erano goffamente radunati in uno dei campi sgombri, riallineati in una nuova e più chiassosa attesa.<br />
“Ma sono proprio orribili.”<br />
“A dir poco, mia cara” intervenne il Maestro, che intanto era ritornato. “Ma per fortuna per quello che dobbiamo fare non ha importanza. Siete pronti?”<br />
“Pronti? Per cosa?”<br />
In quel preciso momento il Maestro battè nuovamente le mani al di sopra della testa, l’aria tremò ed il paesaggio cambiò un’altra volta.<br />
<br />Il vento era più forte adesso, e faceva più freddo. L’aria era satura dei profumi del mare, che non doveva essere molto lontano.<br />
“Sì ma non viene da lì.”<br />
“Come?”<br />
“L’odore. Non viene dal mare. Viene da lui” affermò Madenn. “Ed è anche tutto bagnato.” La ragazza posò l'indice sul macigno, poi se lo portò alla lingua. "Salato."<br />
Il “lui” in questione era un singolo menhir di dieci o dodici metri di altezza che torreggiava proprio davanti a loro, al centro impreciso di una larga radura. I Korrigans si erano spostati con loro e attendevano ancora, sempre tumultuosamente ordinati in file e colonne.<br />
“Ah, quello” intervenne il vecchio. “E’ che durante i rintocchi di mezzanotte lui va fare il bagno nell’Oceano. Poi torna qua.”<br />
“State scherzando vero?”<br />
“Niente affatto. Lo fa tutti gli anni, a Natale. E' una fissazione. Un tempo la gente faceva la posta qui attorno sperando di poter approfittare della sua assenza per entrare nella grotta che custodisce e rubarne i tesori. Ma ovviamente non è così semplice e di fatto nessuno ci è mai riuscito."<br />
"Ma la grotta c'è?"<br />
"Naturalmente" affermò Jacques. "Siamo qui proprio per questo. E adesso, visto che siamo vecchi amici, il nostro bagnante si farà da parte e ci farà passare." Detto fatto, il ragazzo spinse gentilmente di lato il menhir, che si spostò con facilità liberando una specie di tunnel in ripida discesa e una scalinata che non erano finora rimasti celati dal suo stesso volume.<br />
"Dai , scendiamo".<br />
Sottoterra li attendeva un ampio laboratorio, rischiarato a giorno da centinaia di globi di luce piazzati più o meno in ogni dove. I banconi erano zeppi di scatole aperte, scatole semichiuse, lavori finiti e appena incominciati come se l'attività che si doveva essere svolta nel posto fosse stata frenetica fino all'ultimo per poi interrompersi di colpo, senza preavviso. I Korrigans sciamarono all'interno, piazzandosi rapidamente alle postazioni che già sapevano di dover occupare e presero a lavorare di gran lena. C'era chi costruiva, chi assemblava, chi verniciava e chi impacchettava. In un attimo il cumulo dei colli completati al fondo dell'officina diventò importante, promettendo di diventare ingombrante in breve ed ingovernabile in poco di più.<br />
"Quindi è qui che realizzate i regali."<br />
"Proprio così, mia cara" rispose il Maestro, con più di una punta di orgoglio nella voce. "Ed è proprio una bella fabbrichetta, lasciami dire. Tutto ottimizzato, tempi e metodi. Qui gestiamo le lettere dei bambini," indicò una grossa cesta traboccante di buste che alcuni Korrigans pescavano, annusavano e poi smistavano in ceste più piccole che venivano rapidamente recapitate ai diversi banconi. "Arrivata a destinazione, la lettera viene messa nel primo cassetto là in alto e si può incominciare subito a prelevare i materiali per la fabbricazione nei cassetti sottostanti. Non serve neanche aprirla, tanto i Korrigans non sanno leggere. I pezzi più ingombranti si trovano invece nel retro."<br />
"E come fano a distribuirle o a sapere cosa costruire?"<br />
"A fiuto. Utilizzano l’olfatto, in pratica. E' sorprendente la versatilità di questi piccoli Elfi, specie nell'esecuzione dei lavori manuali. E comunque la magia dà una mano. Finito il regalo i cassetti sono vuoti e si può ricominciare. Il lavoro finito viene impacchettato e depositato temporaneamente là in fondo, in attesa della logistica."<br />
"La logistica?"<br />
"Certo, la consegna è fondamentale, non credi? Ma torniamo fuori, ormai saranno arrivati. Guarda: stanno già portando su un po' di scatole."<br />
I tre risalirono rapidamente le scale, seguendo la staffetta di elfi che si passava, non senza fatica, una sfilza sterminata di pacchi e pacchetti da portare all'aperto.<br />
"MA COS'È' TUTTO QUESTO BACCANO?" domandò Madenn a neanche metà della rampa, gridando per farsi sentire.<br />
"LA LOGISTICA!" rispose Jacques.<br />
Sbucata nella radura la ragazza sentì il cuore balzarle in gola. Tutto intorno a lei centinaia, migliaia di grandi uccelli bianchi volavano a rotta di collo in e da tutte le direzioni. Salivano in impennata. Scendevano in picchiata, viravano da una parte e si buttavano nell'altra. Era lo spettacolo più caotico e fragoroso a cui le fosse mai capitato di assistere in tutta la sua vita, metteva quasi paura. Vincendo il timore di essere trafitta da un becco o artigliata da una zampa, si fermò nel bel mezzo dello spiazzo ad osservare. Gli uccelli non erano totalmente bianchi. La luna li illuminava abbastanza da poter distinguere almeno il giallo della testa ed il nero della punta delle grandi ali. Le zampe sembravano palmate, come quelle delle oche o delle anatre ma non ne era sicura. E, a guardar bene, il loro movimento non era poi del tutto casuale, non completamente. Al termine dello svolazzamento, infatti, ciascun uccello finiva per allinearsi lungo un unico, invisibile, sentiero che lo portava dritto dritto sulla verticale della pila di pacchetti che i Korrigans continuavano instancabilmente ad allineare. Lì si lanciava a picco verso il cumulo e quando ormai sembrava inevitabilmente destinato a schiantarsi riusciva invece ad arrestarsi, restando immobile per qualche istante a mezz'aria. Secondo regole note soltanto a lui, prelevava un collo, prendeva quota e si allontanava, svanendo rapidamente nella notte. A volte più di un uccello cooperava nel trasportare un pacco particolarmente voluminoso. A volte più uccelli, ciascuno con il suo carico, prendevano la stessa direzione, formando dei curiosi trenini che alla ragazza sembravano quasi famigliari.<br />
"E' FANTASTICO! MA COSA SONO?"<br />
"SULE BASSANE!" rispose Jacques. "ASPETTA UN ATTIMO!" Fece un paio di strani gesti nell'aria, pronunciò due parole e improvvisamente tutto il clamore dello stormo scese ad un volume più accettabile.<br />
"Ecco, così va meglio. Sono Sule Bassane. Vengono dalle Sept-Iles, da l'Île Rouzic se ricordo bene. Passano l’inverno vagabondando per tutto l'Oceano, ma per questa notte sono tornate qui, ad aiutarci."<br />
"Ma come... No, non mi dire, ci arrivo da sola: è una specie di magia."<br />
"Proprio così. Quel che conta è che domattina, quando si sveglierà, ogni bambino in ogni casa della Bretagna troverà il suo regalo di Natale sotto l'albero, o nella calza, o davanti al camino, o dovunque si aspetti di trovarselo. Questo è l'impegno che ha preso il Grande Merlino, un impegno d’amore nei confronti dei figli del suo popolo per l'unica notte in cui la magia che lo tiene imprigionato non può funzionare. Perché nessun malvagio sortilegio può operare nelle notte di Natale"<br />
"Sei due volte in errore apprendista" intervenne a questo punto Merlino. "Perché quello che mi tiene prigioniero non è un sortilegio, ma un incanto. Mille volte avrei potuto romperlo, e mille volte di fatto l'ho rotto, per poi tornare di mia volontà alla mia prigione. Perché mai oserei abbattere le mura che la mia amata ha alzato per trattenermi, fino al giorno in cui non sarà lei stessa a volerlo. E poi quello che stiamo facendo qui ora, tutti noi, è ben più che adempiere ad un impegno. E' una speranza che portiamo al mondo in nome dell'Onnipotente, è un patto che rinnoviamo ad ogni Natale. Ma piuttosto: dipendeva da te anche un altro e ben più gravoso compito per questa Notte Santa. Spero che tu non te ne sia dimenticato."<br />
Il ragazzo frugò nella borsa, estraendone un barilotto che questa non avrebbe potuto contenere (non ci crederete, ma è una specie di magia).<br />
"No, maestro. Eccolo qua, il miglior Sidro di tutta l'Armorica."<br />
"Bene, ragazzi. Visto che qui nessuno sembra avere veramente bisogno di noi, perché non scendiamo in laboratorio a festeggiare? A che serve essere il direttore della fabbrica, se poi si deve anche lavorare?"<br />
"Certo, scendiamo. E Buon Natale, maestro. Buon natale anche a te Madenn, Buon Natale ai Korrigans, Buon Natale alle Sule. Buon Natale a tutti." <br />
<br />
E Buon Natale anche a Voi, lettori, anzi: Nedeleg Laouen Holl, in Bretone.<br />
<br />Testo di Fabrizio Burlone<br />
Illustrazione di Eugenio Bausola<br />
<br />
<a href="https://lh3.googleusercontent.com/-RgQrwPuNqaM/Vn8cjzzeLpI/AAAAAAAALr0/EGyl6zkPIMA/by-nc-nd_eu.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img height="70" src="https://lh3.googleusercontent.com/-RgQrwPuNqaM/Vn8cjzzeLpI/AAAAAAAALr0/EGyl6zkPIMA/by-nc-nd_eu.png%20cursor:%20pointer;" style="border-radius: 2px; border: 1px solid; max-width: 320px; padding: 5px;" width="200" /></a><br />“Nedeleg Laouen Holl” by Fabrizio Burlone is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License. Permissions beyond the scope of this license may be requested at http://traccevisibili.blogspot.com/.<br />
<br /> </div>
<br />Unknownnoreply@blogger.comNovara, Italia45.44999114703387 8.601010562852025tag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-82763170974603293672011-12-24T07:28:00.001-08:002011-12-24T07:28:42.654-08:00L’albero di Natale<p><a href="http://lh5.ggpht.com/-_h6IU9HFBHg/TvXvk_wYlTI/AAAAAAAADu0/ITNtHAwRIag/s1600-h/L%252527albero%252520di%252520Natale%25255B6%25255D.jpg" target="_blank"><img style="margin: 5px; display: inline" title="L'albero di Natale" alt="L'albero di Natale" src="http://lh5.ggpht.com/-GOnR06_QC4A/TvXvnLpjJ-I/AAAAAAAADu8/-JlBl-umwnc/L%252527albero%252520di%252520Natale_thumb%25255B3%25255D.jpg?imgmax=800" width="580" height="478"></a> <p><b><font color="#ff0000"><em>Questa è solo una delle tante leggende a proposito che si raccontano nel Grande Nord.</em></font></b> <p><font size="3">Era tardi, anzi tardissimo. Affrettarsi non serviva a molto ormai, ma dava almeno l’impressione di poter recuperare. Il fatto è che l’estate era stata lunghissima, e l’autunno non aveva voluto essere da meno. Nei mesi in cui normalmente già si partiva per il sud, quest’anno i prati avevano rimesso i fiori e gli alberi le gemme. Beh, non tutti, ma parecchi. Arbusti e cespugli si erano riempiti di bacche, laghi e fiumi erano rimasti liberi e navigabili e il sole scaldava come in primavera. Sembrava primavera, in effetti.<br></font><font size="3">Poi, di colpo, l’inverno era arrivato. Si erano svegliati una mattina e tutta la campagna era ricoperta di brina. Punto. Nel giro di qualche giorno gli alberi si erano spogliati, il ghiaccio aveva incominciato a formarsi qua e là lungo fossi e ruscelli e il terreno era diventato duro come il marmo. Chi si era fatto furbo era partito subito, ma molti altri avevano preferito tirarla in lungo. Tanto di cibo se ne trovava, si dicevano, e poi poteva anche essere una cosa passeggera. Naturalmente non lo era stata e, svuotate le dispense, piacesse o no ci si era dovuti avviare..<br></font><font size="3">Mamma e papà Organetto erano ben equipaggiati per resistere all’inverno, non erano tra quelli che si spingevano molto a sud. Solo un po’, quando il cibo iniziava a scarseggiare. O quando si faceva lo Stormo, cioè ci si riuniva in gruppo a migliaia, a decine di migliaia, e ci si spostava tutti insieme. Così, per divertimento. Per vedere posti nuovi o per il piacere della compagnia.<br></font><font size="3">Ora, però, avevano un problema. Si erano fatti tentare da quella lunga estate che sembrava non volere finire mai, e ora aspettavano una nidiata. Non ci voleva chissà quale ingegno per capire che i piccoli non se la sarebbero cavata, adesso. Allora avevano atteso il possibile e anche più, sperando in un miracolo, e poi si erano riempiti le borsotte con i semi e le granaglie che erano riusciti a trovare ed erano partiti.<br></font><font size="3">All’inizio era andato tutto per il meglio. Man mando che si scendeva il clima si faceva meno rigido, gli alberi meno pelati. L’acqua era abbondante e sui cespugli erano rimaste ancora un bel po’ di bacche. Poi, il cielo sulle montagne a ovest si era fatto più cupo e l’aria si era riempita del profumo della neve. Si era alzato un vento gelido e potente che li aveva costretti a terra. Infine, la tormenta era iniziata. La neve era caduta per due giorni e due notti e quando alla fine il sole aveva rifatto capolino aveva illuminato un mondo completamente diverso. Il panorama era diventato uniformemente bianco e tutto intorno, a perdita d’occhio, non c’era segno di vita. Gli organetti, come si era detto, sono ben attrezzati per l’inverno. Non potrebbe essere diversamente, visto che vivono così a nord. O in montagna. Come è d’uso nella loro specie avevano subito scavato una specie di tunnel sotto la neve, e nel punto più riparato avevano allestito un piccolo dormitorio. In due, però, non ci si riusciva a scaldare più di tanto, e poi c’era sempre il problema della uova. Bisognava costruire un nido da qualche parte. Appena possibile papà Organetto volò fuori per vedere cosa si poteva fare. Il territorio negli immediati dintorni offriva poche possibilità. I rilievi, lì, erano troppo dolci per poter offrire un qualche rifugio degno di questo nome: niente anfratti, niente forre, niente brecce o caverne, niente. Arbusti e cespugli erano sepolti sotto alla neve. Nelle ore più calde ci si poteva anche arrivare, per raccogliere un po’ di cibo magari. Ma di farci un ricovero non c’era neanche da pensarci. Al di sopra svettavano perlopiù pioppi, betulle e larici, tutti spogli come da stagione. C’era però anche un certo numero di pini e di abeti, ed in potenza quelli sì che un riparo lo potevano offrire. Al momento erano anche loro coperti di neve, ma se il tempo avesse tenuto almeno per un po’... Papà Organetto tornò dalla compagna a dirle di tenere duro, che c’era da aspettare. E per farsi perdonare le portò anche una beccata di bacche di sorbo che aveva trovato appena fuori porta. Il giorno dopo nevicò ancora. Poi smise. Poi riprese. Papà Organetto continuava ad uscire e portare a casa del cibo, ma le notizie erano sempre le stesse: c’era da aspettare. Finchè di aspettare proprio non si potè più. In qualche modo papà Organetto era riuscito a costruire un nido a ridosso del tronco di un vecchio pino, anche un bel nido ad essere onesti: grande, solido, e anche caldo, per quel che si poteva fare. Era la posizione che proprio non andava. L’aveva appoggiato per forza di cose ad uno spigolo di neve ghiacciata, senza neppure poterlo ancorare. Meglio non veniva, e c’era già da esserne contenti. Mamma Organetto ci si trasferì in fetta e furia, e nel volgere di poche ore il nido si ritrovò affollato di ben quattro uova. E lì successe il patatrac. Forse quel po' di calore che per forza scappava attraverso la coppa aveva sciolto la neve. O magari era bastato quel filo di sole che riusciva filtrare attraverso le nuvole ad ammorbidirla di quel tanto che bastava. O forse era solo che tutto l'ambaradan era giusto appoggiato, senza ancoraggio. O niente di tutto questo, forse era stato solo uno scherzo del destino. Ma, di fatto, il nido aveva improvvisamente preso a muoversi. Anzi a scivolare. Dapprima lentamente, mentre papà cercava in qualche modo di trattenerlo sul posto. Poi aveva preso velocità, mentre mamma tentava almeno di rallentarne la corsa. Aveva ballonzolato su di una crosta di neve che per un istante sembrava averne bloccato il movimento, poi si era lanciato a tutta birra su di un lastrone che correva lungo tutto il ramo. Giunto all'orlo, lo aveva scavalcato con un saltino, senza pensarci due volte, ed era piombato verso il suolo come una pigna o un sasso. <br></font><font size="3">Mamma Organetto restava distesa sui suoi futuri piccoli, pronta ad affrontare il loro destino qualunque esso fosse..</font> <p><font size="3">“Preso!” esclamò l'uomo afferrando al volo il nido che gli era quasi piovuto addosso. “E tu chi sei piccolino? Un lucherino? No, dovresti essere più giallino. Un fringuello? Mah, tutto marroncino così non direi. Una pispola? Un migliarino? Un passerotto? Aspetta che metto gli occhiali e.. Ma questo che vuole?”<br></font><font size="3">Papà Organetto si era precipitato al salvataggio, aggredendo senza esitazione l'omaccione barbuto che aveva catturato la sua famiglia. Senza alcuna speranza di successo, ovviamente. Senonché..<br></font><font size="3">“Un momento, un momento” reclamò quello. “Non ho brutte intenzioni, ma tu dammi un attimo di respiro, perbacco!”<br></font><font size="3">L’uccelletto questa volta esitò. Anzi, si fermò proprio, senza nemmeno sapere il perchè. Il fatto era che la voce di quell’uomo sapeva.. beh, non è facile da spiegare.. Sapeva di buono, ecco. Gli ricordava la voce di suo Padre. Gli faceva venire in mente gli inverni in famiglia, con anche i Nonni, i Fratelli e i Cugini che ogni anno erano sempre di più. E quella volta che si erano fermati a svernare vicino al villaggio degli uomini. Tutte le notti le casette sui trespoli al limitare del bosco si riempivano magicamente di ogni ben di Dio. Semi, frutti, cose dolci e chi più ne ha più ne metta. Si arrivava al mattino ed era già tutto lì. In paese c’era anche stata una gran festa ad un certo punto, e tutti gli umani avevano mangiato e bevuto in abbondanza e poi si erano esibiti in canti e musica e forse danze, se danze si potevano chiamare quelle.. Gli ricordava tutte le cose belle e buone del mondo, specie quelle dell’Inverno e della Neve. Planò su un ramo lì vicino e si mise ad osservare il suo avversario: certo che era grosso, però. Tra barba, sopracciglia e capelli (tutti folti, tutti scarmigliati e tutti candidi) la faccia si vedeva appena. Si intuivano però un bel paio di guanciotte rubiconde e un sorriso cordiale, accattivante. La cocuzza terminava con un buffo berretto rosso, e rosso fuoco erano pure la giubba e i pantaloni da cui l’omone straripava in tutte le direzioni. In effetti non sembrava per nulla male intenzionato. Anzi. Improvvisamente, mentre stava ancora riflettendo sul da farsi, il ramo su cui si era posato si mosse, facendolo schizzare via dalla sua posizione.. <br></font><font size="3">“Rudolph ! Fermo! Donnola! Freccia! Ferme, ragazze!” ordinò l’uomo. “Non è il momento di fare i capricci, questo. E lasciate posare il nostro amico, così non si gela le zampette sulla neve”. Quindi, inforcati gli occhiali, riprese l’esame del nido e dei suoi occupanti. “Un organetto, perbacco! Certo che non siete facili da riconoscere, voialtri. Senza nessun segno distintivo, che so, una mascherina, una macchietta a contrasto.. Vabbè, ma che ci fate qui, adesso? E con le uova per giunta?”<br></font><font size="3">Nel frattempo papà Organetto era tornato a posarsi sul ramo che si era invece rivelato essere una delle corna di una grossa renna dal naso rosso. Buffa. Mamma Organetto, dalla sua posizione poco privilegiata, osservava l’umano con un misto di timore e riconoscenza..<br></font><font size="3">“Eh no, non va bene così” prosegui questi. “Non va bene affatto”. Detto ciò si guardò intorno e poi, presa una decisione, pescò un grosso sacco dalla slitta a cui le renne erano aggiogate e si diresse verso uno degli abeti lì nelle vicinanze. “Meno male che passavo da queste parti” raccontò alla sua involontaria passeggera. “Ci passo piuttosto spesso, a dire il vero. Con le renne, sapete? Devono fare esercizio di questa stagione, d'estate mettono sempre su un po’ di peso e non manca più molto a Natale, ormai.” Arrivati a destinazione l'uomo posò il nido sul sacco, mentre papà raggiungeva la comitiva posandosi lì accanto. “Adesso aspettatemi qui un secondo, ragazzi, che devo chiedere un favore ad un amico” dichiarò. Quindi si avvicinò all'abete, e per qualche istante sembrò confabulare con quello. Poi accadde una cosa strana, anzi due. In primo luogo l'abete abbassò i rami mentre la loro fisionomia sembrava in qualche modo “appiattirsi”. Poi la pianta ebbe un fremito, una via di mezzo tra un brivido e uno scrollone e la neve che la ricopriva si stacco di botto e venne scaraventa via tutto intorno. L'omone rossovestito si scosse via i fiocchi che gli erano finiti addosso, quindi osservò il lavoro finito con espressione soddisfatta. “Benebene” commentò. Prese nido e inquilini e lo posò su uno dei vassoi naturali che le fronde dell’albero avevano formato. Ci fu un leggero movimento di corteccia e rametti che sembrarono accomodarsi meglio intorno al nuovo oggetto, e questo fu quanto. “Benebene” continuò l’altro. “Da qui non si muove più. Adesso ci serve un po' di calore. Devo proprio avere qualche cosa nel sacco.” Tirò fuori una serie di portacandele colorati a forma di palla che prese ad appendere qua e là ai rami. Dopo averli assicurati con cura e averne controllato due volte la posizione, assestò un colpettino sul fondo di ciascuno e le candele all’interno magicamente si accesero. Da sole. “Così dovrebbe andare” commentò. Poi si avvicinò al nido. “Al resto ci dovete pensare voi. Immagino che tu sia in grado di trovare del cibo qui intorno..” domandò a papà Organetto, che annui vigorosamente. “Benebene. Ad ogni buon conto, per combinazione nel sacco devo avere anche qualche bastoncino dolce da lasciarvi. Ah, sì, eccoli. Ve li lego qua ai rametti. Sono al gusto di seme di betulla, dovrebbe piacervi, no?” Poi guardò mamma Organetto dritto negli occhi “Lascio tutto in mano sua, Signora. Viste le circostanze ho chiesto ai suoi piccoli di accelerare un tantino le cose, quindi si aspetti novità a breve. Intanto vi saluto, amici. Non dovessimo vederci prima, accettate i miei più sinceri auguri di Buon Natale e buona continuazione a Voi e Famiglia”. Detto questo si diresse verso la slitta, per fermarsi però a metà strada e tornare indietro. “Non preoccupatevi delle candele” rassicurò “sono quelle che uso io su al Polo e durano quanto la Notte Artica. E tra un paio di settimane farò comunque passare di qui a metter via tutto. Ma proprio per questo..” si interruppe, mettendosi a frugare nel sacco. “Trovato. E’ meglio che marchi l’amico Abete con qualcosa che sia ben visibile anche da lontano. Gli elfi possono essere incredibilmente distratti, quando vogliono. Ecco, questo dovrebbe andare.” L’oggetto in questione era un puntale di una trentina di centimetri di altezza, a forma di stella e dello stesso colore degli abiti dell’omone. Fece un cenno di invito all’Abete, che si piegò ponendo la sua vetta a portata di mano. In un attimo il puntale fu piazzato e l’albero potè riprendere la sua posizione. Come al solito l’uomo fece un passo indietro per ammirare il lavoro finito. La stella, in alto, scintillava alla luce del sole. Più di quanto ci si dovesse aspettare anche in pieno giorno. “Benebene, bella vero?” domandò rivolto ai nostri amici. “E di notte brilla anche di più, credo che restituisca in qualche modo la luce delle stelle. Ma non le faccio io queste cose, quindi non saprei.” Si assestò una sonora pacca sulla panza, a mo’ di punto esclamativo. “Benebene!” continuò. “Adesso debbo proprio andare. Saluti amici. E Buon Natale, ancora!” Per la seconda volta ritornò verso la slitta, e questa volta arrivò a destinazione e ci montò a sopra. Prese la frusta e la fece schioccare. “La uso solo per fare rumore, non temete” avvisò gli uccelletti. “Oplà, Cometa! Oplà Ballerina! Avanti, Saltarello! E’ ora di muoversi, avete riposato abbastanza! Avanti!” Fece schioccare un’altra volta la frusta e le renne si misero finalmente in moto. La slitta curvò verso un pendio immacolato e prese velocità in un lampo, anzi, meno. A metà della discesa Rudolph, che era quella con il naso rosso, la prima della fila, sembrò mancare un passo e posò una zampa nell’aria, nel niente. Sorprendentemente, la zampa fece presa e l’animale incominciò a salire su, verso il cielo. Le altre seguirono, trascinandosi dietro armi, bagagli e passeggero. La slitta volò un ampio semicerchio intorno all’Abete, mentre l’omone si sbracciava. <br></font><font size="3">“Buon Natale, amici. Buon Natale!” augurò un ultima volta. Poi partì per la tangente, svanendo nel cielo del Grande Nord in poco più di un attimo. </font></p> <p><font size="3">Passarono alcuni giorni. La temperatura rimase rigida, e nevicò anche. Le candele funzionavano alla grande però, sciogliendo la neve man mano che tentava di accumularsi e mantenendo il corpo dell’Abete avvolto da un gradevole tepore. Di cibo se ne trovava (tra l’altro, i bastoncini alla betulla erano ottimi) e le uova sembravano non soffrire affatto della situazione. Anzi, come anticipato, parevano perfino in anticipo sui tempi, tant’è che un paio di volte a mamma Organetto era perfino sembrato vederle muovere. Date le circostanze, tutto andava come meglio non poteva, o quasi. Perché quella mattina era successo un fatto vagamente preoccupante. Niente di che, intendiamoci. Ma un tantino preoccupante lo era. A metà pomeriggio, appena lì sotto, era passato un tipo con un cane. Un umano intendo, con uno di quei cani che si vedono spesso correre appresso alle renne. Doveva venire dal villaggio giù in valle forse, c’era anche una specie di sentiero da quella parte. Il tipo era arrivato fino ai margini della radura, poi si era fermato a guardarsi intorno e aveva inevitabilmente notato il loro albero. Allora si era avvicinato, trattenendosi però a debita distanza mentre il Lapinporokoira si accostava ulteriormente per annusare. Aveva scrutato l’Abete in lungo e in largo per un po’, quindi aveva richiamato il cane e si era allontanato con una certa premura. La cosa avrebbe anche potuto finire lì, dopotutto. <br></font><font size="3">Il sole era tramontato da un pezzo, ormai. Le giornate erano cortissime, ma anche così era evidente che doveva essere notte fonda, ormai. Mamma Organetto sonnecchiava inquieta, sentiva che il momento della schiusa si stava avvicinando. Giusto in quel istante l’uovo di destra si mosse, facendola sussultare. Fu proprio mentre stava cercando di rimettersi in posizione che notò la piccola striscia di fuoco che risaliva la vallata venendo nella loro direzione. Non era un incendio o un rogo di quelli che fanno paura anche da lontano. Sembrava piuttosto un a fila di piccole fiammelle che avanzavano insieme, ordinatamente, seguendo chissà quale percorso. <br></font><font size="3">“Che sarà mai” domandò mamma Organetto, un tantino in apprensione. <br></font><font size="3">“E chi lo sa? Comunque sta venendo da questa parte..”<br></font><font size="3">“Speriamo che non ci veda”<br></font><font size="3">“Non vederci? Ma se brilliamo come un faro nella notte?”<br></font><font size="3">“Un faro? E che cos’è un faro?”<br></font><font size="3">“Niente, fai conto una luce molto forte. Me ne ha parlato una volta un Gabbiano su al lago, grosso modo l’idea è quella. Non so perché, però non mi sembra una cosa pericolosa. Aspettiamo e vediamo..”</font></p> <p><font size="3">I minuti passarono, e la striscia di fuoco avvicinandosi si rivelò una breve processione di torce condotte da altrettanti portatori umani. Con loro, in quasi ugual numero, camminavano altri umani privi di illuminazione propria. Arrivati in prossimità dell’Abete questi ultimi avanzarono fin dentro al suo cerchio di luce, depositando qui gran parte carico che avevano portato. Frutta, dolci semi e bacche. E anche bottiglie, pacchi, statuette ed altri oggetti che i due Organetti non avrebbero saputo identificare neanche per tutti i semi di betulla del mondo. Poi, gli uomini arretrarono di qualche passo e posarono il resto del loro fardello, oggetti questa volta più facile da riconoscere: si trattava di candele, come quelle che aveva usato l’omone rosso, ma più grandi. E senza copertura. Quelli con le torce si fecero avanti e le accesero, quindi tutti quanti retrocedettero ulteriormente. Dopo un attimo, senza una ragione apparente, uno di loro si staccò dal gruppo ponendosi di fronte al semicerchio che gli altri avevano formato. Emise un suono rauco a cui tutto il gruppo sembrò in qualche modo rispondere. Poi sollevò le ali, pardon, le braccia, e tutti gli uomini, in coro, cominciarono a cantare. Era una canzone dolcissima, che raccontava di una notte silenziosa, una notte santa, una notte in cui gli angeli parlavano con i pastori e la pace sembrava essere scesa sulla terra per regnare per sempre.<br></font><font size="3">“E’ il canto della nascita!” esclamò mamma Organetto, che se avesse potuto avere la pelle d’oca in quel momento l’avrebbe avuta. “Non sapevo che gli umani la conoscessero.. E bellissima.. ma che hai?” <br></font><font size="3">“No, niente. Mi deve essere entrato qualcosa nell’occhio” rispose papà. <br></font><font size="3">“Tenerone” continuò lei. “Meno male che non c’è nessuno che ti vede e.. oh. Ma.. Ma qui si muove tutto! E arrivata l’ora, papà. Proprio adesso.”<br></font><font size="3">“Spostati, spostati. Fa vedere anche a me!” chiese lui, tutto eccitato.<br></font><font size="3">Mamma organetto si spostò di lato. Una delle uova presentava già una puntura da becco e una piccola crepa. Con gli opportuni aiuti ed incoraggiamenti la natura seguì il suo corso, e in pochi minuti il mondo fu allietato dalla presenza di quattro nuovi Organetti. Intorno a loro gli umani cantavano altre, nuove, bellissime, melodie. Papà Organetto osservò i suoi cuccioli un tantino perplesso..<br></font><font size="3">“Ma mi hai tradito con un ciuffolotto?” domandò alla sua compagna in tono di scherzo. Il fatto è che tutti i piccoli erano ornati da un vistoso ciuffo di piume scarlatte sulla sommità del capo, e due di loro avevano piume dello stesso colore anche sul petto.<br></font><font size="3">“Magari viene via” azzardò lei strofinando la fronte dei piccoli con il becco. <br></font><font size="3">“Che strano” prosegui lui. “Mi sembra la stessa tonalità di rosso che portava l’omone con le renne e..” improvvisamente ebbe un lampo di intuizione. Squadrò la sua compagna, e vide che anche lei era arrivata alla stessa conclusione. Nel vento, sopra il canto degli umani sembrò di sentire una voce.. “Adesso sì che siete facili da riconoscere, ragazzi. Per chiunque, o quasi.. Buon Natale. Buon Natale a tutti! Oh! Oh! Oh!”</font> <p><a href="http://lh4.ggpht.com/-QkCbT0vXaFA/TvXvoV3p3GI/AAAAAAAADvE/SZq4897-qnY/s1600-h/by-nc-nd_eu%25255B5%25255D.png" target="_blank"><img style="margin: 5px; display: inline" title="by-nc-nd_eu" alt="by-nc-nd_eu" src="http://lh3.ggpht.com/-9g5a3OwYi3A/TvXvp8m2GwI/AAAAAAAADvM/2LxwzwzFwPc/by-nc-nd_eu_thumb%25255B3%25255D.png?imgmax=800" width="122" height="47"></a>“L’albero di Natale” by <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/">Fabrizio Burlone</a> is licensed under a <br><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</a>.<br>Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/">http://traccevisibili.blogspot.com/</a>. <p>Illustrazione di Eugenio Bausola Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-25635643191822075162011-09-22T10:32:00.001-07:002011-09-22T10:49:23.906-07:00Il ritorno dell’Albatro<a href="http://lh3.ggpht.com/-6I0KMbuRRzU/TntxEvvFlCI/AAAAAAAADHw/KDvpl6DpPfs/s1600-h/Il%252520ritorno%252520dell%252527albatro%25255B13%25255D.jpg" target="_blank"><img alt="Il ritorno dell'albatro" border="0" height="480" src="http://lh4.ggpht.com/-1Z5xXDhvTpQ/TntxF27dBrI/AAAAAAAADH0/gbk8ybRNvV8/Il%252520ritorno%252520dell%252527albatro_thumb%25255B10%25255D.jpg?imgmax=800" style="background-image: none; border-bottom: 0px; border-left: 0px; border-right: 0px; border-top: 0px; display: block; float: none; margin: 5px auto; padding-left: 0px; padding-right: 0px; padding-top: 0px;" title="Il ritorno dell'albatro" width="583" /></a><br />
“Nonno?”<br />Geremia si voltò ad osservare chi aveva interrotto il filo dei suoi pensieri. Mmmh, uno dei ragazzi del secondo anno. Doveva essere una faccenda piuttosto spinosa: il gruppo era rimasto indietro, fuori tiro si potrebbe dire, ed osservava parecchio interessato. A parte due o tre che sembravano semplicemente divertiti dalla cosa. Geremia prese nota del fatto, quindi si rivolse al proprio interlocutore. <br />“Sì? Che c'è?” Non era il caso di mostrarsi troppo disponibili..<br />“Ti ricordi la storia dell'Albatro?” Certo che se la ricordava, pensò. Era una bella storia, piantata lì a metà perché le mamme lo avevano rimproverato perché con le sue storie "metteva un sacco di strane idee nella testa dei ragazzini", e "li distraeva dalle cose importanti". Come se loro non avessero mai passato un sacco di tempo ad ascoltare i suoi racconti, ai loro tempi. E non erano neanche venute su così male, dopotutto. Beh, per la maggior parte almeno. Comunque, aveva preferito lasciar cadere la cosa, in attesa che i bambini si facessero avanti a chiedere.. E' anche così che imparano a ottenere le cose a cui tengono, pensava. E poi faceva scena, cosa che alla storia non poteva che far bene. Magari era arrivato il momento. O magari era un atra cosa, inutile mettere il carro davanti ai buoi..<br />“Fammi pensare... Quello che mi aveva presentato la tartaruga blu?” <br />“Ma no, nonno. Quello che avevi conosciuto in Africa.” <br />“Sempre lui.. Stesso volatile... Sì che lo ricordo perché?” <br />“Avevi promesso che finivi di raccontarci la sua storia..” <br />“Davvero? E quando?” <br />“L'anno scorso, in primavera..”<br />“L'ANNO SCORSO!? E ci avete messo un anno per decidervi?” <br />“Beh, non è che siamo proprio rimasti lì ad aspettare.. Però questa mattina, abbiamo incontrato un gabbiano. Uno di quelli grandi, con la schiena nera..”<br />“Un Mugnaiaccio...”<br />“Sì, uno di quelli.. Beh, aveva il becco un po' storto, e mi è venuto in mente l'Albatro. L'ho detto agli altri e allora abbiamo pensato che forse era il caso di farci vivi.”<br />“E visto che tu avevi parlato per primo, hanno mandato avanti te.” <br />“Beh' sì, più o meno.. Ma non è un problema, nonno. Cioè, voglio dire: se adesso la storia non te la ricordi più, non fa niente.”<br />“Certo che me la ricordo!” Geremia si bloccò di colpo. Scaltro il ragazzo, pensò. Crescevano troppo in fretta, questi giovani teppisti. “Facciamo così, allora: prima finite di fare quello che dovete fare. Tutto, intendo. Poi, subito dopo mezzogiorno, quando fa veramente troppo caldo per andarsene in giro, ci troviamo sotto la grande quercia e vediamo. Va bene? “<br />La proposta fu accolta con un certo entusiasmo e i giovani si precipitarono a portare a termine i loro compiti per essere liberi all'orario stabilito. ‘Bravi ragazzi’ commentò Geremia una volta che se ne furono andati. <br />
Il sole era ormai a picco quando anche l'ultima cicogna fece il suo arrivo. La grande quercia, nel bel mezzo della radura, offriva riparo e refrigerio a tutti. Un paio di asini e un maiale (sottovento per fortuna) si erano portati a ridosso del gruppo dei pennuti, forse incuriositi dall'insolito raduno. O forse erano proprio venuti ad ascoltare. Di fatto le Cicogne erano tra gli animali più antichi e rispettati della pianura, quindi non era improbabile che altri animali ne avessero imparato il linguaggio. Con storni e ghiandaie ad esempio, si poteva conversare. Anche se il loro accento era terribile e gli argomenti limitati. Per un motivo o per l'altro i corvidi parlavano sempre e soltanto di cibo. Che noia. Comunque ce ne erano almeno due o tre sparsi tra le chiome della quercia, insieme a un gruppo di cardellini, dei fringuelli e chissà cos'altro. <br />Nonno Geremia, il decano dello stormo, si schiarì la voce e cominciò il suo racconto. <br />“Molti tra di voi” e con un gesto comprese anche gli ascoltatori di altre specie “si ricorderanno del grande Albatro. L’Albatro Urlatore che incontrai tanti, ma tanti anni addietro, alla fine della terra chiamata Africa.” Annuirono in parecchi. Anche uno degli asini, ma forse solo per scacciare una mosca. <br />“Per gli altri,” continuò Geremia “basti sapere che l'Albatro è uno dei più grandi volatori della nostra specie. Assomiglia vagamente ad un grande gabbiano, di quelli scuri sopra. Ma più slanciato. Specialmente in volo, dove le sue grandi ali lo possono tenere in aria per giorni, forse per settimane, senza doversi mai fermare. O almeno così si dice. Non lo incontrerete mai da queste parti, perché ha bisogno delle grandi correnti aeree che oggi ruotano solo intorno ai grandi ghiacci del Sud. E degli oceani: qui ci sono troppe terre che per noi sono casa e rifugio ma per la sua razza sono solo un impaccio.” Si guardò intorno, con calma. Perfetto, erano tutti attenti ed interessati. “E già, signori, l'albatro è una macchina per volare e qui, sulle lande del settentrione non ha né un posto, né un senso. Ma se vi capitasse di incontrarne uno, fuori, sul mare aperto, di passaggio dopo una tempesta o in visita per una sua curiosità, non potreste non rimanere colpiti dalla gravità del suo sguardo, dalla solennità del suo essere. Triste, lo descrivono alcuni. <br />Per aver rinunciato alla terra aggiungono altri. Beh, quello che conoscevo io aveva tutta un'altra storia da raccontare, che è questa qua.” <br />
“Stavamo attraversando l'oceano che separa l'Africa dall'America, l’Atlantico per dire i nomi che si usano adesso..” L'affermazione fu accolta con qualche mormorio, anche uno degli asini scosse la testa. Ma forse solo per scacciare una mosca. “Sì, lo so che sembra impossibile. Ai più ferrati in Geografia, almeno. Ma io l'ho fatto, e più di una volta anche. Ho anche fatto il giro del mondo.” Il mormorio crebbe, ma Geremia proseguì imperterrito “Ma non dimenticate che ero in compagnia di un Albatro. Le grandi correnti dell'aria e del mare erano le sue strade, e sapeva come seguirle per coprire spazi enormi in tempi minuscoli. Gli Oceani, poi, sono cosparsi di isole e isolette dove far sosta e trovare magari anche ristoro. A sapere dove stanno, però, come può saperlo solo chi le abbia sorvolate un'infinità di volte e di più. Non bastasse, sulle onde circolano un infinità di rottami, ammassi galleggianti, relitti vari. Li portano giù i fiumi e le tempeste dalla terraferma, oppure arrivano da chissadove. Chi può dirlo? Però le correnti marine finiscono per farle girare lungo le stesse rotte, più o meno, e se uno queste rotte le conosce... A dormire lì sopra resti con lo stomaco sottosopra per tre giorni, ma quando necessità impone.. E per finire, ci sono poi anche le navi degli uomini, pure quelle seguono sempre le stesse vie più o meno. In casi estremi, comunque, potevo sempre appoggiarmi su di lui, che volava solido come una roccia anche con il mio peso sulla schiena.” I mormorii si ruppero in una risata aperta.. “Sì, sì, scherzavo..” confermò la cicogna. “Però le altre risorse le ho usate tutte, navi e relitti inclusi. Non è stato così difficile come si potrebbe pensare. Rischioso sì, ma difficile no. Ad ogni modo, dicevo, stiamo attraversando quest'oceano che si chiama Atlantico, e una sera arriviamo in vista di un isoletta come tante, proprio nel bel mezzo del niente. Preciso preciso. Poco più di un ammasso di scogli appena sopra al livello del mare, con subito dietro un prato che poteva andar bene al mio socio per atterrare e decollare. Siamo appena scesi che lo vedo abbassare la testa ed partire zampettando verso il punto più elevato del prato. Collo dritto in avanti e parallelo al terreno, ali leggermente staccate dal corpo. Aggiungo che è la prima volta che lo vedo camminare per più di tre metri di distanza, non sapevo nemmeno che lo potesse fare. Arrivato in cima alla gobba si volta verso il mare aperto, allarga le ali e punta il becco in alto, testa e collo dritti e tesi come un airone nel canneto.. Non ci vuole molto a capire che quello è un saluto, ma chi stia salutando è un mistero. Non ci sono altri Albatri in vista. Passa qualche minuto, anche più del necessario, e poi rientra. Con la faccia triste come una giornata di pioggia. Faccio finta di niente e chiedo:<br />Era un saluto quello, vero? Ma chi.. scusa, non sono affari miei. Però non ho visto nessuno, qui in giro. A parte i gabbiani voglio dire.. Nessuno dei tuoi..”<br />“No“ mi risponde lui “e qui non ne vedrai mai più. Io sono l'ultimo della mia famiglia. Gli altri se ne sono andati. Tanto, tanto tempo fa.” <br />“Andati dove?” <br />“Andati. Morti, forse. Io non li ho più incontrati, e ho girato tutto il globo più e più volte alla loro ricerca.. E anche se sono convinto che prima o poi qualcuno risponderà al mio saluto, questa piccola cerimonia è ormai dedicata solo al luogo dove sono nato. Alla mia isola.” <br />“Un'isola piccola, se permetti, per un animale così grande.”<br />“Ah, ma non è sempre stata così, quest'isola. Quello che adesso ti sembra un banale mucchietto di sassi un tempo era l'ultimo tratto di una possente catena di montagne che scendeva fino al mare, proprio come quella che hai visto al Capo di Buona Speranza dove ci siamo conosciuti. E' anche per questo che amo quel luogo al di sopra di ogni altro. Qui, però, il declivio era morbido, ricoperto da pendii erbosi e rade macchie di cespugli. La nostra Colonia, la famiglia se credi, ricopriva quasi interamente questo versante, ala contro ala, nido contro nido. Beh, a dir la verità si stava piuttosto larghi, invece. Ma quella era l'impressione che ne ricevevi guardandola da qui. Uno spettacolo, credi a me. Io sono nato e cresciuto su questi prati, poco più avanti di qua. Dove adesso non c'è che l'acqua spumeggiante dell'Oceano.”<br />
Di nuovo, Geremia osservò il suo pubblico. Nessuno più parlava o si muoveva, neanche l'asino che adesso aveva un paio di mosche posate sul muso. Immobili anche quelle. Continuò. <br />
“Come voi, anche io avrei voluto sapere subito cosa fosse successo all'isola e alla Colonia. Ma al momento il mio amico non pareva intenzionato a proseguire il discorso e a me non sembrava proprio il caso di insistere. Quindi, per voi che siete ragazzi fortunati, salterò con la narrazione fino ad un paio di mattinate dopo, quando, eseguito il saluto, l’Albatro decise di raccontarmi senza altri preamboli il resto della storia.”<br />
“Devi sapere che per noi Albatri la famiglia è molto importante.” Attaccò. “Fin da piccoli, quando nei terreni-scuola impariamo insieme le cose che ci serviranno poi nella vita da adulti. Le tecniche di volo, ad esempio. O le danze rituali. Cresciamo insieme, in grandi comunità dove un giorno costruiremo anche il nostro nido, con la compagna che abbiamo scelto per la vita e che è sempre una ragazza della colonia. A dire il vero è lei che sceglie, ma a noi maschi piace pensare il contrario. Però, siamo anche dei solitari, e prima di entrare nella vita adulta ognuno di noi parte per un lungo Viaggio. Il Voloingiro, lo chiamiamo..” <br />“Bel nome.” Commentai.<br />“Ma forse sto andando troppo avanti. Lascia che faccia un po' d'ordine, dunque. Tra di noi, all'inizio dell'estate australe, quando i venti sono meno forti, è papà che costruisce il nido. Mamma ci mette un singolo uovo, che poi tutti e due covano per quasi tre lune. Quando il piccolo Albatro viene al mondo rimane lì ancora per un'altra ventina di giorni e quindi resta nei dintorni fino a che non è grande abbastanza per provare a volare. Vale a dire più o meno fino alla primavera successiva. Da lì impiegherà altre tre stagioni per imparare a muoversi nell’aria come si deve, e per tre stagioni vivrà nella città dei nidi guardando e imparando. Infine, partirà per il Voloingiro. Per cinque, sei primavere girerà il mondo, vedrà gente, farà cose. Ma alla fine il richiamo della sua terra diventerà irresistibile, e allora dovrà tornare là dove è nato.<br />
Ogni adolescente che arriva a casa ripete la danza del suo clan così come l'ha assimilata osservando i suoi simili prima del Voloingiro, e, credimi, è sempre un'imitazione talmente patetica da voler morire di vergogna sul posto a pensarci su. Nessuno ci dà peso veramente però, ci siamo passati tutti. E’ bene che tu sappia, comunque, che resta un argomento di cui è poco cortese parlare in pubblico. Ad ogni modo, la danza gli permette di identificare il suo luogo di appartenenza e di farsi riconoscere dalla sua gente. Di rinsaldare vecchie amicizie, di cominciare a farne di nuove. Per altre sette od otto primavere il giovane Albatro non farà altro che volare e tirar fuori dal suo cuore la sua danza personale. Che assomiglierà a quella di tutti, perché è quella del clan, ma sarà anche soltanto sua, sua e di nessun altro. O quasi. Perché, vedi, ogni cuore nella colonia ha da qualche parte un suo gemello, che batte allo stesso ritmo e che danza la stessa danza. E’ quello del suo compagno per la vita e trovarlo, dicono i saggi, è il segreto della felicità. In fondo il Voloingiro, la danza e tutto il resto servono anche a questo. Qualcuno sa se qui intorno c'è un posto per bere qualcosa?” <br />
Il pubblico si ritrovò improvvisamente sotto la quercia, a migliaia e migliaia di chilometri di distanza a guardarsi un tantino sconcertato..<br />“Chiedevo” proseguì Geremia “se qualcuno ha visto un posto dove si possa bere qualcosa. Sono ore che parlo, qui, e fa un caldo terribile se non ve ne siete accorti.”<br />“C'è.. C'è un ruscelletto dietro alla quercia. Da quella parte.” Rispose titubante uno dei ragazzi. <br />“Splendido!” dichiarò l'altro. “Vado a rinfrescarmi la gola e torno subito. Voi non ve ne la squagliate, mi raccomando.” <br />
“Così avevo fatto anche io.” Continuò l'Albatro (o meglio, Geremia al suo ritorno.) “Come tutti gli altri. Io e la mia compagna avevamo poi nidificato alla Colonia felici ed innamorati per moltissime stagioni, e al momento opportuno avevamo anche allevato un bel numero di giovani. Qualcuno l’avevo anche visto tornare dal suo Voloingiro e metter su famiglia… Poi era accaduto quel che purtroppo poteva capitare a chiunque nella Colonia, e di fatto era capitato a noi: avevamo perso un Uovo.”<br />
Malgrado il caldo quasi tropicale un brivido percorse la schiena di tutti e di ciascuno. <br />
“Per noi non è come per gli uccelletti, con tutto il rispetto per gli uccelletti naturalmente. Un unico piccolo è tutta la nostra nidiata per un anno intero e anche di più.” <br />“Capisco.“ Commentò Geremia con più di un filo di commozione nelle voce. <br />“Lo immaginavo. Me ne venni fuori con la brillante proposta di partire per un viaggio, di abbandonare per un po' quel luogo marchiato da un così brutto ricordo. Ricominciare, in un certo qual modo. Per carità, avrebbe potuto anche essere una buona idea, se solo mi fossi accorto che la mia compagna era stata colpita dal lutto in maniera molto più seria di quanto avesse dato a vedere. Avrei potuto fare diversamente, forse. O forse no, dopotutto quello che accade è sempre inevitabile, giusto? Non mi accorsi di nulla invece, e quando all'ultimo momento lei si tirò indietro presi la cosa come un capriccio, una follia. Litigammo per giorni, e alla fine io partii comunque, da solo e infuriato. <br />Senza neppure un cenno di saluto. <br />Il mio Voloingiro fu lungo e favoloso, direi. Spinto dalla curiosità e dall'orgoglio volai oltre le spiagge di Taprobane, oltre al picco che porta l'impronta del primo degli uomini e salii sul tetto del mondo, dove il Grande Re dà udienza a coloro che riescono a raggiungere la sua reggia irraggiungibile. E poi scesi giù, giù lungo la spina dorsale del drago che sotto di me sputava fuoco e agitava la terra. Sorvolai i grandi arcipelaghi del sud, dove sognano le tartarughe blu, e i deserti rossi creati dagli dei durante il jukurrpa. Attraversai in un balzo un oceano immenso, fermandomi per vedere le isole dei grandi vulcani ed i rifugi delle teste parlanti. Accompagnai le migrazioni delle balene per giungere fino al capo dove i ghiacci e le terre si incontrano e gli uomini accendono grandi fuochi per proteggersi dal gelo. Risalii la cordigliera che da lì partiva e superando deserti, montagne e foreste talmente vaste da sembrare un mare verde arrivai su uno stretto dove un volo d'uccello bastava per comprendere due grandi oceani con un solo sguardo. Proseguii, sopra altri deserti e altre montagne. E altri boschi, e altre foreste senza fine dove gli alberi arrivavano fin quasi a toccare il cielo. Virai verso il sorgere del sole, e attraversai una grande catena rocciosa e poi mari di erba calpestati da mandrie di bovini al galoppo che facevano tremare la terra fin nelle sue fondamenta. Quindi arrivai di nuovo al mare, un mare grigio e tempestoso. Eppure lo stesso che bagnava anche la mia isola migliaia e migliaia di miglia più a sud lo avvertivo dal profumo, dal.. Non so da che cosa, ma ne ero certo.. Allora fui colto dalla nostalgia e decisi di tornare. Nel mio vagabondare avevo attraversato un numero tale di stagioni da non sapere più quanto a lungo avevo viaggiato.. <br />Virai a sud, trasportato dai venti e dalla mia voglia di casa. Viaggiai per giorni e giorni, mentre l'aria intorno a me si faceva più calda e il mare più blu. Arrivai fino a dove dovevo arrivare e mi tuffai verso la terra, con il cuore in gola e un grido di gioia che mi usciva dai polmoni. <br />Niente. Non c'era niente lì, solo schiuma e onde, schiuma e onde che proseguivano indisturbate il loro cammino. Niente. <br />Ripresi quota, allargando le mie ricerche in cerchi sempre più ampi. Verificai tutti i riferimenti: le correnti della terra, la posizione delle stelle. I punti al suolo, che non c’era. Niente. Ero nel posto giusto, ma sotto di me c'era solo il niente. <br />Forse avrei potuto chiedere a qualcuno, pensai, e così mi accorsi che intorno a me non c'era neppure un albatro, non uno. Né della mia razza né di altre affini: in mezzo al niente non c'era nessuno. Poi, quando quasi non ci speravo più, scorsi questi scogli, proprio quelli su cui siamo posati adesso. Durante la discesa i miei sensi confermarono la mia prima impressione: quella era una parte della Colonia, un brandello del posto dove era nato. Un mucchio di rocce sferzato dalle maree e dalle tempeste, ecco quello che era rimasto. Molto peggio di quello che vedi adesso, il tempo gli ha restituito un qualche tipo di selvaggia bellezza, ma allora non c’erano che sassi e desolazione. Atterrai dove potevo atterrare e cantai il mio saluto cerimoniale. E poi ancora, e ancora, finchè ebbi fiato in corpo. Finchè non crollai a terra, sfinito. <br />La Colonia non c'era più. <br />E nemmeno la colossale catena di montagne che risaliva verso Nord. E non c'era più neanche la grande città dei cinque anelli al centro delle terre interne, con il suo possente tempio che luccicava al sole e la statua del dio al centro. Non c'erano più i suoi abitanti, le loro strane macchine, i loro eserciti ricoperti di metallo. Non c'erano più i fiumi, i laghi, i campi, le foreste. Non c'erano più le scogliere da cui prendere il volo, e gli amici con cui volare. Non c'erano più i miei figli, la mia.. Chiusi quei pensieri così come si chiude un ala, giurando a me stesso di non riaprirli mai più. Certo che c'erano, da qualche parte c'erano ancora. Le colonie non spariscono così, come impronte sulla spiaggia. Dovevo solo ritrovarli, e chi meglio di un albatro avrebbe potuto solcare i cieli alla loro ricerca? Mi alzai in volo senza perdere altro tempo, il viaggio era cominciato.” <br />
<br />Geremia tacque aspettando la domanda che sarebbe seguita. "Li.. li ha poi trovati?" domandò una voce nel retro. Sembrava venire in direzione degli asini.<br />“E' esattamente quello che gli chiesi io, anche se temevo di sapere la risposta. "Li.. li hai poi trovati?" domandai.”<br />“No, amico mio,” mi rispose “per quanto abbia cercato e stia ancora cercando, non li ho mai trovati. Né ho mai saputo per certo quale sia stata la loro sorte. La scomparsa della mia Terra con il tempo è diventata una leggenda tra gli uomini, e proprio tra loro ho raccolto le poche notizie di cui a tutt’oggi dispongo. Si dice che un cataclisma l’abbia inabissata nell'oceano che la circondava. Che un dio geloso l’abbia obliterata con un solo gesto o che uno benevolo l'abbia invece nascosta dalle miserie di questo mondo. Si dice che i suoi abitanti abbiano deciso, per un motivo o per un altro, di spostarla in un altro luogo o in un altro tempo. O che siano stati degli stranieri venuti dalle stelle ad operare lo stesso miracolo. Si dice che il monte che svettava dietro alla città sia esploso come una montagna di fuoco trasformando la terra in polvere e lanciandola nel cielo. Si dicono un sacco di cose, ed il loro contrario anche. Poco o nulla si dice, tuttavia, di eventuali sopravvissuti; umani o pennuti non fa differenza. <br />Innumerevoli volte gli uomini sono partiti alla ricerca di una soluzione a questi tremendi misteri. E in innumerevoli occasioni io ho accompagnato le loro spedizioni, sperando che i loro inimmaginabili mezzi ottenessero un successo laddove i miei avevano invece fallito. Ma non è servito a nulla...”<br />
“Potete immaginarvi in che stato d'animo mi aveva messo quella conversazione” continuò Geremia in direzione della platea, che annui in un solo movimento. “Che potevo fare? “Cosa posso fare?”, gli chiesi.” <br />
“Puoi aiutarmi nella mia ricerca.” Rispose lui.<br />“Ma certamente, amico mio” mi offrii all'istante “Dimmi solo da che parte dobbiamo andare e io..”<br />“No, no, aspetta un attimo.” Mi interruppe. “Non ho un punto da dove cominciare, né una traccia o un indizio da seguire. Posso solo viaggiare, viaggiare e tenere occhi e orecchie aperte, come ho fatto finora. Come abbiamo fatto, a dire in vero, e del tuo aiuto inconsapevole ti ringrazio di cuore. Non avrei potuto trovare un socio migliore, ma..<br />“Ma?” <br />“Ma in due direzioni diverse si copre il doppio dello spazio...”<br />“Vuoi che ci separiamo?” <br />“Prima o poi ognuno di noi dovrà riprendere la sua strada. Ti chiedo, per quel giorno, di non dimenticare la mia storia. E di essere i miei occhi e le mie orecchie nei luoghi laddove io non sarò con te. Amico.” <br />
Avevo un groppo alla gola da non riuscire a parlare, per cui feci solo di sì con la testa. <br />
“Tutti gli anni” continuò “nel giorno più lungo dell'anno, io sarò qui su questo scoglio, a ripetere il mio saluto. Raccontalo a quelli che incontrerai, e dì a loro, ti prego, di raccontarlo ad altri. Cosi che la voce giunga prima poi in tutti gli angoli del globo, fino alle orecchie degli altri sopravvissuti di Atlantide, così si chiamava la mia isola. E nel giorno più lungo dell'anno, prima o poi qualcuno arrivi fin qui a rispondermi.“<br />
La storia era finita, lo si sentiva nell'aria. Ma nessuno era ancora pronto a lasciarla andare. <br />“E allora vi siete separati?“ domandò uno dei ragazzi. <br />“Certo che sì. Vedi forse qualche albatro, qui intorno?” Si sentì qualche timida risata. “Ma successe solo parecchio tempo dopo..”<br />“E dove siete stati, prima?”<br />“Ah, quella è un'altra storia. Avanti ragazzi, il cielo si è fatto rosso e voi dovreste essere già pronti per andare a nanna. Basta chiacchierare, altrimenti poi i grandi se la pigliano con me.”<br />“Nonno?” intervenne un altro, con una certa esitazione...<br />“Sì?”<br />“Li hai poi trovati?” <br />“No, piccolo. Non li ho mai trovati..” <br />“E lui?” <br />“Per quel che ne so, neanche lui..”<br />“E adesso?” era la domanda che stava aspettando. <br />“E adesso, come ho già detto, ve ne andate tutti a nanna. A meno che..” Fece un’altra delle sue pause ad effetto.. <br />“A meno che?” domandarono i ragazzini in coro dopo qualche attimo di silenzio.. <br />“A meno che non vogliate prima impegnarvi ad aiutarci nella nostra ricerca. Me e Lui, intendo.”<br />Il coro espose in un entusiastico “Sì”.<br />“Bene. Allora ascoltatemi attentamente. Voglio che ognuno di voi, uccelli, quadrupedi, insetti e umani che avete letto o ascoltato questa storia ci aiutiate nella nostra ricerca. Voglio che teniate occhi e orecchie aperte, voglio che ognuno di voi tramandi questa storia ad altri. Voglio che raccontiate a tutti che nel giorno più lungo dell'anno, su quel che resta del continente di Atlantide, un grande albatro urlatore lancerà il suo richiamo attendendo che qualcuno gli risponda. E voglio che crediate che prima o poi qualcuno risponderà. Ma da domani, però. Perché adesso è tardi e voglio che andiate a nanna. Da domani ci sarà una cosa in più da fare..”<br />
La storia era finita per davvero, adesso. Tutti quanti si misero nella posizione di riposo che preferivano e presero congedo dalla giornata. Dall’indomani ci sarebbe stata una cosa in più da fare, una cosa importante. <br />
E anche voi, lì fuori, tenete gli occhi e le orecchie bene aperti: i sopravvissuti dell’Atlantide potrebbero essere proprio lì accanto.<br />
<a href="http://lh3.ggpht.com/-sWJNHhuj9VA/TntxGGGjKwI/AAAAAAAADH4/ZsYffelH0Ec/s1600-h/clip_image002%25255B3%25255D.jpg" target="_blank"><img alt="clip_image002" height="29" src="http://lh5.ggpht.com/-flRd37__RRA/TntxHZs0luI/AAAAAAAADH8/hbb4g75fFYg/clip_image002_thumb.jpg?imgmax=800" style="display: block; float: none; margin: 5px auto;" title="clip_image002" width="81" /></a> <br />
“Il ritorno dell’albatro” by <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html">Fabrizio Burlone</a> is licensed under a <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</a>.<br />Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/">http://traccevisibili.blogspot.com/</a>. <br />
Illustrazione di Eugenio Bausola Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-23215419981536997572011-04-04T13:08:00.001-07:002011-04-04T13:08:14.843-07:00Al campo del Munton<p> </p> <p><a href="http://lh6.ggpht.com/_8OzU43qsZwc/TZolKJRjxCI/AAAAAAAAC38/Z--ed2jBiwc/s1600-h/Al-campo-del-munton.jpg"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" title="Al campo del munton" alt="Al campo del munton" src="http://lh5.ggpht.com/_8OzU43qsZwc/TZolLaCB65I/AAAAAAAAC4A/HQOUad3g3aw/Al-campo-del-munton_thumb.jpg?imgmax=800" width="538" height="452"></a></p> <p><strong><font size="4">MARTEDI’</font></strong> <p>Dal mio punto di vista, la cosa era cominciata quando un mio amico di Borgolavezzaro mi aveva chiesto di accompagnarlo ad un campetto appena fuori paese, “Il campo del Munton” si chiamava. <br>Il “Munton”, in pratica, non era che un piccolo campo abbandonato che con il tempo aveva preso a rinaturalizzarsi, come spesso avviene dalle nostre parti. Se per una ragione o per l’altra si smette di coltivare, qui da noi, in un attimo tornano erbe ed erbacce. Poi i cespugli, tipo rovi, sambuchi, biancospini, tutta quella roba lì insomma. Aspetta ancora un po’ e spuntano anche le prime piante: robinie, pioppi, farnie, aceri, eccetera eccetera. E sei dai tempo al tempo, l’intero appezzamento ti diventa un bosco, o almeno un boschetto. Il tutto al netto dell’immondizia, che quella non fai neanche in tempo a voltarti ed è già lì. <br>Ad ogni modo, il mio amico (e l’associazione culturale locale di cui faceva parte) si era messo in testa chissà perché di dare una mano a madre natura a riappropriarsi di quel pezzo di pianura padana. Tutti insieme si erano quindi adoperati per comprare l’area e ripulirla dei detriti e schifezze varie che i soliti ignoti avevano già trovato modo di mollare sul posto. Poi si era diradato il bosco di robinie, piantumando quindi con essenze autoctone tipo farnie, aceri, olmi, frassini, ciliegi, biancospini e, ovviamente, qualche eccetera eccetera. Avevano quindi scavato un laghetto, gli altri scavano le piscine e loro un laghetto, pensa te. Attorno al laghetto avevano piazzato pioppi, ontani, salici e saliconi. In totale era diventato un bel posticino, anche perché con il tempo al primo campo si erano aggiunti altri microappezzamenti che ne avevano aumentato sensibilmente le dimensioni. <br>Però adesso non mi ricordo più perché ho incominciato questo discorso. <br>Ah già, i tassi. Al “munton” avevano trovato delle tane di tasso e durante i lavori si era fatta ben attenzione di non arrecare disturbo agli inquilini o di causare motivi di rimostranza alcuna. Dopotutto erano ospiti graditi, ed erano anche arrivati per primi, per giunta. <br>E perché no, mi ero detto io. Mai fotografato un tasso in vita mia. Anzi, non saprei neanche dire che faccia abbiano. <p><font size="4"><strong>MERCOLEDI’</strong></font> <p>Il primo sopralluogo lo facciamo di giorno, di Tassi neanche l’ombra (tranquilli: è notturno, mi sono documentato) ma a me interessa vedere il posto e gli ingressi delle tane. La location, dovrei dire. Bosco e sottobosco sono venuti su bene, in effetti. Beh, la mano dell’uomo un tantino si vedeva, ma non troppo. Il mio compare si fermava ogni tre passi a descrivermi cosa era stato fatto qui, cosa era stato fatto là, eccetera. Arriviamo al “munton”, al mucchio. Dove ci sono le tane. Le tane di tasso sono più da immaginare che da vedere. In superficie appare solo un certo numero di buche, tre o quattro in genere, ma anche 8 o 10. Buche di buone dimensioni, 30-35 centimetri di diametro per intenderci, da rompersi una gamba se non si sta attenti. Davanti alla buca c’è il mucchio di terra dello scavo, attorno spesso e volentieri le “toilette” del tasso, che è un animale molto pulito e si guarda bene dal farla in casa. E’ sotto terra, però, che c’è il grosso del lavoro. Ci possono essere fino a duecento metri di tunnel, e anche 50 camere ipogee tra finte e vere. Potevo anche dire “sotterranee”, ma non è che poi capiti tutti i giorni di poter usare la parola “ipogee”. Comunque, il numero dipende da quanto è da quanto è pericolosa la zona e soprattutto da quanto è vecchia la tana. Se l’insieme è soddisfacente la tana può venire abitata per generazioni e generazioni, si dice anche per centinaia di anni e da più di una famiglia contemporaneamente. C’è tutto un gioco di gerarchie tra sito principale, siti annessi, rifugi temporanei eccetera. Parte della tana può essere anche presa in subaffitto da una volpe, ma in questo caso ognuno userebbe ingressi e locali separati. Vabbè la tolleranza, ma a tutto c’è un limite. Le camere sotterranee possono essere piccole o grandi, fino a 60-70 centimetri di diametro di solito, ed un mezzo metro di altezza. Tutte le stanze in uso corrente contengono una lettiera, fatta di paglia e di foglie. Anche se non entrano mai davvero in letargo, i tassi dormono parecchio. Di solito nel sito principale, dove si allevano anche i piccoli e si passa la maggior parte del tempo al coperto, ma a volte in tane stagionali o anche nei rifugi di emergenza. Dipende. E torniamo a noi: la comunità qui sembra tutto sommato abbastanza piccola. Prendo nota di un paio di postazioni interessanti, abbastanza vicino a due ingressi che mi sembrano più utilizzati di altri (ma potrebbe essere un trucco) da poter osservare e filmare, ma non troppo da arrecare disturbo anche con la sola presenza. I tassi hanno sensi molto fini, e praticamente tutti i sensi, per giunta. Beh, la vista un po’ meno. Posso anche piazzare un paio di trappole nei dintorni, è poco sportivo ma molto utile: un paio di fotocellulle e un paio di macchine e flash remoti e mi sono fatto l’autovelox per tassi. La piazzetta qui davanti è l’ideale per sistemare il set: luci, esche (di nuovo, passatemi il termine) cavi e cavetti. Meno male che sono in territorio amico, metterò giù tutto l’ambaradan nel pomeriggio e lo lascerò fino a domani sera. Speriamo che basti per farli abituare. Anche perché fin che ho giù la mia roba io devo restare nei paraggi. Territorio amico sì, ma a tutto c’è un limite.. Pensavo di portare anche una telecamera montata sopra alla macchinina radiocomandata, è una vita che la voglio provare e poi per una ragione o un'altra non lo faccio mai. <p>E per il momento basta così, allora. Il resto a domani. <p><strong><font size="4">VENERDI’</font></strong> <p>La roba piazzata ieri è ancora sul posto, dopo più di trenta ore. Quasi un record di Bell’Italia. Il vento tira dalle tane, il sole è ancora alto nel cielo ed i tassi stanno ancora presumibilmente dormendo. In totale, un ottimo momento per prendere posto. Mi infratto con il grosso dell’attrezzatura, nascondendomi dietro ai teli già stesi. Ho tutta la luce del giorno per piazzare il materiale, un confort a cui non sono più abituato, ormai. Faccio le cose con calma, mi metto comodo e aspetto. Zanzare a parte, è una pacchia. <br>E anche il sole se ne è andato, adesso sono rimasto proprio da solo. Sempre zanzare a parte. Sono anche riuscito a fare qualche bella foto, qualche cincia, qualche fringuello. Perfino un gufetto particolarmente mattiniero. Secondo i suoi standard, intendo. Ma adesso è il momento di concentrarsi sul campo principale della serata. Tra poco, signori e signore, farà la sua comparsa la star del momento, l’attrazione dello spettacolo, l’attore protagonista: Sua eccellenza il Tasso. <br>Ma quanto ci mette, insomma? Dovevo portarmi dietro la mia amica che quando dice mi piacerebbe vedere la Cicogna Nera, zap ti appare la Cicogna Nera. E se dice voglio vedere un Fischione, zap ti appare un Fischione. Ma quella ha sempre qualcos’altro da fare quando c’è bisogno. Io speriamo che me la cavo lo stesso. <br>Eccolo! Bastava il pensiero allora. E’ buona norma non far partire i fuochi d’artificio a prima vista, ma aspettare che l’animale prenda un po’ di confidenza. C’è probabilmente tutta una famiglia che aspetta al riparo della tana, se spavento papà me li gioco tutti. O mamma? Ne approfitto per un po’ di osservazione e qualche scatto silenzioso. Dio benedica la tecnologia. <br>Ci sono due piccoli, un classico. Hanno ancora un po’ di pelliccia infantile, di una specie bianco sporco, ma cominciano già ad assomigliare ad una versione in miniatura degli adulti, con le strisce in testa e tutto. Siamo a fine aprile, devono essere nati verso fine febbraio, primi di marzo. A questa età non si allontaneranno molto dalla tana. Bene. Ma come sono carini. Certo che hanno proprio una faccia fumettosa, fossi al posto della Disney non mi farei scappare l’occasione. Strano che non ci abbia ancora pensato nessuno. Mi ricordo solo un personaggio della compagnia del bosco o quello che è e forse una specie di casta di guerrieri-tasso cattivissimi di un videogioco. Cattivissimi: ma come si fa? Eppure ho letto da qualche parte che in Giappone hanno i perfino Tassi Mannari. Altra cultura. Vero è che come bestia non è da prendere proprio sottogamba: fa sempre una decina di chili di muscoli, denti ed unghioni. Servono per scavare fuori radici e tuberi, ma anche vermi e larve, o catturare piccoli mammiferi, insetti, serpenti. Perfino vipere, visto che è immune al loro veleno. E per difendersi dai predatori, ovviamente, mica per niente lo trattano con il dovuto rispetto anche volpi e lupi. Chissà se e vero che in America va a caccia in gruppo con i Coyotes. Guarda come giocano questi.. acchiapparella, nascondino.. un po’ come i gatti. Divertitevi fin che potete, ragazzi, che l’autunno arriva in fretta e vi toccherà di crescere di corsa per passarlo interi. La luce se ne va, meno male che l’elettronica mi amplifica ancora quel poco che c’è. Speriamo che i riflessi degli schermi non mi tradiscano.. Basta cincischiare, comunque. Ora che sono tutti allo scoperto posso provare qualche scatto serio. Ho disposto i flash in maniera che non ci siano punti di luce diretta facilmente identificabili. Dovrebbe assomigliare ad un carosello di lampi da temporale lontano. Più intenso, forse, ma più silenzioso visto che a me il tuono non serve. Chissà cosa ne pensano i tassi dei temporali. Flash. Riflash. Di nuovo. <p>Beh, era mia intenzione non essere particolarmente intrusivo, anche perché non è proprio etico. Ma non mi aspettavo tutta questa indifferenza. Meglio così, ho anche il tempo per cambiare un obbiettivo per provare un’altra cosa.. Mi abbasso per pescare nella sacca, e quando mi rialzo mi trovo un bambino che fissa nel display della reflex bassa. <br>- E tu da dove ca... diavolo sei spuntato? - gli strillo contro appena mi ripiglio dallo spavento. Panico. Sbircio in macchina: alla luce del visore notturno i tassi sono all'erta, collo dritto, naso all'aria, orecchie tese. Il bambino mi fa segno di stare zitto. Intanto, mi accorgo, sta scorrendo rapidamente le foto già fatte. Passa un minuto o due di eternità, poi, finalmente, gli animali sembrano tranquillizzarsi. Anche se non del tutto. <br>- Certo che sei bravino, sai - mi risponde l’altro con la voce da adulto. Altro che bambino, è un nano questo. E da dove è arrivato? <br>- Shhhhh - intimo io, questa volta. <br>- Oh. No, non serve. Mi conoscono. <br>In effetti i tassi non mostrano ulteriori segni di nervosismo. Anzi, sembrano quasi più rilassati di prima. Con solo il display della reflex a farmi da lampada, studio il nuovo arrivato. Capelli ricci, corti, una faccia rotonda vagamente familiare. Devo averlo già visto da qualche parte. Forse al circolo qui a Borgo. Mi sembra di vedere qualche traccia di grigio nella capigliatura. Sì, decisamente. Caspita, sarà anche alto un metro e un euro, ma in effetti non mette giovane per niente, anzi. Ha su una giacchetta marrone coi bottoni dorati. In un bosco! E mi sembra di intravvedere anche un panciotto, giallo se non sbaglio. E dei pantaloni in velluto verde, non poteva essere diversamente. Questo o è la versione in miniatura di un signorotto di campagna inglese o è più fuori di un balcone. Non riesco a vedergli le scarpe, ma giurerei che abbia addosso dei doposci pelosi o degli stivali col pelo fuori. Ossignur, speriamo che non sia pericoloso.. <br>- B.. buonasera. - butto lì, poi mi ricordo che devo tenere la voce bassa. - Buonasera - riprovo. <br>- Ah, sì, certo. Buonasera. Temevo che fosse un cacciatore, sa? <br>- Beh, no. Faccio solo fotografie. Qui non si può neanche cacciare, poi. <br>- Meglio così, non le pare? Comunque fa delle belle fotografie, dicevo. Complimenti. <br>- Diciamo che me la cavo. Ma lei che ci fa qui, al buio? <br>- Stavo rincasando. Di solito non faccio così tardi, ma questa sera mi sono ritrovato con un po’ di vecchi amici per festeggiare il mio compleanno e temo di aver perso la nozione del tempo. Meno male che sono quasi arrivato. <br>- Auguri. E quanti sono, se posso chiedere? <br>- Gli anni o gli amici? Non importa, sono comunque più di quelli che riesca a ricordare sia in un caso che nell’altro. Ma mentre gli uni aumentano, gli altri sembrano diminuire ogni volta che ci incontriamo.. <br>Ecco, questo mi ha ammazzato qualsiasi proposito di conversazione con un colpo solo. Fortuna che sembra voler continuare lui.. <br>- Beh che siano belli proprio non si può proprio dire. Simpatici piuttosto. Hanno una faccia da fumetto, se posso permettermi. -<br>Stiamo parlando dei tassi, suppongo. - Sì me lo dicevo anche io poco fa.. - Ma che faccio, adesso? Certo che il tizio mi incuriosisce, ma se andiamo avanti così butto via la serata. <br>- Sono un vero clan, sa? Ci sono altre tane qui nei dintorni e c’è sempre qualche animale o gruppetto di animali che vive in una di queste “dependance”. A volte per una stagione, a volte per una notte o due. Credo che dipenda dalle relazioni familiari o da dove trovano più cibo. O tutte e due. <br>- Davvero? - accennai. <br>- Eh sì. Trovo l’architettura delle tane un argomento affascinante. Questa qui davanti non è tanto grande. Avrà forse una dozzina di camere tra quelle di soggiorno, i dormitori e quelle per i cuccioli. Con tre o quattro uscite in uso, tutte con il loro bello spiazzo tipo anfiteatro davanti. Ma ce ne sono anche di 50 stanze, con due o trecento metri di tunnel. Più passa il tempo più le famiglie si allargano e tendono ad ampliarla. E se l’area è disturbata aumentano anche in proporzione gli ingressi e le vie di fuga.. Ammesso che il terreno lo consenta, ovviamente. <br>- Ovviamente - convenni. <br>- Le altre, dicevo, quelle stagionali o i rifugi temporanei, sono più piccoli, magari con una stanza sola ed una lettiera appena accennata. Non hanno l’anfiteatro davanti, quel mucchio fatto con la terra di scavo.. - indicò qualcosa nel buio - e sono collegate a quella principale da una rete di sentieri appena visibili. Loro li seguono a naso, secondo me. Quando non sono abitate vengono prese in prestito anche dai conigli o dalle volpi. Ma io la sto annoiando.. <br>- Ma si figuri - mentii - è solo che io dovevo fare delle foto.. <br>- Ma certo, ma certo. Mi scusi, faccia pure. Si fermeranno qui ancora un po’, ormai li conosco. Poi, quando i piccoli si saranno stufati di giocare, questi torneranno in tana, e il resto della famiglia partirà nel bosco alla ricerca della cena.. <br>- Cercando di non finire sotto una macchina, speriamo. - commentai quasi automaticamente. <br>- Speriamo. Purtroppo di questi tempi l’automobile è il loro peggior nemico, insieme all’agricoltura, ovviamente. Competizione territoriale.. <br>- Già <br>- Almeno non corrono più il rischio di finire in un piatto. Ma lo sa che una volta li mangiavano? <br>- In Cina, immagino. <br>- Ma no.. Beh, sì. Lì lo fanno ancora. Ma, tempo addietro, anche in Spagna, nel Regno Unito, o nelle Americhe. Perfino in Francia, ci facevano il Blarieur au sang. E in Croazia il goulash. <br>- Che impressione! <br>- Per non parlare delle pellicce. <br>- Appunto, non parliamone. <br>- Appunto. Anche perché in effetti io stavo rincasando, ed era già tardino quando sono arrivato.. <br>- Ma sa, quando la conversazione è interessante… <br>- Giustissimo, mi fa piacere che la cosa sia stata di reciproco godimento. Ma adesso devo proprio andare. <br>- Beh, se non può proprio trattenersi.. <br>- Mi piacerebbe, ma il tardino è diventato ormai tardissimo, e farei proprio meglio a tornare in tana anche io. <br>- Sarà per un’altra volta, magari… <br>- Magari, per il mio prossimo compleanno forse. Non esco molto, sa.. <br>- Alla prossima, allora.. <br>- Alla prossima.. <p>E proprio quando incominciavo a temere che non si sarebbe mai deciso a muoversi, ecco che finalmente il tipo si sposta, esce dal mio microscopico ritaglio di luce schermata e se ne va. Ossignur, speriamo che non mi passi davanti. E invece sì. Lo vedo nel display della macchina fotografica mentre attraversa lo spiazzo dei tassi. E quelli che fanno? Niente. Lo guardano. Lo seguono per un attimo o due, sembra quasi che si stiano salutando, e poi si rimettono a fare quello che stavano facendo prima. Eh no, io non sarò un esperto di tassi, ma questo non è normale. Piglio il telecomando della macchinina che era parcheggiata al bordo della radura, quella con la telecamera montata su, e parto all’inseguimento. Riesco a scorgerlo per un attimo alla fine del sentiero, neanche tutto intero, solo un movimento. Non è facile da manovrare questo aggeggio, e il visore notturno non aiuta più di tanto. Non pensavo, quando l’ho comperato. Ecco perché non lo usa nessuno. Rischio di ribaltare tutto il marchingegno una mezza dozzina di volte, per un’automobilina radiocomandata una buca è come un canyon, e attraverso lo spiazzo come una saetta. I tassi scattano all’indietro come delle molle, e che è? Mai visto un radiomodello? (Sbirciando da uno dei display delle fotocamere noto che restano a guardare nella direzione in cui sono sparito, ma mi sembrano più curiosi che intimoriti. Come i gatti quando, giocando, prima si spaventano del proprio gomitolo e poi lo rincorrono come se nulla fosse. Meno male. Ma anche no, adesso che ci ripenso. Speriamo non mi vengano dietro.). Mi lancio in una curva come se fosse la parabolica di Monza, un altro vago movimento più avanti. Proseguo. E dove diavolo sta andando? Ha detto che abitava lì vicino ma non vedo nulla che.. Clack, clack. Ferma! Questo sembra un rumore di serratura. Buono, il microfono.. Arretro di qualche metro, qui è dove mi era parso di vederlo l’ultima volta. Giro in tondo, scrutando i dintorni. Niente. Spengo il visore e provo a fare un po’ di luce. Ancora niente. Aspetta: non è un riflesso metallico, quello? Avanzo nella direzione, passando sotto ai cespugli. Il radiomodello tutto d’un tratto sbuca in uno spazio un po’ più sgombro, quasi un sentiero. Che finisce quasi subito contro una specie di dunetta, un mucchio di terreno poco più alto di una persona, per intenderci. Probabilmente un banale accumulo eolico o alluvionale. Che così banale poi non è, visto che al centro preciso c’è una porta. Di legno, sembrerebbe, verde, rotonda come il fondo di una botte o la persiana di un oblò gigante. Beh, proprio gigante magari no, visto che sarà alta un metro e mezzo scarso. Un oblò parecchio grande, diciamo. Da come la vegetazione ci sta addosso direi che non è molto utilizzata, un ingresso di servizio, forse. Nel bel mezzo c’è un pomo di ottone, deve essere quello che ha fatto il riflesso. Spettacolo! Vuoi vedere che questo abita qui? Direttamente nella collinetta proprio come uno di quei tassi? Ecco perché la sapeva così lunga. Certo che se ne incontra di gente strana. Appena smonto ci vado a bussare e mi faccio offrire un caffè, giusto per vedere la faccia che fa.. Lascio la macchinina di vedetta e torno agli affari. <p><strong><font size="4">SABATO</font></strong> <p>Devo essermi addormentato. Stavo aspettando l’alba per mettermi a smontare tutta l’attrezzatura in sicurezza e da qualche parte dell’attesa durante l’attesa devo essermi addormentato. Mi hanno svegliato gli amici di Borgo. Poco male, anzi meglio: così mi danno una mano a metter via la roba. Mentre stiamo impacchettando si presenta il Giamba con in mano il mio radiomodello. <br>- Bella questa cosa qui della macchinina telecamerata. E funziona anche? <br>- Non lo so ancora, l’ho provato ieri per la prima volta. E’ un po’ un casino da usare, ma per muoversi si muove. I filmati, vedremo. Ma dove l’hai trovato? L’avevo piazzato nel bosco a sorvegliare la porta del tizio qui dietro.. <br>- Di chi? <br>- Ma sì, il tizio che abita qui attaccato.. Il nome non lo so, non mi pare neppure che me l’abbia mai detto. L’ho incontrato ieri sera. Ce ne saranno mica mille, no? <br>- Non ce n’è neanche uno - rispose Franco - a meno che non sia venuto apposta da Scansano sul suo Morellino - aggiunse, sventolando la ex bottiglia di vino che mi aveva aiutato a mandare giù i panini la sera prima. - Ma tu non eri astemio? <br>- Di quello buono no, ma che vuol dire che non ce n’è nessuno? <br>- Che qui non ci abita nessuno, caro mio. Neanche per sbaglio.. <br>- Alto più o meno così - indico l’altezza di un mezz’uomo - capelli ricci, vestiti e modi d’antan.. <br>- Ah, quello.. - rispose Franco. <br>-Dovevi dirlo subito che era quello, no? E aveva anche il cappello a punta e gli stivaloni? - Domanda il Giamba. Poi i due scoppiano a ridere.. <br>- Spiritosi. - replico un po’ risentito. - Passa qui quel coso. - ordino al Giamba. <br>Una delle ruote del mini-buggy era in pessime condizioni e la carrozzeria riportava segni di denti ed unghioni. Ecco come era tornata allo spiazzo. Recupero la SD della videocamera che registrava in locale e la monto su una delle macchina fotografiche. Già solo sul suo display il filmato è di gran lunga migliore rispetto a quello che arrivava via radio in postazione. Anche lì, però, quello che non è stato inquadrato non si può vedere. Si intuisce solo che la macchinina stava correndo dietro a qualcosa di vicino e sfuggevole, un movimento qui, una sagoma là. Poi il mondo si ferma e il faretto si accende, a mezzo servizio. L’inseguimento aveva catturato l’attenzione di tutta la compagnia, e nessuno parlava più. Sul display balena un riflesso metallico, e la buggy si rimette in moto nella sua direzione. D’un tratto la vegetazione si apre e poco più avanti compare una porta rotonda, verde, con un pomo di ottone al centro.. <br>- E questa allora cos’è? La stalla del Morellino? - domando seccamente. Accelero la riproduzione alla massima velocità e dopo un po’ il filmato si spegne. La macchina era entrata in stand-by. Fine delle trasmissioni. <br>- E allora? - insistetti. <br>- E allora cerchiamola. - risponde il Giamba. </p> <p><font size="4"><strong>DOMENICA, E OLTRE</strong></font> <p>Cercammo, ma non trovammo. Né quella mattina, né nelle successive. E nemmeno quando organizzammo una caccia all’uomo in grande stile, con tutta la compagnia del Borgo. Provammo anche una volta di notte, spacciando la cosa per una uscita dedicata ai rapaci notturni. La Notte della Civetta, se ricordo giusto. Suonava bene, ed era comunque meglio non spargere troppo la voce. <p>Ma non ci fu niente da fare. <p>Qualcuno pensò che fosse stato uno scherzo, organizzato da me o da qualche altro perditempo. Al bar qualcun’altro incominciò anche a guardarmi con un certo timore, neanche fosse stata colpa mia. Sta di fatto che stiamo aspettando tutti con impazienza il prossimo compleanno del nostro amico riccioluto, sperando che faccia tardi anche in quella occasione e magari gli venga voglia di fermarsi a scambiare quattro chiacchiere. Nel frattempo, se passate da me, ricordatemi di farvi vedere la porta. Dal filmato ho ricavato una foto che ho appeso in studio. Ne ho anche regalata una copia agli amici di Borgo, ma loro sono piuttosto restii a mostrarla. Chissà perché. <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="https://lh3.googleusercontent.com/_8OzU43qsZwc/TIoxikFKz6I/AAAAAAAACns/yti9u6ZiQRM/cc_logo.png"> <br>"Al Campo del Munton" by Fabrizio Burlone is licensed under a <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</a>.<br>Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/">http://traccevisibili.blogspot.com/</a> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-88508297163835861382010-12-23T15:21:00.001-08:002010-12-25T05:46:14.540-08:00Natale sopra Gozzano<p> </p> <p><a href="http://lh5.ggpht.com/_8OzU43qsZwc/TRPZTr5fjGI/AAAAAAAACyM/Mr7y3Y_lFOQ/s1600-h/Natale%202010%5B6%5D.jpg"><img style="display: inline" title="Natale 2010" alt="Natale 2010" src="http://lh3.ggpht.com/_8OzU43qsZwc/TRPZW4jMORI/AAAAAAAACyU/_KeP94FR0Gc/Natale%202010_thumb%5B3%5D.jpg?imgmax=800" width="619" height="482"></a></p> <h4>“<b>Gli angeli stanno nella casa accanto alla nostra ovunque noi siamo” </b></h4> <h4><b>Emily Dickinson</b> </h4> <p><b><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/12/natale-sopra-gozzano.html#indice" name="indice"><font size="4">INDICE</font></a></b><font size="4"> </font> <p><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/12/natale-sopra-gozzano.html#la_vigilia">* La Vigilia</a><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/12/natale-sopra-gozzano.html#natale">* Natale</a></p> <p><font color="#c0504d" size="4"><a name="la_vigilia">La Vigilia</a></font></p> <p><font size="3">Osservava gli uomini da sempre, o almeno così gli sembrava di ricordare. Eppure non era mai riuscito a comprenderli per davvero. La città era piena di luci, di profumi e di rumori: tra poco sarebbe stata la festa del Santo Natale. Di questi tempi tutti quanti si sentivano più buoni, e forse lo erano, anche. Faceva parte del miracolo del Natale. Lui stava cercando un uomo in particolare, un uomo tra i tanti di buona volontà che ancora, per fortuna, camminavano lungo le strade del paese. Un uomo che lo avrebbe aiutato ad adempiere ad uno dei suoi compiti. Quello che, per Natale, si imponeva ogni volta da solo. Perché così doveva essere. Eccolo.</font></p> <p><font size="3">Sbucando nella piazza l’uomo era stato assalito da un’ondata di suoni e profumi. C’era mercato, oggi, ed era mercato di Natale. Che altro, se no? Come tutte le volte, non poté fare a meno di pensare a quanti prima di lui dovevano essere arrivati da quella stessa strada per fermarsi un istante a quello stesso angolo a contemplare la confusione. Lì si teneva commercio dall’anno del signore 919, con licenza rilasciata da Sua Maestà Imperiale Berengario Primo, Re d’Italia ed Imperatore del Sacro Romano impero. Mille anni: impressionante, a pensarci. Sfortunatamente, però, il clima non incoraggiava affatto le riflessioni profonde. Faceva un freddo barbino, e la porzione di faccia scoperta tra sciarpa e berretto gli formicolava sotto la classica puntura del classico milione di spilli. Provò a muovere la mandibola a destra a sinistra, per verificare che non si stesse congelando. In effetti non sembrava in splendida forma., ma per quello c’era rimedio. Seguendo il familiare aroma di alcol, spezie ed agrumi entrò nel cortile della vineria, dirigendosi subito al banchetto del pentolone che lo stava chiamando. <br>- Vin brulè? - domandò la conduttrice.<br>- Son qui per questo - dichiarò lui prendendo il bicchiere che gli veniva offerto. <br>- In giro per gli ultimi regali? <br>- Ma anche i primi e gli unici.<br>- Già. Tempi difficili per tutti, questi. Se lo lasci dire da me che ne ho visti di peggiori. <br>- Ma anche di migliori scommetto. Ci vorrebbe qualche idea. Per i regali, dico. <br>- Le idee vengono, qualche volta basta far prendere un po’ d’aria alla testa. Provi a fare un giro nel mercatino qui fuori, vedrà che qualcosa le viene in mente.<br>- Proverò.. Quanto le devo?<br>- Offerta libera, oggi. E si tenga qualcosa per i regali anche da parte mia, è Natale.<br>- Beh, grazie.. Grazie di tutto, e tanti auguri. <br>- Anche a lei, e buona fortuna.<br>Poco più avanti c’era un banchetto che vendeva giocattoli in legno, come quelli di una volta. A lui piacevano, ma dubitava che Anna e Marta avrebbero apprezzato un anticaglia come quella. Generazione Playstation, la loro.. Perbacco, come costavano, poi. Nell’ultimo anno lui aveva fatto più cassa che lavoro, come tanti altri nella zona da quando l’industria locale era andata a.. era entrata in crisi, ecco. Tessili, metalmeccanici, rubinettai: fra recessione e cineserie non si era salvato nessuno. Era già una fortuna che lui un lavoro ce l’aveva ancora, più o meno. Fino a quando, e chi lo sa? Ma per ora qualche soldo entrava lo stesso, anche grazie a Lucia che era sì stata messa a parttime, ma almeno lavorava ancora. E poi, lì intorno, qualcosa veniva sempre fuori. E’ il bello di stare in paese: le spese sono quelle che sono, ci si conosce tutti, ci si dà un mano. E ci sono tanti mestieri dove un paio di braccia in più fanno proprio comodo, di tanto in tanto. Anche solo in negozio, o a tenere i bambini di chi va in fabbrica, se la fabbrica c’è ancora... Ma basta con i pensieri cupi, adesso. Era la vigilia di Natale, no? Senza una ragione particolare alzò la testa, a guardare il cielo sopra Gozzano. Appena visibile, nell’oscurità che stava calando, qualcosa attraversò la piazza in volo. Un uccello, sicuramente. Ma dove era andato? Cercando di seguirne la traiettoria immaginaria andò quasi a sbattere contro un tipo che stava facendosi i fatti suoi accanto ad una bancarella di dolciumi. <br>- E’ un gufo - disse quello, senz’altro preambolo.<br>-Eh? <br>- Quello che ha visto volare qua sopra. E’ un gufo. L’avevo notato anch’io poco fa. <br>- Ma và? Ci sono i gufi anche in paese? Pensavo stessero nei boschi. <br>- Anche. Ma d’inverno tendono a radunarsi in un unico posto in gruppi di dieci, venti, anche cinquanta individui. Per passare la giornata, dormicchiare un po’, scambiare magari due chiacchiere.. Chissà che fanno lì tutto quel tempo. Tecnicamente si chiama “roost”, e se decidono che il luogo migliore per farlo è in pieno centro, in un giardino, un parchetto, allora eccoli qua.<br>- Sorprendente. Non ho mai visto un gufo. <br>- Ah, è un gran bell’animale. E’ grande più o meno così - mimò con le mani uno spazio di circa quaranta centimetri, si tende sempre ad esagerare un poco su queste cose - E con le ali aperte arriva quasi ad un metro. Beh, un po’ meno a dire il vero. Ha un piumaggio marroncino tutto chiazzato chiaro e scuro che si mimetizza benissimo tra rami e foglie. Non è facile da vedere.<br>- Credo di averlo sentito qualche volta: fa un verso tipo uh uh uh, piuttosto lugubre, se non sbaglio. E’ per quello che si dice che porti male, no? <br>- Porta male ai topi e alle talpe. E alle bisce, anche, e a quelli a cui piace vivere con quelle bestiacce tra i piedi. Comunque il verso è quello, suppergiù. Si dice che bubola.<br>- Bubola? <br>- Giuro. Un nome più buffo che lugubre, no? Come si chiamava il gufo della “Spada nella Roccia” il cartone animato? Ma venga con me, intanto, che andiamo a vedere il roost al municipio qui dietro. E ci scaldiamo, anche - lo invitò quello avviandosi al contempo. - O ha da fare? <br>- Il film della Disney? - domandò l’altro, mettendosi in moto a sua volta. - L’ho visto ma non mi ricordo. <br>- Beh, quello era buffo, no? Saggio, un po’ noioso ma fondamentalmente amichevole Speriamo che si faccia strada questo modo di vederli, perché..<br>- Anacleto!<br>- Eh? <br>- Il gufo del cartone. Mi è venuto in mente adesso: si chiamava Anacleto.<br>- Anacleto, giusto. Dicevo, speriamo che la gente si renda conto che sono animali simpatici e utili, visto che dobbiamo convivere ..<br>- Ci sono problemi?<br>- Quelli che ci si può immaginare. Sporcano, disturbano, non sono in tono con l’arredo del condominio.. Tutte balle, se si pensa che di giorno non si muovono neppure e oltretutto il guano è anche un buon fertilizzante. C’è chi lo paga.. Peccato che la gente non si fermi a guardarli, magari riuscirebbero a comprendere il capolavoro che sono. Ecco, siamo quasi arrivati. A quest’ora se ne saranno andati, ma magari riusciamo a vedere qualche pigrone che ha preferito rimanere ancora un po’ qui a sonnecchiare. <br>Passato il portone di accesso a Palazzo Ferrari Ardicini, ora sede municipale, i due attraversarono rapidamente il porticato interno per uscire, infine, nel giardino. Che era un gran bel giardino. Percorsero in silenzio il vialetto centrale, circondati dalle grandi sagome dei Cedri, delle Magnolie e delle Camelie, che nella notte ormai calata sembravano irragionevolmente minacciose e quasi inquietanti. Più in alto di tutti torreggiava il colossale Ginko Biloba, un gigante i cui rami sembravano perdersi addirittura nella volta stellata. A mezza via la guida uscì dal percorso per avvicinarsi ad una forma più densa delle altre. <br>- Ora non vedremo molto, purtroppo, ma di giorno è pieno come un albero di Natale, uno spettacolo… <br>- Beh, veramente a me sembra che ce ne siano ancora parecchi, però.. <br>La guida si fece un po’ più sotto per osservare meglio tra i rami - Caspita, è vero! - esclamò - Sono ancora tutti qui.<br>Difatti, nel riflesso della luce che illuminava il palazzo si scorgevano almeno una trentina di sagome delle dimensioni e forma descritte, con in più due grandi occhi gialli che fissavano attenti e due piume dritte in testa che sembravano due orecchie, anche se non lo erano. Erano solo piume. <br>- Sono bellissimi. <br>- Sì, era quello che stavo cercando di dire. E dovrebbe vedere i piccoli, sono dei batuffoli di piume con due enormi occhi arancioni che sembrano finti. Come quelli dei peluche di una volta. Incredibili. Crescendo perdono un po’ di sofficità, poi..<br>- Ma stanno guardando noi? <br>- Beh, penso proprio di sì.. Dopotutto siamo le uniche anime vive qui, oltre a loro. No? Provi a spostarsi un po’ sulla destra, i gufi non possono muovere gli occhi, quindi devono ruotare tutta la testa. Si nota. <br>L’altro si spostò di qualche passo a lato, come gli era stato suggerito. <br>- Curioso, sembra che tutti quanti stiano seguendo me.<br>- Già. Per quanto decisamente improbabile. E’ solo che.. <br>A metà della frase, nel silenzio più assoluto, un gufo si lanciò nell’aria, e scivolò via. Poi un altro. E un altro, e poi tutti quanti. Nel volgere di pochi secondi l’albero si era svuotato, lo spettacolo era finito. <br>- Beh, comunque siamo stati fortunati a vederli..<br>- In effetti è stato emozionante. Non pensavo proprio...<br>- Molte cose, in giro, non colpiscono subito l’occhio. Ma per chi le vuole cercare.. Lei era al mercato per i regali? <br>- Beh, sì..<br>- Venga con me, che le faccio spendere un po’ di soldi <br>- Guardi che io non ne che ne ho da buttar via. <br>- Non si preoccupi, è un investimento. E non sono io che vendo..<br>E così, chiacchierando del più e del meno i due arrivarono nuovamente alla piazza, fermandosi questa volta davanti ad un banchetto un po’ più piccolo e meno in evidenza degli altri. Dietro, seduto su di uno sgabello, ci stava un tale tutto intento ad assemblare qualcosa. <br>- Ciao giovane. - lo salutò l’altro, familiarmente. Hai qualcosa di pronto? <br>- Un paio di nidi e qualche mangiatoia. -<br>- Facci vedere le mangiatoie, per favore. <br>L’interpellato prelevò un paio di oggetti dall’esposizione, integrando quindi con un altro affare preso da sotto al banco. <br>- Eccole qui, direi che mi sono venute proprio bene. <br>Erano delle piccole piattaforme a tetto, tutte realizzate in legno e corteccia. Il piano inferiore era protetto da una piccola balaustra, si fa per dire. Al di sotto sporgevano dei sostegni che dovevano servire per incastrarci qualcosa. Una aveva anche degli anelli di ottone piazzati ai vertici della tettoia.<br>- Molto belle. - ammise il cliente involontario - Ma cosa sono? <br>- Mangiatoie, no? - spiegò l’artigiano, vagamente risentito.<br>- Per gli uccelli - si affrettò ad aggiungere l’altro - ci si mettono semi, bacche, granaglie, cose di questo genere. Gli uccelli che ci sono nei dintorni finiscono per trovarle e si abituano frequentarle. I pasti gratis piacciono a tutti. Di solito le si piazza in posizioni ben visibili, così ci si può mettere in poltrona ad ammirare lo spettacolo. E’ come un acquario, solo che i pesci hanno penne e piume. <br>- Ed è un tantino più grande. Costano molto?. <br>- No che non costano molto - intervenne l’artigiano - Con quelle che faccio io, poi, nel prezzo è compreso anche un libretto con tutte le istruzioni del caso e un sacchettino di semi e granaglie.. Giusto per incominciare..</font></p> <p><font size="3">Dall’alto della torre campanaria che era ormai diventata la sua torre campanaria, il suo sguardo seguì l’uomo che stava rincasando. Portava con sé le cose che aveva acquistato sul mercato e che avrebbe condiviso con i cari all’indomani, nella giornata del Santo Natale. I regali. <br>Fin da lassù lo si sentiva canticchiare, we wish you a merry Christmas, we wish you a merry Christmas.. Sarebbe stato un Buon Natale, dopotutto.<br></font></p><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/12/natale-sopra-gozzano.html#indice">indice</a> <p><font color="#c0504d" size="4"><strong><a name="natale">Natale</a></strong></font></p> <p><font size="3">Si erano svegliati tutti presto, quella mattina. Per una volta le bambine non lo avevano nemmeno filato, neppure un tantino. Erano invece schizzate fuori dalla cameretta come dei razzi, per poi saettare davanti alla porta della cucina ignorando senza rimorso colazione e mamma e sbarcare in soggiorno, infine, come un’autentica invasione di Marines. Avevano quindi attaccato i regali in attesa sotto l’albero, facendone strage in un secondo o poco più. Papà osservava il tutto dalla soglia, vagamente preoccupato. Anche un po’ più che “vagamente”, a dire il vero. Perché si fa presto a dire che quel che conta è il pensiero. C’erano due pigiamini, uno rosa e uno giallo. Pastello. C’erano due coordinati di cuffia, guanti e sciarpa in pile che facevano caldo solo a guardarli. C’era qualche pacco arrivato da parenti e amici: maglioni, libri, tutte cose utili che difficilmente, però, avrebbero catturato la fantasia di due ragazzine di dieci anni che adoravano le Winx e Babbo Natale. Abbinamento fatto ad arte, pensava lui. Quest’anno si era potuto fare solo l’essenziale, e meno male che l’essenziale era già qualcosa.. Di oggetti strani c’era uno solo, chissà perché si era lasciato convincere, poi. Stavano scartando proprio quello..<br>- E questo cos’è, papà? <br>Ma guarda, si erano accorte che c’era ancora anche lui, in casa. - E’ una mangiatoia, bambine.. - e attaccò con lo spiegone che gli era stato propinato la sera prima alla bancarella. Mente stava parlando Marta prese a sfogliare il libricino a corredo, fermandosi di colpo dopo poche pagine per irrompere nel discorso come una bomba.. <br>- Guarda papà, Guarda! Guarda che bella questa qui!<br>L’uomo spostò la sua attenzione sull’opuscolo che Marta gli stava mostrando. C’era un uccellino della forma approssimativamente di un passero, con il corpo giallo, la testolina nera, due belle guanciotte bianche e uno spesso collare nero. Dal collare partiva una striscia dello stesso colore, una specie di grembiule che scendeva giù, giù, praticamente fino alle zampe.. <br>- Cincia.. cincia.. sposta il libretto che non riesco a vedere cara. Cinciallegra. Ah, ma sono fatte così? Non lo sapevo. Bella, sembra un canarino. Con più colore, però<br>- Il libro dice che vengono anche loro alla mangiatoia. <br>- Ma va? Eh, sarà difficile qui in paese, però. Su di un balcone, poi... <br>- Proviamo? - incalzò Anna<br>- Beh, l’abbiamo presa per quello.. Proviamo. <br>Decisamente soddisfatto della piega che gli eventi stavano prendendo si accomodò sul pavimento e, mentre le bimbe leggevano il manualetto a gran voce, incominciò la lotta senza quartiere contro le istruzioni per il montaggio. Fortunatamente c’era davvero poco da sbagliare, anche per un imbranato come lui, e nel giro di pochi minuti la costruzione fu terminata. Era anche bella a vedere: il pianale in legno, il minuscolo parapetto, il tetto a spiovente in corteccia. Bella. Fosse stato un lillipuziano gli sarebbe piaciuto avere un gazebo del genere nel suo giardino. E, fosse stato una cinciallegra, non avrebbe certo mancato di farci un pic nic o due, di tanto in tanto. <br>- E questo? - irruppe Marta nuovamente, con il suo libricino in mano<br>- Codibugnolo. Bello, davvero - Era un piumino da cipria bianco e rosa e nero, con una coda lunga un chilometro e gli occhi piccoli piccoli e neri neri che sembravano due carboncini. Ma dove le aveva prese tutte quelle bestie rare, quello del libro? In giro mica se ne vedevano. Qualche passerotto, al massimo. Qualche piccione, qualche rondine in estate. Ah, un pettirosso, una volta. L’aveva scorto per un istante, più che altro intuito. Un inverno, mentre scendeva al Lido. Ma Cinciallegre e Comignoli o come diavolo si chiamavano, mai. Sollevando gli occhi dal libro notò che tutta la famiglia lo stava osservando. <br>- Codibugnoli, papà. Non comignoli! - lo rimproverò Anna. Oops, doveva aver pensato a voce alta.<br>- E sono sicuro che ci sono anche qui. - Aggiunse Marta mettendo su un broncio che si vedeva lontano un chilometro che era tarocco.. <br>- Certo, certo. Basta che poi non vi lamentiate con me se arrivano solo passerotti. Che hanno anche quelli il loro bel perché, comunque. - Le bambine gli mostrarono la lingua. <br>Si imbacuccarono in fretta e furia, e finalmente furono fuori, sul balcone, a piazzare la nuova meraviglia. La sistemarono in vista della finestra ed in una posizione che, si sperava, poteva sembrare interessante agli uccelli di passaggio o a quelli dei giardini dei vicini. <br>“Ai passerotti” pensò papà, ma questa volta si guardò bene dal lasciarselo sfuggire. Fatta la posa, si passò al primo rifornimento, come indicato nella guida all’uso e manutenzione. Un poco di acqua (perché intorno tutto è gelato), semi e granaglie quanto basta (forniti a corredo), frutta fresca a piacere (che fa sempre bene). Delle palline di margarina (ma pensa te) qualche pezzettino di carne (per cince, storni, pettirossi, merli e tordi, ma ripensa te). Un po’ di briciole e un pezzetto di panettone di qualche giorno prima. Desidera altro, signore?<br>Finito di imbandire per gli ospiti arrivò il momento di pensare anche ai padroni di casa. <br>Il pranzo di Natale era sempre una magia. Si cominciava con l’inventario della cucina, tirando fuori tutti gli attrezzi e le stoviglie per le feste, le pentole grandi, le porcellane, i cristalli, la tovaglia buona. E la macchina per stendere la pasta, la carta oleata, il mattarello, una marea di ciotole, vasetti e aggeggi senza nome. Cioè, un nome ce l’avranno pure avuto, probabilmente, ma anche “la cosa per fare qualcosa” andava benone. Poi c’era da apparecchiare il tavolo in soggiorno, si mangia lì a Natale. Anche perché il tavolo della cucina serve per gli Ingredienti e le Preparazioni, quelle con l’iniziale maiuscola. C’era da mettere in posa gli antipasti, versare la farina (a vulcano, con il laghetto in mezzo; chissà perché è sempre più quella che finisce addosso o in terra che quella che resta sul tavolo). C’era da fare la pasta, tirarla, preparare il ripieno (meglio non chiedere cosa ci fosse dentro; e comunque è un segreto), agnolottare gli agnolotti. Marta si fermò di colpo. <br>- Che c’è ? - domandò mamma, un tantino spaventata.<br>- Mi è sembrato di vedere volare qualcosa, sul balcone. - Tutti andarono a guardare, ma non c’era niente. <br>- Ci vuole tempo - la consolò mamma, anche lei un tantino delusa - E pazienza. Per prima cosa noteranno che c’è qualcosa di nuovo nel vicinato. Quindi verranno a vedere di che si tratta, non si sa mai. Trovato il cibo, prenderanno qualcosa al volo per poi scappare via a consumarlo in qualche posto un po’ più riparato. Ma senza perdere di vista quello che hanno lasciato qui, se ci riescono. Infine, quando si sentiranno veramente sicuri, ma sicuri sicuri, si fermeranno a pranzo proprio qui sulla mangiatoia. E magari anche a prendere il caffè, dopo. - concluse sorridendo. “E tutta questa scienza da dove viene?” le domandò papà, muovendo solo le labbra, mentre le bimbe stavano ancora guardando fuori. “Ho sfogliato il libretto prima di fare il pacco”, rispose mamma allo stesso modo. - Allora, chi mi aiuta a fare la crema? - aggiunse poi ad alta voce . <br>- Io, io! - Si offrirono tutti quanti al volo. E sottolineo: tutti. <br>Non ci volle molto a riprendere il ritmo delle preparazioni con lo stresso entusiasmo prima. E’ uno dei miracoli della festa, o forse della famiglia. O di tutte e due. Fatta la crema si scatenò la necessaria battaglia per stabilire i diritti di precedenza per leccare posate e vasellame, ma la questione fu regolata abbastanza in fretta e si poté proseguire. All’ora dovuta, finalmente, il Pranzo di Natale fu pronto. Ce ne erano stati altri prima, e come no. A volte più esotici, spesso più lussuosi. Ma questo prometteva di essere speciale, forse perché era stato preparato tutti insieme. Anzi, sicuramente per quello. “Come si faceva quando ero piccolo io” pensò papà, “Come piaceva anche ai nonni. Saranno contenti, lassù, se ci guardano.”<br>A far sparire un pranzo ci si mette di solito molto meno che a prepararlo, e anche quello di quel Natale non fece eccezione alla regola. Con godimento e soddisfazione dei partecipanti, come si può intuire, tant’è che le bimbe si offrirono perfino di lavare i piatti. <br>- Basta che diate una mano a sparecchiare, al resto pensiamo io e papà. - aveva proposto mamma. - Però tengo buona l’offerta per un'altra occasione.. - <br>Marta aveva rimesso su il broncio tarocco, ma poi aveva incominciato a tirar su un po’ di cianfrusaglie sparse in tavola per avviarsi infine, carica come un asinello, verso la cucina. Sulla strada quasi investì Anna che, immobile, con i piatti ancora in mano, stava fissando la finestra. <br>- Ma che…<br>- Shh - le intimò la sorella. - Sono arrivati.- <br>Marta, congelata a sua volta sul posto, allungò il collo cercando di sbirciare al di sopra delle spalle della sorellina. Poi, visto che l’operazione non sembrava riscuotere successo, appoggiò il carico sul pavimento e si avvicinò il più incospicuamente possibile ai vetri. Mamma e papà, intanto, osservavano divertiti le manovre da ninja delle loro figliole. Poi, come era ovvio, la curiosità prese il sopravvento e anche loro si diressero alla finestra. Nella mangiatoia c’era un uccellino. Era grosso come un passerotto, più o meno. Guanciotte bianche, corpo giallo, sembrava la cinciallegra che avevano visto sul libretto in mattinata, ma senza collare e parannanza neri e con un sacco di blu in più su testolina ed ali. - Sembra una Cinciallegra - azzardò papà.. - Cinciarella! - Corresse mamma indicando l’illustrazione sul solito manualetto che aveva recuperato da chissàddove. - Sono parenti, però -<br>- E’ ovvio, no? - rimarcò Anna - Guardate ne arriva un'altra! -<br>Questa volta, però, era una Cinciallegra per davvero. Atterrò a fianco della cugina, accendendo all’istante un’autentica rissa da strada per la conquista dei semi rimasti sul piano della mangiatoia. <br>- E ce ne sono ancora! - altri uccellini si stavano infatti prudentemente avvicinando. A volte si soffermavano sui rami degli alberi a dirimpetto del balcone, per poi precipitarsi alla mangiatoia come degli aerei da caccia, pigliare al volo un seme, una briciola, un pezzetto del qualcosa che costituiva l’obiettivo di guerra e quindi ritornare, altrettanto rapidamente, sul rametto di partenza. Il tutto senza che l’occhio riuscisse neppure a distinguere il movimento. Libro alla mano, arrivarono i pettirossi e i codirossi, i fringuelli, i lucherini e naturalmente qualche merlo, qualche passero e perfino un..<br>- Un comignolo! - esclamò papà tutto agitato.<br>- Un codibugnolo! - lo corressero all'istante le tre ragazze. Non appena ebbero finito di ridere della sua uscita, cioè.<br>Piano piano lo spettacolo calò di intensità, le visite si fecero meno frequenti ed alla fine la mangiatoia restò vuota, con solo qualche rimasuglio qua e là a ricordare il servizio prestato. <br>- Che bello! - commentò Marta - Dici che verranno anche domani? -<br>- Beh, credo di sì - rispose papà - Magari non così tanti, il pranzo di Natale non si fa mica tutti i giorni, no?<br>- E' vero! - Confermò Anna, che visto che era irrequieta di natura non potè fare a meno di aggiungere:<br>- E cosa facciamo adesso? -<br>Papà intanto stava guardando fuori. Il sole era basso basso, ormai. Ma c'era ancora tempo. - Su il cappotto, ragazze. Usciamo. Avanti, avanti che c'è da fare in fretta. <br>- Dove andiamo? - Domandarono tutte quante in coro..<br>- Sorpresa. Muoversi, muoversi.<br>Il freddo dell'inverno lo investì appena varcata la soglia. Tonificante, dopotutto. Il resto della famiglia lo stava aspettando pochi metri più avanti, azzardando ipotesi a mezza voce sulla loro possibile destinazione. Non avrebbero indovinato mai. Era stato un buon Natale, assolutamente buono. Si voltò per chiudere la porta, stava facendo buio in fretta, si faticava a trovare la serratura. Poco male, tanto i gufi avrebbero aspettato. Non sapeva perchè, ma avrebbero aspettato.<br>- Andiamo, non facciamoci attendere troppo..</font></p> <p><font size="3">Lui osservava la scena con una certa soddisfazione. L'indomani ci sarebbero stati amici da ringraziare e qualche favore da ricambiare, ma ne era valsa la pena. E non era neanche poi stato un gran lavoro alla fin fine. Era bastato un invito qui, un'assicurazione là, una mezza parola bisbigliata alle orecchie giuste. Non era difficile fare felici le persone di cuore, non lo era mai stato. Alzò gli occhi al cielo. Non si vedevano stelle, anzi, nell'aria c'era odore di neve. Era stato un gran bel Natale, dopotutto. Un po' anche per merito suo. Sorrise, se così si può dire. Poi si lanciò nel vuoto e svanì, nel cielo sopra Gozzano. </font></p> <p><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/12/natale-sopra-gozzano.html#indice">indice</a> </p> <p><a href="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TIoxikFKz6I/AAAAAAAACns/yti9u6ZiQRM/s1600/cc_logo.png"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TIoxikFKz6I/AAAAAAAACns/yti9u6ZiQRM/s1600/cc_logo.png"></a> <p>"Natale sopra Gozzano" by Fabrizio Burlone is licensed under a <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</a>.<br>Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/">http://traccevisibili.blogspot.com/</a> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-10422269194576712372010-09-10T06:33:00.000-07:002010-12-24T11:35:20.352-08:00Il Campo della Sciura<div style="text-align: center; clear: both" class="separator"><a style="margin-left: 1em; margin-right: 1em" href="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TIow9H_wH5I/AAAAAAAACno/bMxVF4f0b20/s1600/Il+campo+della+sciura.jpg" imageanchor="1"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TIow9H_wH5I/AAAAAAAACno/bMxVF4f0b20/s400/Il+campo+della+sciura.jpg" width="564" height="417" ox="true"></a></div> <div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-top: medium none; border-right: medium none"></div> <div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; color: #990000; border-top: medium none; border-right: medium none"><b><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html" name="indice"><span style="font-size: large" class="Apple-style-span">INDICE</span></a></b></div> <div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-top: medium none; border-right: medium none"><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_prima">* PARTE PRIMA</a><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_seconda">* PARTE SECONDA</a><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_terza">* PARTE TERZA</a></div> <div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-top: medium none; border-right: medium none"><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_quarta">* PARTE QUARTA</a></div><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_quinta">* PARTE QUINTA</a><br> <div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-top: medium none; border-right: medium none"><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_prima" name="parte_prima"><span style="font-size: large" class="Apple-style-span"><b>PARTE PRIMA</b></span></a></div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm"><font size="3">Dovete sapere che a quel tempo in Borgolavezzaro viveva una strega. Una striä, come si diceva sul posto. Ma non una di quelle che hanno fatto un patto col diavolo, che mettono i crocefissi a testa in giù e sputano sulla porta della chiesa. No, non è proprio questo il caso. E non era neanche sempre stata una strega, poi. Anzi, in un tempo neppure poi troppo lontano era stata una moglie e una madre. E soprattutto, era stata una donna, curiosa ed intelligente come poche altre nella sua generazione. Il che non era visto proprio come una virtù, allora. E forse neanche adesso. Coetanee e, soprattutto, coetanei, ne soffrivano la competizione, ben sapendo tra l’altro di non avere mezzo di spuntarla con lei. Le autorità la tenevano d’occhio con sospetto, le autorità fanno sempre così quando qualcosa non rientra nei loro schemi. E’ nella loro natura, che ci volete fare? Ad ogni modo, tutto questo c’entra ben poco con la nostra storia fin qui. Quello che c’entra, piuttosto, è che tra le persone che l’avevano invece presa in simpatia c’era pure il curato di Santa Maria. Ad una mente non particolarmente maliziosa potrebbe anche sembrare strano che un curato mostri un particolare interesse per una giovane ragazza, difficile ed impertinente per giunta. Ma Santa Maria era una chiesa strana... Era molto, ma molto vecchia. Cadeva a pezzi, un giorno o l’altro sarebbe finita in testa ai fedeli riuniti a messa e finalmente qualcuno avrebbe provveduto a tirarla giù del tutto e magari a tirarne su una nuova. Doveva essere già successo in precedenza, comunque, perchè alcune pietre dabbasso nella cripta sembravano più antiche delle altre, e di parecchio. Qualcuna, altra stranezza, era anche decorata con motivi che di chiesa avevano poco e mostrava tracce di segni ed incisioni che nessuno dichiarava od ammetteva di saper leggere. Neanche i preti e gli studiosi che erano venuti apposta a guardarle. O qualcun altro tra i tanti che da sempre facevano avanti ed indietro in continuazione e mica sempre si capiva il perché ed il percome. Insomma: per farla breve se Santa Maria aveva le sue bizzarrie che le avesse pure il suo curato era sembrato a tutti semplicemente normale. Per dirne una, faceva il suo mestiere con fede e devozione evidenti, certo. Era amato da tutti nel circondario, aveva aiutato tanta gente e non aveva mai fatto danno a nessuno, è vero. Era rispettato dal Borgomastro e dalle Autorità Locali tutte, e più per merito che per convenienza si potrebbe dire. Perfino i suoi superiori lo portavano in palmo di mano. Però.. Però, ecco, a sentire i discorsi che faceva, a vedere i riti che praticava o le scienze che applicava, qualcosa non quadrava. Sembrava che pescasse da più di un mare, quello della Chiesa di Roma senz’altro il più vasto, ma non il solo. Impossibile a dirsi come facesse, ma un pizzico qui, una bella manciata là, un po’ di questo e un po’ di quello e quello che veniva fuori era un coro armonico, un pieno d’orchestra talmente lampante da non poter essere inteso altrimenti. Ed anche i più dubbiosi alla fine restavano persuasi di aver ascoltato il Verbo così come era stato scritto, anche se proprio non avrebbero saputo dire dove. Per la cronaca, qualcuno ricordava che anche il curato precedente era stato strano della stessa stranezza, i più anziani sostenevano che lo fosse stato anche quello prima, e che i loro nonni, quando loro erano bambini, raccontavano di una tradizione che andava ancora più indietro, di generazioni.. <br><br>Sia quel che sia, alla fine il curato aveva comperato Caterina dalla sua famiglia in cambio di un paio di indulgenze, una medicina contro la tosse (che a dir la verità aveva anche funzionato) e due oche grasse. I mormorii si erano sollevati all’istante, ma si erano placati altrettanto in fretta, quando cioè era diventato evidente a tutti che la bambina, perchè di bambina si trattava, veniva trattata come una figlia e non come una serva o peggio. E si sa, di diventare la figlia del curato era una fortuna che capitava a pochi. <br>Lì, aveva imparato a leggere e scrivere, il che era già molto. Aveva imparato anche a far di conto e pure quel che serviva per le faccende di uso corrente di quello che si chiamava geometria. Curioso come problemi e figure all'apparenza prive di connessione alla fine risultassero utili per calcolare, ad esempio, quanto vino ci potesse entrare in una botte o quanto tempo ci volesse per arare un campo. Con il tempo il curato aveva poi preparato dei veri percorsi “di istruzione”, così li chiamava, che iniziavano quasi sempre dai polverosi manoscritti stipati un po' dovunque nelle cassapanche di Santa Maria, per finire con le lezioni personali sue di lui, sul campo all'occorrenza. Ma anche all'incontrario, talvolta. Piano piano la curiosità della bambina si trasformò nell’impegno della donna che, come ci si sarebbe anche potuto aspettare, sbocciò in autentico talento per le scienze della natura. Caterina prendeva una manciata dalla medicina e dall’alchimia degli arabi, aggiungeva una pizzico dalla tradizione del Borgo, mescolava con un tantino di qualcosa che si era inventato lei, e quello che usciva fuori poteva sanare un malato, scatenare una rissa tra gli studiosi in visita, suggerire un nuovo concetto o distruggere un’opinione in chiunque fosse stato tanto incauto da aver prestato orecchio. All’età giusta Caterina si era fatta avanti con il giovane che aveva deciso di sposare fin da quando era bambina, e ovviamente per lui non c’era stato scampo alcuno (né desiderio di trovarlo, a dire il vero). Pochi mesi dopo era arrivata a Borgolavezzaro una piccola compagnia di mastri muratori che aveva tirato su dal giorno alla notte una graziosa casetta in un posto preciso a breve distanza da Santa Maria, per poi sparire senza neppure salutare. Era seguita una cerimonia, che includeva anche uno sposalizio, al cui termine Caterina e suo marito avevano preso possesso dell’immobile e vi si erano trasferiti con la ferma intenzione di mettere su famiglia. E ci erano riusciti. Gli anni seguenti avevano visto la coppia proseguire felicemente, per quanto è dato ai mortali di essere felici, il proprio cammino, allietato anche dalla nascita di quattro figli, due maschi e due femmine che in breve erano diventate il loro centro dell’universo. Al punto tale che perfino l’addio del curato alla chiesa e al paese tutto era passato alla storia come un fatto di banale normalità. Una domenica, al termine di una messa più intensa del solito, aveva annunciato la sua partenza. Il Vescovo di Novara avrebbe inviato un sostituto, aveva detto, ma non subito, e nemmeno presto probabilmente. La mattina dopo aveva chiuso Santa Maria e se ne era andato. Tutto qui. Come per magia i visitatori e studiosi avevano smesso di arrivare, ai fedeli si era provveduto con una soluzione itinerante (ma si stava pensando di costruire una chiesa nuova, meno eccentrica, magari) mentre per le questioni di vita quotidiana c’era Caterina che poteva fare da ottima supplente. Quando non era presa dai bambini, naturalmente.<br></font><br><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#indice">indice</a><br><br></div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm"></div> <div style="margin-bottom: 0cm; color: #990000; margin-right: -0.13cm"><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_seconda" name="parte_seconda"><span style="font-size: large" class="Apple-style-span"><b>PARTE SECONDA</b></span></a></div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm"><font size="3">E intanto il tempo passava. Poi, quando nessuno lo aspettava più, il destino si fece vivo. Arrivò seduto su di un carretto, che si arrestò proprio davanti al cortile di casa. Il carrettiere fece per scendere, ma invece crollò a terra, come un sacco di castagne. Furono le bimbe a vederlo per prime e a correre al suo soccorso, per quel che potevano soccorrere delle bimbe di pochi anni. La più piccola filò a chiamare Caterina, che arrivò in un lampo con in cuore un cattivo presagio. Si chinò sull’uomo; puzzava di malattia, di morte. In fretta e furia fece mettere in piedi un riparo sotto cui alloggiarlo, rifiutandosi categoricamente di ospitarlo in casa. Il carretto fu bruciato sul posto con il suo contenuto di merci e provviste, cosa fossero non importava. Per un attimo si pensò di bruciare anche il cavallo, ma per sua fortuna alla cosa non venne poi dato seguito. Lo straniero non passò la notte, e all'alba seguì la sorte del suo trasporto nelle fiamme. Da quello che portava con sé e dalle poche parole comprensibili che aveva biascicato nel delirio si era riusciti a capire che faceva parte di una specie di carovana commerciale proveniente da Costantinopoli e diretta da Qualche Parte in Francia. E che mentre il grosso della spedizione aveva proseguito passando più a nord, lui e altri che si erano ammalati durante il viaggio avevano piegato un tantino a sud per trovare una leggendaria curatrice di cui si parlava fin dall’oriente. Caterina inviò il marito a Borgolavezzaro con l’imperativo di non avvicinarsi a nessuno e di ordinare, a distanza, che venissero inviati dei soldati o dei volontari a cercare e trovare il resto dei malati, vivi o morti che fossero. Si sarebbe dovuto bruciare i morti sul posto, e così tutti i loro averi, mentre i vivi dovevano essere caricati su di un carro e portati lì da lei, il tutto senza toccarli neanche con un bastone. Come fare non era problema suo, ma così andava fatto. <br>“Dì loro che ne va della loro vita, ma non temere, lo capiranno da soli non appena li vedranno.” Poi si diresse finalmente verso i suoi libri, cosa che avrebbe voluto fare da subito, per scoprire la natura della malattia e la cura che potesse debellarla. Ricordava vagamente di aver letto da qualche parte che ai tempi di Giustiniano, circa 740 anni dopo la nascita di Cristo, una piaga dai sintomi non dissimili aveva colpito Bisanzio e l’Impero d’Oriente, sterminando più o meno la metà della popolazione in pochi anni. Si era poi propagata in Occidente attraverso Genova e Marsiglia e poi verso i territori Iberici dei Visigoti, causando altrettanti danni ed altrettanti lutti. Non si sapeva come si propagasse, c’era chi diceva attraverso lo sporco, chi attraverso l’unzione e la magia, altri ancora sostenevano fosse una corruzione del sangue causata dal morso dei topi o delle pulci. Di fatto era inarrestabile, e, quel che peggio, non c’era cura. Però poteva essere contenuta, e comunque, fin che c’era vita c’era speranza. <br><br>I soldati tornarono con due superstiti, e controllato che tutto fosse stato fatto come ordinato, Caterina consegnò ai poveretti la lista delle contromisure da prendere in paese e sul territorio tutto e li rispedì indietro con il diavolo alle calcagna. Preparò i medicamenti che poteva preparare, per calmare la febbre, placare i dolori, pulire le piaghe. Preparò tutto quello a cui poteva pensare, e poi altro ancora. Quindi aspettò, perché altro non si poteva fare. Ma quando accade il prevedibile fu evidente che nessuno poteva essere pronto per quello. I superstiti, tutti, morirono in un paio di giorni. Poco dopo caddero ammalate le bimbe. Quindi i maschietti, e poi lei. Lavorò finchè la febbre e la stanchezza glielo permisero, sperimentando cure, setacciando i testi, facendo tutto quello che poteva per alleviare le sofferenze dei suoi bambini. Supplicò l’Onnipotente e tutti gli Dei che conosceva, pregò, maledì, cercò di barattare la vita dei suoi figli con qualsiasi cosa potesse offrire, tentò riti proibiti e pratiche dimenticate, alla fine cadde sul posto dove si trovava a metà di una frase e l’incoscienza l’accolse. <br><br>Si svegliò nel suo letto, madida di sudore ma viva. E sicuramente più in salute di quanto non fosse stata prima di.. prima di quando? Quanto tempo era passato? Provò ad alzarsi, ma la stanza prese a girare tutto intorno. Accanto al letto qualcuno aveva messo del pane vecchio, della frutta secca una grande brocca ben chiusa.. Chiamò, ma non rispose nessuno. Muovendosi con estrema cautela riuscì ad aprire la brocca e prese un po’ di acqua. Santo cielo, probabilmente non beveva da giorni. Si sforzò anche di sbocconcellare un po’ di cibo e poi, visto che ancora nessuno rispondeva, si fece forza e si sollevò in piedi. Fu allora che vide la lettera. Era appoggiata sull’unica sedia della stanza, su di un cambio di abiti puliti. Con il terrore nel cuore Caterina arrivo a prenderla ed ad aprirla <br><br>“Amore mio, non so quando leggerai questa lettera ma sono certo che finirai per leggerla. Sono passati sette giorni da quando sei caduta in questo sonno terribile, ma posso vedere che stai finalmente migliorando e che quindi sicuramente ti rimetterai, non può essere altrimenti. Per prima cosa volevo assicurarti che ho pensato io ai bambini per tutto il tempo dovuto, e che quando sono venuti gli angeli a prenderli non erano da soli. Hanno chiesto spesso di te nella febbre e qualche volta li ho portati al tuo letto così che potessero vedere che eri lì. Non so se ho fatto bene ma dopo sembravano più sereni. Alla fine ho provveduto a loro come mi avevi detto di fare e ho anche messo quattro croci con i loro nomi nel giardino, sotto al salice. Lo so che non ha senso, ma mi sembrava giusto farlo. Ti devo anche dire che quando ti sveglierai io non ci sarò. La malattia, o quello che è, alla fine sta reclamando anche me, e con molta più fretta di quanto non abbia fatto con gli altri. Io credo che sia perché devo prendere il tuo posto, ho pregato a lungo per questo ed alla fine il Signore deve avere deciso di concedermi questo dono. Anche per questo sono felice, e me ne andrò felice di tutto quello che è stato della mia vita, e anche di più. Spero che il sistema che ho pensato per disporre di quello che resterà di me, che non è più un granché ormai, funzioni a dovere, e che a San Pietro non dispiaccia dopo tutto di dovermi accogliere un tantino bruciacchiato. Ti lascio accanto al letto qualcosa per rimetterti in forze quando ti servirà, mi spiace di non potere fare di più ma per me è ormai quasi arrivato il momento di partire. Ti aspetterò lassù con i bambini, spero, e se quando arriverai invece non mi troverai ad aspettarti, sappi che io ti ho amato con tutte le mie forze e continuerò a farlo ovunque mi trovi. <br>Tuo per sempre, Giovanni.” <br><br>Caterina non pronunciò una parola e non versò una sola lacrima per tutto il tempo. Finì il cibo e bevve l’acqua. Uscì all’aperto, era giorno. Senza degnare di uno sguardo i resti del grande falò che ingombravano l’angolo del cortile arrivò fino all’abbeveratoio, si lavò e indossò il cambio di vestiti. Poi si incamminò verso il cancello che chiudeva il cortile, e passò oltre. Prese il sentiero che conduceva al salice, ma superò anche quello senza nessuna esitazione e sparì alla vista, nel fitto del bosco. La notte stessa la casa e la chiesa di Santa Maria presero fuoco e bruciarono fino alle fondamenta e oltre. Bruciò l’altare e la cripta, bruciarono travi e pietre, antiche o moderne che fossero. Bruciarono libri, mobili ed attrezzature. Bruciò il ferro, bruciò l’ottone, si consumarono persino il focolare, la fucina. I paesani che erano accorsi a prestare aiuto, infrangendo le regole imposte dalla Guaritrice e dalla loro stessa paura del contagio, non poterono nemmeno avvicinarsi al luogo dell’incendio, respinti da un calore che incendiava le vesti e faceva fumare la pelle a cento passi distanza. Alle prime luci dell’alba il fuoco si estinse in un solo istante, come la fiamma di una candela al vento. Della casa e della chiesa non erano rimaste tracce; solo uno spiazzo vuoto, annerito dalle fiamme e già freddo come la notte che se ne era appena andata. I Borgolavezzaresi se ne tornarono in paese in tutta fretta, ben felici di allontanarsi da quel luogo stregato senza avere alcuna ragione per doverci tornare. Con il tempo prati e boschi avrebbero preso nuovamente possesso del posto, completando l'opera del rogo. Certo, Santa Maria sarebbe stata ricostruita, forse lì o forse altrove, perché dopotutto il posto e le ragioni per costruire le chiese non le scelgono gli uomini. Ma della vecchia costruzione non sarebbe rimasto neppure il ricordo. <br><br>Nessuno vide più Caterina, o sentì parlare di lei. Con quel nome, quantomeno, perché più o meno nello stesso periodo incominciò a spargersi la voce che nel bosco, intorno a Borgolavezzaro, vivesse una strega.. <br><br></font><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#indice">indice</a><br><br><span style="font-size: large" class="Apple-style-span"><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_terza" name="parte_terza"><span class="Apple-style-span"><b>PARTE TERZA</b></span></a></span><br><font size="3">Era estate, faceva caldo ed era decisamente una splendida giornata. Agnese aveva portato i bambini giù all'Amalia, a lavare. Non una cosa che amasse fare, invero. C’era sempre il rischio che qualcuno finisse dove non toccava. Ma lì l’acqua non arrivava neanche a coprire il ginocchio e la corrente era dolce come una brezza. In più, il Borgomastro aveva fatto sistemare uno scivolo di sabbia e ghiaia che scendeva fin nel letto della fontana, così che restasse più facile entrare e uscire anche carichi di secchi e mastelli. A questo punto per correre per davvero dei rischi uno doveva proprio metterci del suo e con un sole così tenere lontani i bambini dall’acqua era praticamente impossibile. Ugualmente, però, Agnese non era tranquilla. Non era l’acqua a farle paura, oggi. Era il bosco. Perché nel bosco, si diceva, qualcuno aveva visto una strega. Era stato un attimo, il più delle volte: un’ombra che si muoveva nell’ombra, l’eco di una voce maligna lungo il sentiero. Ma c’era anche chi sosteneva di averla vista per bene, di averle parlato addirittura, e di averne avvertito in un modo o nell’altro la forza e la malia. Tra lupi e briganti, viaggiare era pericoloso di quei tempi e quelli che lo facevano di solito non erano sempre del tutto a posto con la testa. O con la coscienza. In ambo i casi, non proprio gente a cui dar retta alla cieca. Però ne parlavano in così tanti che qualcosa sotto doveva esserci. Ecco perché continuava a scrutare il limite della foresta, che di recente era stata fatta arretrare di parecchi metri dal limite della fontana. Come a dire che qualcosa sotto doveva proprio esserci. Ed ecco perché quando la strega arrivò da un’altra parte, Agnese non la vide.. Sentì solo un profumo, un profumo dolcissimo che portava alla mente il Natale, il primo bacio, le risate con le amiche, tante cose tutte buone. Sentì un gran sonno crescere dentro di lei, gli occhi che si facevano pesanti, la voglia di perdersi dentro a quei ricordi. E così fece, abbandonandosi ai sogni più belli della sua vita, sogni di cui poi le sarebbero rimaste poche memorie ed un vago senso di perdita. La strega passò oltre. “Bambini!” chiamò, “Venite, venite a guardare.. Ho qui una meraviglia che nessun altro ha mai visto prima d’ora. Venite, venite qui..” Ora, bisogna dire che la strega non assomigliava affatto ad una strega, non a una di quelle di cui si racconta in giro quanto meno. Per giunta, nessuno aveva detto ai bambini del possibile pericolo, per non spaventarli. Non si fa sempre così, salvo pentirsene dopo? “Guardate,” continuò “le costruiscono i maestri di Cartagine con il ferro delle miniere dell’Atlante. I colori sono fatti con le sabbie del grande Erg orientale e dentro c’è il frammento di una stella caduta dal cielo.. Guardate.. “ I bambini non sapevano neppure dove fossero Cartagine o le miniere dell’Atlante, e poi si stavano divertendo troppo nell’acqua della fontana perché gliene importasse qualcosa.. Ma nel palmo della mano protesa della signora che li stava chiamando c’era un giocattolo che davvero nessuno aveva mai visto prima, che si muoveva da solo, e luccicava, e sembrava danzare su di una musica che sentiva solo lui. Anzi, a pensarci meglio adesso la sentivano anche loro, lieve lieve, e c’era anche un profumo che sapeva di miele, di Natale, di tante cose buone. Lentamente si avvicinarono e mentre si avvicinavano il giocattolo danzava sempre più in fretta, e luccicava sempre di piu…<br><br>“Strega!” gridò l’armigero appena svoltata la piega del sentiero. “Strega!” ripeté sguainando la spada e lanciandosi verso l’incantatrice ancora circondata dai figli di Borgolavezzaro. Dietro di lui comparve un drappello di guardie, che al grido di “Strega!” sfoderarono le armi a loro volta e si unirono alla corsa. Senza scomporsi più di tanto il loro bersaglio balzò fuori dal cerchio dei ragazzini e in un unico, rapido, movimento fu dall’altra parte della fontana. Sembrava quasi avesse volato sull'acqua, senza neppure bagnarsi i sandali. Prese qualcosa dalla borsa che portava alla tracolla e la lanciò nella corrente, una manciata di polvere scintillante. All’istante l’acqua dell'Amalia si trasformò in sangue, o almeno in qualcosa che ne aveva sembianze, odore e consistenza, lasciando i soldati atterriti inchiodati sull’altra sponda. “Siete fortunati uomini d’arme.” disse loro la strega con una voce che faceva tremare le gambe. “La vostra ora non è ancora arrivata. Ma non tentate troppo la fortuna, potrebbe anche stancarsi di voi.” Quindi si voltò e rientrò nel bosco, scomparendo alla vista. A nessuno passò per la mente di seguirla.<br><br>- Siete sicuri che fosse Lei? – domandò il borgomastro.<br>- Donadio dice che sembrava Lei. E anche che era completamente diversa. – rispose il capo delle guardie.<br>- E allora ?<br>- E allora è impossibile darlo per certo. Però Donadio la conosceva bene..<br>- Cosa pensi di fare?<br>- Possiamo chiedere rinforzi a Novara e setacciare la foresta..<br>- A che scopo? Non la troverete mai così.<br>- Non ho detto che l’avremmo trovata. Ma è un tentativo da fare.<br>- E dopo?<br>Il capo delle guardie si strinse nelle spalle. - Possiamo bruciare il bosco. –<br>- Ma è una follia! – Esclamò il borgomastro picchiando il pugno sul tavolo.<br>- Ed è anche una follia inutile, al momento, visto che non sappiamo neppure in che direzione cominciare.. - replicò il soldato.<br>L’altro restò a pensare per un po’. - Come stanno i bambini?<br>- Il medico dice che stanno bene. Per quel che vale.. -<br>- Nessuna conseguenza ? -<br>- Più o meno..<br>- Che vuol dire “più o meno”?<br>- Non so, è solo che..<br>- Che cosa? - Incalzò il Borgomastro..<br>- E’ che non ridono. Non ridono più..<br>- E che vuoi che sia, saranno ancora spaventati no? Lo saresti anche tu se avessi visto una strega.<br>- Io sono spaventato, anche se non l’ho vista. Ma non credo che sia tutto lì.<br>- Vedrai che non è nulla… - ci fu un’altra pausa, povera di convinzione. Poi proseguì - Per ora non facciamo niente, va bene? Niente rinforzi, niente incendi. Aumentiamo la guardia intorno al paese, raddoppiamo le ronde e aspettiamo. Tutto sommato non ha fatto male a nessuno per ora. E magari non lo farà proprio. Oppure riusciremo a pizzicarla. Se le cose dovessero cambiare, vedremo..<br>- E se fosse lei?<br>Il borgomastro scosse la testa - Siamo tutti in debito. Tutti quanti. Se la Morte Nera ci ha solo sfiorato mentre altrove ha sterminato popoli e razze intere, lo dobbiamo a lei. A quello che ci ha insegnato.-<br>Nessuno dei due uomini aggiunse altro. Nessuno sapeva cosa dire.<br><br>Un po' più a est, ma neanche tanto, c'era un posto dove il bosco cresceva con più difficoltà. Le querce, e c'erano quasi solo querce, erano più rade, il sottobosco mancava del tutto, perfino l'erba stentava. La terra, a veder bene, era quasi tutta sabbia, sabbia lasciata lì da un fiume di cui non era rimasta altra traccia. Sul sabbione faceva caldo, più caldo che altrove, perchè il sole riusciva a passare e la sabbia poi lo tratteneva. L'acqua era scarsa e quel poco che c'era non era un bel vedere. Insomma, a voler essere buoni, era un posto inospitale. Tuttavia, un viaggiatore che si fosse trovato a passare da quelle parti avrebbe anche potuto notare che uno dei mucchi di sfasciume che infierivano qua e là sul paesaggio non era affatto, in realtà, un mucchio di sfasciume. Non uno naturale, quantomeno. Se avesse poi deciso di avvicinarsi a guardar meglio, avrebbe scoperto che c'era addirittura un focolare al centro del mucchio, e una capanna vera e propria tutto intorno, nascosta tra le vecchie frasche ed i rami morti. Avrebbe altresì trovato una quantità incredibile di altre cose bizzarre dentro e fuori la capanna medesima, a cominciare dai libri e dalle cianfrusaglie sparse in ogni dove per finire con gli strani oggetti luccicanti piazzati in bella vista, e che sembravano addirittura brillare di luce propria. Erano una meraviglia, e solo a guardarli mettevano di buon umore. Se poi, colto dall'incanto di quegli oggetti evidentemente magici, si fosse accostato abbastanza, avrebbe perfino potuto sentire una lieve musica venire da loro, una melodia leggera che ricordava le risate dei bambini. Ma sarebbe probabilmente stata l'ultima cosa che avrebbe sentito, perchè quello era il covo della Strega, e a baloccarsi con i giocattoli di una strega c'era sempre un conto da pagare..<br><br></font><br><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#indice">indice</a><br><br></div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm"></div><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_quarta" name="parte_quarta"><span style="font-size: large" class="Apple-style-span"><b>PARTE QUARTA</b></span></a> <br><font size="3">Dovete sapere, dicevo, che a quel tempo in Borgolavezzaro viveva una strega. Una striä, come dicevano quelli del posto. Non proprio in paese, a dire il vero, ma appena fuori. Nel bosco. Il suo rifugio era stata trovato per caso, cercando invece un allevatore che non aveva mai fatto ritorno dalla fiera di Lomello. Si era rinvenuto il suo carretto abbandonato sul bordo della strada, con ancora i proventi delle vendite ed un po’ di carabattole comperate in città. Da lì i suoi amici avevano poi seguito un minuscolo sentiero, appena appena visibile, che si dirigeva verso i sabbioni all’interno. Si erano poco dopo imbattuti in un tugurio seminascosto dalla boscaglia, e intuito chi ne fosse il padrone se l’erano data a gambe. E di gran carriera, perché l’amicizia è una bella cosa, ma la pelle di più. Nessuno era più riuscito a trovare carretto, sentiero e capanno, benché le guardie del Borgo avessero poi passato a setaccio l’intera zona, e più di una volta per giunta. Non ci voleva di certo un dottore per capire che qualche sortilegio doveva essere stato messo a guardia del luogo, ora. Altra gente, negli anni, era finita per caso sul sabbione, e molti erano anche tornati a casa a raccontarlo. Ma nessuno era più riuscito a ritrovarlo di proposito. Si tentò anche di dar fuoco a tutta quell’area del bosco, come i soldati avevano a suo tempo suggerito. Al termine dell’incendio si era poi scoperto che una vasta zona della foresta era rimasta intatta, senza neanche un segno o una bruciatura. Neppure una piccola piccola. Si provò allora a ripartire da lì, per scoprire che, semplicemente, le fiamme non prendevano. Cioè bruciavano le torce, e anche il legname fin lì portato. Bruciava l’olio, e bruciavano pure gli incendiari, in caso. Era capitato. Ma la foresta no, non c’era verso. Finito il combustibile d’importazione le pire si estinguevano, e questo era quanto. Allora tutti gli uomini disponibili si allinearono su di un lato del di quel bosco ininfiammabile e lo attraversarono completamente, da una parte all’altra. Ma non trovarono nulla, e, finalmente, abbandonarono l’impresa. Tutti quanti, semplicemente, impararono ad evitare accuratamente quel tratto di foresta, che da qualche parte all’interno ospitava il sabbione che era ormai diventato “Il campo della Strega”. Per contro, purtroppo, la strega non sembrava altrettanto restia ad addentrarsi in Borgolavezzaro. Altri bambini l’avevano incontrata, avevano subito il suo strano incanto e dal qual momento si erano ritrovati incapaci di sorridere, o di divertirsi, o di fare e pensare tutte le belle cose che fanno o pensano i bambini. Avevano persino smesso di crescere: erano rimasti là, congelati nel sortilegio, tristi e desolati oltre ogni possibilità di salvezza. <br>E triste e desolato stava diventando anche il paese, per le cui strade non circolava più anima viva che non ne avesse estrema necessità. Le osterie erano perennemente vuote, e anche la chiesa per dirla tutta. Ci si muoveva armati, con circospezione, nel timore di girare l’angolo sbagliato al momento sbagliato. E fu proprio questa atmosfera di diffidenza e timore che accolse, un mattino come un altro, un viaggiatore che veniva da lontano. Portava degli abiti da che sembravano messi insieme comprando qua e là lungo la via, e portava un bagaglio estremamente ridotto. Si diresse verso la locanda del Mulo Impuntato con la sicurezza di chi ci era già stato prima, e non di rado. Sembrava chiusa. Provò la porta: era aperta, invece. All’interno non c’era praticamente nessuno. L’uomo affrontò con indifferenza l’esame dei pochi astanti. Qualcuno sembrò sul punto di rivolgergli un saluto, come se avesse avuto l’impressione di averlo già visto o conosciuto da qualche altra parte. Ma poi non ne fece nulla. Il viaggiatore attraversò la sala comune e si piazzò al bancone, ordinando quello che serviva per avere una ragione per rimanere lì. Locande ed osterie erano da sempre i luoghi più adatti per raccogliere informazioni, e anche quelli dove restava più gradevole farlo. Questa volta, ad ogni modo non c’era molto da capire: finito il pasto, si alzò e uscì dal locale, quindi dal paese. <br>Caterina, sola davanti al rifugio, stava giocherellando con gli amuleti mercuriali. Lo faceva in continuazione, erano l’unica cosa che le regalasse un minimo di sollievo. Per un po’, almeno. Metterli insieme aveva richiesto tutta la conoscenza di una vita, e comunque anni ed anni di tentativi ed errori. Nessuno avrebbe più potuto restituirle il sorriso dei suoi figli, ma la trappola di Hayyân chiusa negli amuleti le avrebbe quantomeno dato quello dei figli degli altri. Restava lì a rimirarli per ore, ad ascoltare le risate tintinnanti che provenivano dal centro delle luci. E la musica filosofica, che si diceva fosse stata suonata anche da Pitagora, nella sua scuola di Crotone, una ed una sola volta. Come tutti, anche lei avvertiva la seduzione delle fragranze che l’amuleto ricreava con i desideri degli altri, e nel suo caso non poteva essere altro che il profumo dei suoi figli. E del suo Giovanni.. come avrebbe desiderato potersi appoggiare alla sua spalla e addormentarsi ancora una volta, come amava fare un tempo. Per sempre magari. Improvvisamente un rumore la riscosse dalle sue meste fantasticherie. Qualcuno aveva infranto la sua fattura di confusione. <br>- Allora è questo che fai, adesso.. - domandò una voce proprio di fronte a lei. <br>Caterina osservò l’uomo con rabbia. - Ti vedo più giovane, vecchio. Barba e capelli si sono allungati, ma sono tornati più neri di quanto non ricordi di averli mai visti. Hai forse fatto un patto con l’Avversario? - <br>- Se c’è una persona qui in odore di oscure amicizie non sono certo io, ragazza. E neanche tu, a mio parere. - rispose quello.<br>- Non sono più una ragazza, vecchio, e il tuo parere te lo puoi tenere per spenderlo in qualche posto dove importi a qualcuno…<br>- Una volta importava a te..<br>- Sono successe tante cose da allora - c’era una chiara nota di nostalgia in quest’ultima affermazione. - Cosa sei venuto a fare qui, dopo tutto questo tempo? <br>- Sono venuto a vedere come stai, mi sembra ovvio.. Perché girano un sacco di voci a proposito di questo bosco, su al nord..<br>- Ma guarda, un po’. E cosa si dice “su al nord”? <br>L’uomo sorrise. - Si dice che questo bosco sia infestato da una strega. Ma io non ci credo.. Tu hai mica visto niente, qui intorno? -<br>Caterina non rispose. Si raddrizzò sulla schiena e sembrò di parecchio più alta di quanto l’uomo ricordasse. Poi lo fissò dritto negli occhi <br>- Non riuscirai a fermarmi, vecchio - ammonì, e questa volta c’era l’acciaio nella sua voce. <br>- No, lo so. E non ci proverò neppure: lo faranno loro. - avanzò di un passo, lentamente. Fece forza sul bordone su cui si appoggiava, fino a piantarlo saldamente nel terreno. Poi si voltò, e senza proferire parola si incamminò in direzione del bosco, sparendo alla vista in pochi minuti e lasciandosi alle spalle la più sbalordita delle streghe..<br><br></font><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#indice">indice</a><br><br><span style="font-size: large" class="Apple-style-span"><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#parte_quinta" name="parte_quinta"><span class="Apple-style-span"><b>PARTE QUINTA</b></span></a> </span><br><font size="3">Era tutta la mattina che Caterina stava tentando di ignorare il bastone. Con un certo successo, si potrebbe dire. Aveva provato a sradicarlo dal terreno con ogni mezzo, fisico e non, senza risultato. Si era immersa poi nei suoi testi per scoprire quale sortilegio o minaccia potesse comportare quel pezzo di legno piantato nel suolo. Aveva trovato più bastoni magici o stregati di quanto avesse bisogno, ma nessuno di questi sembrava rassomigliare a quello ficcato davanti alla sua capanna o comunque adattarsi alla presente situazione. Aveva quindi deciso di non dargli soddisfazione, e comportarsi esattamente come se non esistesse. Adesso però, notava, c’era qualcosa appoggiato sulla sua sommità. Si avvicinò per dare un’occhiata: era una libellula, una sciurä-sciurötä come si diceva lì. Piccolina, si faceva quasi fatica a vederla. Era una di quelle blu, piuttosto comuni dove c’è un po’ di acqua. Lì però non ne aveva mai viste. Continuava ad alzarsi dal bastone, restava sospesa in aria per qualche secondo e poi tornava a poggiarsi. E poi si rialzava, irrequieta. D’istinto, Caterina offrì il proprio indice puntato in alto verso il cielo. Come faceva da bambina, come facevano tutti i bambini. Le libellule blu non si posavano quasi mai sulle dita, ma quella, come se non stesse aspettando altro, si trasferì senza esitazione. Caterina la avvicinò lentamente al viso, sperando che non se ne andasse. Era bellissima, luccicava come se fosse fatta di vetro o metallo. Teneva le ali chiuse, di un blu ancora più intenso, talmente forte da ricordare gli zaffiri di Taprobane o i veli dei berberi della Targa. Dense e nervate al corpo, terminavano in estremità quasi trasparenti, come se fossero fatte solo di aria e colore. Sembrava impossibile che una struttura così esile e diafana fosse invece tanto potente e robusta da farne un temibile predatore. Temibile per un insetto, si intende. Mentre stava ancora ammirando quel prodigio della natura si accorse che un altra sciurä-sciurötä aveva preso posto sul bastone. Questa era più grande, e aveva i colori delle salamandre. Da piccola Caterina aveva sempre avuto un po’ di paura delle libellule grandi. Le imperatrici. O le regine, come si chiamavano. Mordevano, anzi, mordicchiavano, e uno ritirava la mano più dallo spavento per l’inattesa reazione che non per il dolore. Però c’erano anche bambini che raccontavano storie terribili a proposito, storie che mettevano paura. Magari c’era qualcosa di vero, non si sa mai. Nondimeno, questa volta alzò invece la mano e la invitò a salire. E quella salì, prendendo posto a fianco dell’altra. Un paio di dita a fianco, un po’ di spazio ci voleva perbacco. L’appoggio lasciato vacante sul bastone non restò libero a lungo. Fu una libellula dal ventre rosso come il fuoco, un cardinale, ad occuparne lo spazio. Caterina si guardò intorno, a metà tra la confusione e la meraviglia. Per ogni dove ciascun arbusto, ramo, piolo, sostegno, asta o bacchetta qualsivoglia ospitava una sciurä-sciurötä, qualche volta in competizione per la piazza con una o più sorelle. Ce ne erano letteralmente dappertutto, azzurre come il turchese dei Persiani, oppure verdi come gli smeraldi. Gialle, rosse, con le ali scure o chiare, aperte o chiuse, piccole, grandi, di tutti i tipi. Caterina si trovò involontariamente trasportata alla propria infanzia, quando l’arrivo delle libellule segnava l’inizio del grande caldo dell’estate, e ci si trovava nei campi ed in riva ai fiumi per catturarle, per giocare con loro. Crudelmente, a volte, come solo i bambini sanno fare senza pensarci su. Si vide insieme alle amiche a rincorrerle nei prati o tendere agguati negli orti. Però questa volta c’erano dei bambini che non giocavano. Se ne stavano in disparte, silenziosi, tristi, ad osservare. Caterina si avvicinò e mentre lo faceva sentì un brivido salirle lungo la schiena. Erano i suoi figli quei bambini. Erano lì in prima fila che la guardavano, con aria di disapprovazione. Ma non erano soli, dietro a loro ce ne erano altri, moltissimi. Venti, forse, o trenta. Forse di più. E tutti stavano lì a guardare proprio lei, tristi, desolati. Non giocavano, non parlavano, non ridevano. Sembravano incapaci di faro. E allora capì: erano i bambini a cui lei aveva preso il riso, l’allegria. Si portò le mani alla faccia per non guardare e le libellule volarono via. Arretrò di un passo, poi non ce la fece più e crollò sulle ginocchia. E pianse. Pianse senza potersi fermare, pianse per la prima volta da quando la peste le aveva rubato la vita. Due braccia amiche la strinsero forte.<br>- Su, su piccola… Vedrai che adesso andrà tutto bene. - In qualche momento del carosello il viaggiatore doveva essere tornato. Lei tentò di asciugarsi il viso nel vestito, poi sollevò il volto per guardarlo negli occhi.. <br>- Dio mio, cosa ho fatto, cosa ho fatto.. - singhiozzò. <br>- Hai fatto delle brutte cose, piccola, ma a quasi tutte c’è rimedio per fortuna.. - <br>- Ho fatto del male a così tanta gente. - <br>- E per quelle a cui non c’è rimedio - continuò l’uomo imperturbato - troveremo un modo di compensare, se Dio vorrà. -<br>- Compensare? E come? -<br>- Sei una persona buona, mia cara, e anche quando hai fatto del male lo hai fatto in fondo da persona buona. Il passato non può essere cambiato, ma cercheremo il modo di cambiare il futuro, almeno. E pregheremo perché possa bastare.. <br>Quando i bambini di Borgolavezzaro ricominciarono a ridere, tutti quanti capirono che la strega doveva essere morta, o qualcosa del genere. E tirarono un bel sospiro di sollievo. Immediatamente dopo, poi, in paese ci fu un’autentica invasione di libellule. I bimbi che erano rimasti vittima dell’incanto della strega furono i primi scendere in strada a rincorrerle, acchiapparle e rilasciarle. Sempre curando di non far loro del male, il che era piuttosto strano ma non più di tanto, dopotutto. In breve, comunque, l’atmosfera di festa, conquistò tutti e il paese si ritrovò tutto di un colpo nuovamente vivo e scalciante. Corri di qui, insegui di là, qualcuno si addentrò fin nel bosco, che è vero che ormai non faceva più paura, però non si sa mai... Si decise quindi di dare un’ultima controllata, e, proprio a poca distanza dal paese, i soldati si imbatterono in uno schiaro, una radura, di cui nessuno aveva memoria e che sembrava ospitare tutte le libellule del mondo, ma proprio tutte. In mezzo allo spiazzo c’era una capanna, e solo a guardarla uno si sentiva a proprio agio. Nella capanna viveva una donna, che a qualcuno ricordava la ragazza che aveva un tempo abitato vicino alla chiesa di Santa Maria, ma era completamente differente. E ai pochi che l’avevano vista, ricordava molto anche la strega. Ma era completamente differente. Comunque, solo a guardarla uno si sentiva a proprio agio e quindi si decise che la questione non era poi così importante. Le domandarono se lì intorno avesse visto una strega, ma la domanda sembrò talmente bizzarra già mentre veniva formulata che nessuno si stupì quando lei non rispose. Anche perché, nel frattempo erano arrivati i bambini che ovviamente dovevano aver ignorato gli ordini degli adulti e avevano seguito fin lì le libellule. Così la spedizione militare divenne una festa vera e propria e la cosa finì lì. <br>Caterina non era felice, probabilmente non lo sarebbe stata mai più. Però sentiva di star facendo qualcosa di buono, e che sapeva di buono, anche. Questo le bastava, tutto sommato, per restare almeno serena. Gli anni erano venuti e se ne erano andati. Come le persone del resto. Tra poco, però, sarebbe tornato in visita il suo vecchio amico, non sapeva come facesse a capirlo, ma non si era mai sbagliata. Era rimasto ormai l’unico a conoscere la sua storia, a chiamarla per nome. Con il suo vero nome. Di solito si fermava per qualche tempo, e quel tempo era quanto di più simile alla felicità fosse più riuscita ad provare, ormai. Anche perché, non aveva mai osato dirglielo, quando c’era lui lì al sabbione lei riusciva a volte a vedere i suoi bambini. E anche il suo Giovanni, seppur più raramente. Li scorgeva con la coda dell’occhio, nei posti dove maggiormente si assembravano le libellule. Impossibile dire quale magia fosse conseguenza dell’altra, e in fondo cosa contava, ormai? Sembravano anche loro sereni, forse la stavano attendendo e questa era l’unica cosa che avesse importanza. Aspettava con impazienza l’arrivo del vecchio, ma da sempre sapeva che ogni cosa doveva accadere nel tempo a lei assegnato, bisognava aver pazienza. E allora si voltò verso il primo paziente della giornata: - Dai, fammi vedere questo taglio... <br>Dovete sapere, in totale, che a quel tempo in Borgolavezzaro viveva una curatrice. Nessuno sapeva da dove fosse venuta o come fosse capitata proprio lì. E perché. Ma di fatto, era stata una fortuna. In un modo o nell’altro aveva salvato la pelle ad una buona metà del paese e comunque dato una mano anche al resto. Potevi andare da lei se non stavi bene, ma anche se avevi invece qualche altro problema. Se ti serviva un parere, un consiglio, o anche un piccolo prestito per uscire da un brutto inverno o da una brutta situazione. Insegnava a leggere e scrivere a chi desiderasse imparare, e anche a far di conto se uno se la sentiva. Una benedizione insomma, ci fosse stata più gente così il mondo sarebbe stato senz’altro un posto migliore. Tutti la chiamavano la Signora, e di fatti era una Signora per davvero, di quelle che muovono le montagne con un occhiata e conquistano i cuori con un gesto. Viveva da sola, nel bosco, ai margini un sabbione che era stato trovato quasi per caso durante l’invasione delle libellule. Per lei o per le libellule che ci avevano abitato ai tempi, il posto era stato chiamato “il Campo della Signora”; della “Sciura”, come si dice lì…Se passate da Borgolavezzaro non dimenticate di andarlo a visitare. Potreste rimanerne stregati. <br>PS. Per chi se lo stesse chiedendo, alla fine era stato ritrovato anche il viaggiatore scomparso. Era tornato proprio pochi giorni dopo la fine dell’invasione delle libellule, a piedi e nudo come un verme. Una mano davanti e una didietro. Aveva dichiarato di non ricordare nulla dei mesi trascorsi, di dove fosse stato e che cosa avesse fatto. Poi, mentre parlava, aveva acchiappato una mosca al volo e se l’era ficcata in bocca, mandandola giù con gusto. Nessuno aveva voluto indagare oltre. <br><br><br></font><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2010/09/il-campo-della-sciura.html#indice">indice</a> <br> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm"><br><span style="font-size: small">Scritto con l'inestimabile aiuto di Gianbattista Mortarino, poeta e contadino tutto insieme. <br>Illustrazione di Eugenio Bausola<br><br></span></div> <div style="text-align: center; margin-bottom: 0cm; clear: both; margin-right: -0.13cm" class="separator"><a style="margin-left: 1em; margin-right: 1em" href="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TIoxikFKz6I/AAAAAAAACns/yti9u6ZiQRM/s1600/cc_logo.png" imageanchor="1"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TIoxikFKz6I/AAAAAAAACns/yti9u6ZiQRM/s1600/cc_logo.png" ox="true"></a></div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm">"Il Campo della Sciura" by Fabrizio Burlone is licensed under a <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</a>.<br><br>Permissions beyond the scope of this license may be available at <a href="http://traccevisibili.blogspot.com/">http://traccevisibili.blogspot.com/</a></div> Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-66778803382937610052010-06-23T15:11:00.000-07:002010-12-24T11:37:30.381-08:00La Garzaia Proibita<div style="text-align: center; clear: both" class="separator"><a style="margin-left: 1em; margin-right: 1em" href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TCKE1DEmzJI/AAAAAAAACZw/6BW7IPCDyrI/s1600/La+Garzaia+proibita.jpg" imageanchor="1"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TCKE1DEmzJI/AAAAAAAACZw/6BW7IPCDyrI/s400/La+Garzaia+proibita.jpg" width="400" height="302"></a></div><br><font size="3">Questa storia inizia tanti, tanti anni fa, in una contrada di cui oggi si è addirittura persa la memoria ma che se esistesse ancora si troverebbe giusto a cavallo tra il Piemonte e la Lombardia, a breve distanza dalle sponde del grande fiume Po. Signore e padrone di quella contrada, all'epoca, era un Nobile di cuore buono, allegro e gioviale e che teneva in gran conto le terre che il sovrano e la fortuna gli avevano dato da governare. Proprio al centro di esse giaceva un piccolo lago, e, sulle rive del lago, la Grande Garzaia, perla del regno, gioia e diletto del Nobile in questione. Quando gli oneri del comando allentavano la loro morsa di un tantino, o magari proprio quando la facevano invece sentire con maggior vigore, l'uomo saltava in sella e si recava fin sull'argine che dominava la Garzaia, per osservare i grandi uccelli che lì vivevano e nidificavano. C'erano i maestosi Aironi Bianchi, dal brillante becco giallo, e le loro più piccole cugine, le Garzette, graziose ed eleganti nelle loro lunghe, candide piume che fanno da strascico ed anche da acconciatura. C'era il grande Airone Rosso, dal lungo collo di drago. E le Nitticore, dall’occhio di fuoco. C'erano le Sgarze dal Ciuffo, bionde come le dame del Nord che ti fissano severe dagli<br>arazzi del castello. C'era il Tarabuso, o almeno così si diceva. Se ne sentiva a volte il muggito, che suona come il vento che soffia in un anfora o in una bottiglia. Ma a vederlo lui non lo aveva mai visto. C’era il Mignattaio dal becco ricurvo, nero come la notte ed iridescente come una pietra preziosa. E l’Airone Guardabuoi, di certo il più buffo della famiglia con quella strana espressione di eterno stupore dipinta in faccia. E le Sterne, le Tortore Selvatiche, i Cormorani, il Rigogolo e il Cuculo, la Poiana ed il Picchio, i Gruccioni, le Rondini e chissà che altro nel folto della boscaglia. Era uno spettacolo meraviglioso. Se nel giardino dell’Eden ci fosse stata una garzaia sarebbe stata proprio come quella che il Padreterno aveva messo sulle sue terre, quella almeno era la sua opinione. Con il volgere degli anni la fama della Grande Garzaia crebbe al punto tale che perfino il Duca di Milano volle venire a vederla, e riconosciutone il valore emanò leggi per proteggerla e inviò architetti e studiosi per migliorarne comprensione e godimento. Forse per curiosità, forse per spirito di emulazione, o magari perfino per vero interesse, gli abitanti dei villaggi del circondario presero anche loro a frequentare l’argine che dava sulla Garzaia. Quelli che messo insieme il pranzo con la cena avevano ancora del tempo da perdere, s’intende. Cosa mai comprendessero di quanto da lassù si poteva vedere non ci è dato di saperlo. Infastidito dal crescente afflusso di visitatori il Nobiluomo fece porre delle recinzioni tutto intorno al possedimento, chiudendo così anche la maggior parte delle vie di accesso, ma l’espediente sembrava scoraggiare solo quelli già poco convinti di loro. Allora mise armigeri di guardia all’ingresso e lungo tutto il perimetro ma c’era sempre un sacco di gente che doveva comunque essere lasciata entrare. Gli inviati del duca, per dire... Gli uomini di scienza. Le autorità più o meno locali, ancora. E infiniti altri che un modo o una ragione l’avevano o pensavano di averla, il che era anche peggio. E allora piantò siepi, drizzò barriere, costruì palizzate e addirittura innalzò muri e muraglie a protezione del suo angolo di eden, sbarrando poi i cancelli, bloccando le porte, cacciando fuori il mondo e cacciandosi fuori da esso. Il guaio è che il mondo, da che mondo è mondo, se si mette in testa che una cosa è sua poi non c’è più verso di togliergliela. Gli studiosi respinti, e a calcioni per giunta, fecero sentire la loro voce presso il Duca, ed altrettanto fecero nobili, notabili, banchieri, ufficiali ed autorità preposte, tutte indistintamente rispedite al mittente. Nel circondario i borghesi protestarono presso le corporazioni, i fedeli con i preti ed i preti con i vescovi ed i cardinali. I poveracci non protestarono con nessuno, perchè non avevano nessuno presso cui protestare, però entrare nella Grande Garzaia ed uscire con una prova del misfatto diventò in breve una specie di prova di coraggio per giovani e bravacci dei dintorni. Il vaso traboccò quando ci scappò il morto, perchè in questi casi il morto ci scappa sempre, ed i soldati del Duca, spalleggiati da un buon numero di locali armati di torce e forconi, tentarono di riconquistare la Garzaia per restituirla al Ducato ed alla civiltà. E magari impiccare qualcuno strada facendo, che quando ci scappa un morto un colpevole poi serve, e se non si può più difendere è anche meglio. Proprio quando la battaglia sembrava ormai vinta, il Nobiluomo in persona apparve nel bel mezzo della Garzaia. Sollevò la torcia che portava in mano, mostrandola agli uomini in arme che si fronteggiavano sull’argine. Poi, senza dire una parola, appiccò il fuoco. <br>Gettate le armi, amici e nemici si precipitarono a spegnere le fiamme, ma non ci fu nulla da fare ed in poche ore la Garzaia ed i suoi abitanti furono perduti per sempre. Al centro di un paesaggio infernale, tra alberi bruciati e tizzoni ardenti, sporchi, stremati, intossicati, gli uomini di entrambe le fazioni si guardarono intorno. Del motivo del contendere non era rimasto che un enorme, soffocante, mucchio di ceneri, con al suo centro, bruciata ed annerita ma ancora miracolosamente in piedi, un’unica grande quercia. Che, proprio mentre stavano ancora guardando, precipitò finalmente al suolo con uno schianto spaventoso che fece tremare il terreno tutto intorno e sollevò una densa e pesante nuvola di polvere e fumo. Quando l’aria tornò a schiarirsi, dove prima c’era l’albero adesso c’era un uomo. Solo che non era un uomo, era il Re del Bosco. Nessuno lo aveva più visto da secoli, da quelle parti. Ma tutti lo avevano riconosciuto subito, anche quelli che portavano una croce al collo o sullo scudo. <br>– Andatevene! – tuonò la sua voce, e chiunque la udì come fosse diretta proprio a lui. – Avete portato la morte e la distruzione tra i miei figli e per quanto è stato fatto ormai non c’è né rimedio né perdono. Andatevene, ora, ma prima sappiate che pongo sulle vostre spalle questo fardello: per tutti i secoli che verranno il bosco della Garzaia resterà di proprietà dei miei figli, e nessuno dei vostri accamperà su di esso diritto alcuno. Vi impongo di proteggere e conservare questa casa come se fosse la vostra, ma di non mettervi più piede. – Poi si rivolse chiaramente al Nobiluomo, che ormai si era reso conto conto dell’enormità del gesto compiuto. – I miei figli torneranno, ma tu sarai cieco a loro, e anche se sentirai le loro voci non li potrai più vedere. Tranne che nel giorno dell’anno di mezza primavera, quando dovrai radunare su quest’argine almeno dodici uomini dal cuore puro, che potranno ammirare la meraviglia che qui ha dimora e raccontarne agli uomini di buona volontà, così che l’impegno si rinnovi. Solo in quel giorno, e solo per la durata della giornata, anche tu vedrai ciò che hai perso per sempre. Andatevene tutti ora, e rammentate che se questo patto sarà spezzato nulla vi potrà salvare dalla mia furia. – L’aria tremò per un attimo, come investita da un’improvvisa vampa di calore, e al posto dell’uomo tornò ad esserci un moncone di tronco ardente. Che si sbriciolò senza un suono, crollando in braci. Gli uomini se ne andarono e la Grande Garzaia venne chiusa per sempre.<br><br>Ma se il vostro cuore è puro, o lo è almeno quello di coloro a cui vi accompagnate, per un giorno all’anno potete sperare di riuscire a visitarla. <br>Ma dovrete essere saldi nella vostra fede, perché nessuno da quelle parti rischierà di scatenare l’ira del Re del Bosco.<br><br></font><span style="font-family: 'Times New Roman',serif; font-size: 12pt"><span style="font-family: arial,sans-serif; font-size: 13px" class="Apple-style-span">Clicca <a href="http://dl.dropbox.com/u/1408885/La%20Garzaia%20Proibita.pdf">qui</a> per scaricare il racconto in formato .pdf</span></span> <br> <div style="clear: both" class="separator"> </div> <div style="text-align: center; clear: both" class="separator"></div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm" align="left"><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><img border="0" name="immagini2" align="left" src="http://i.creativecommons.org/l/by-nc-nd/2.5/it/88x31.png" width="88" height="31"></a></div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm" align="left"> </div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm" align="left"> </div> <div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm" align="left"><span style="font-family: 'Times New Roman',serif; color: #993322" class="Apple-style-span"><span style="color: #333333"><span style="font-family: arial,tahoma,helvetica,freesans,sans-serif"><span style="font-size: x-small"><span style="font-style: normal"><span style="font-weight: normal"><span style="font-family: 'Times New Roman'; color: black" class="Apple-style-span"><span style="font-size: medium" class="Apple-style-span"><br>La Garzaia Proibita</span></span> by<span style="font-family: 'Times New Roman'; color: black" class="Apple-style-span"><span style="font-size: medium" class="Apple-style-span"> Fabrizio Burlone </span></span></span></span></span></span></span><span style="color: #333333"><span style="font-family: arial,tahoma,helvetica,freesans,sans-serif"><span style="font-size: x-small"><span style="font-style: normal"><span style="font-weight: normal">is licensed under a </span></span></span></span></span><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><span style="color: #ff3300"><span style="font-family: arial,tahoma,helvetica,freesans,sans-serif"><span style="font-size: x-small"><span style="font-style: normal"><u><span style="font-weight: normal">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</span></u></span></span></span></span></a><span style="color: #333333"><span style="font-family: arial,tahoma,helvetica,freesans,sans-serif"><span style="font-size: x-small"><span style="font-style: normal"><span style="font-weight: normal">.</span></span></span></span></span></span></div><span style="color: #993322"><span style="font-family: 'Times New Roman',serif"><span style="color: #333333"><span style="font-family: arial,tahoma,helvetica,freesans,sans-serif"><span style="font-size: x-small"><span style="font-style: normal"><span style="font-weight: normal">Permissions beyond the scope of this license may be available at </span></span></span></span></span><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/"><span style="color: #993322"><span style="text-decoration: none"><span style="font-family: arial,tahoma,helvetica,freesans,sans-serif"><span style="font-size: x-small"><span style="font-style: normal"><span style="font-weight: normal">http://traccevisibili.blogspot.com/</span></span></span></span></span></span></a><span style="color: #333333"><span style="font-family: arial,tahoma,helvetica,freesans,sans-serif"><span style="font-size: x-small"><span style="font-style: normal"><span style="font-weight: normal">.</span></span></span></span></span> </span></span><br>Illustrazione di Eugenio Bausola Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-51834962818348726552010-03-11T06:46:00.001-08:002022-03-07T01:17:29.985-08:00Gli Elefanti del Roseg<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S5kBsAYG64I/AAAAAAAAB5g/Rq2H-7YxlhU/s1600-h/Gli+Elefanti+del+Roseg.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="303" src="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S5kBsAYG64I/AAAAAAAAB5g/Rq2H-7YxlhU/s400/Gli+Elefanti+del+Roseg.jpg" width="400" /></a></div><br />
<div class="Standard" style="margin-right: -3.75pt;"><span style="height: 405px; left: -16px; position: relative; top: 0px; width: 631px; z-index: 1;"></span><br />
<span style="font-family: "Book Antiqua", serif; font-size: 24pt;">U</span><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">na pausa ci poteva anche stare.</span></span></div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Gregor marciava da quasi due ore sulla neve alta e una pausa ci stava giusta giusta. Scrollò le ciaspole nuove, bella idea quegli aggeggi. Papà gli aveva detto che i primi ad usarle erano stati i selvaggi delle Provincie Francesi della Confederazione del Canada. I cacciatori di pelli le avevano poi copiate, e col passaparola erano arrivate fin lì... Anche se c'era chi diceva le avessero inventate i Greci, piuttosto, e chi sosteneva il primato dei Tirolesi. Comunque erano comode. </span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Tutto intorno era un trionfo di bianco. Bianca era la valle che aveva risalito. Bianchi erano boschi e cespugli, con qualche spruzzata di verde qua e là su pini ed abeti. Bianchi erano i fianchi delle montagne, bianche le vette, bianco il gigante Bernina, che se era bianco nel pieno dell'estate figuratevi in inverno. Si guardò attorno: non un segno di vita, a parte le sue tracce che costeggiavano il corso del Roseg e qualche pista di cervi o stambecchi. Il sole di mezzogiorno era alto, abbagliante, e tagliava ombre corte, nette e scurissime. Dentro si gelava, al sole ci si inzuppava di sudore. Gregor alzò lo sguardo fino ad arrivare all'azzurro del cielo, che si diceva fosse più azzurro lì, nell'Alta Engadina, che in qualsiasi altro posto del mondo. Lui qualche dubbio ce l'aveva, però. Perchè il cielo di Meina, per dirne uno, gli era sembrato dello stesso colore più o meno. E di certo altrettanto bello. Chiuse gli occhi cercando di richiamarlo dalla memoria. Ne erano passati, di anni...</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Stava passeggiando lungo il lago, era primavera inoltrata e faceva già caldo. C'era stato un temporale la sera prima, capitava spesso, e l'aria era limpida e trasparente come un cristallo. Il cielo sopra alla sua testa era azzurrissmo, anzi, turchese. Ecco, se non era uguale a quello su Pontresina ci mancava poco... Improvvisamente il ricordo prese vita, come fanno a volte i ricordi, e cambiò direzione. Era un'altra mattina ma quasi lo stesso posto, cento metri più, cento metri meno. Gregor era andato alla stazione per assistere all'arrivo del treno. Non un gran che come evento, ma a Meina non c'era molto altro da fare per un ragazzino della sua età..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Quell'inverno mamma aveva avuto la polmonite. Era stata malissimo, la febbre alta, la tosse, il respiro che andava e veniva.. Il dottore l'aveva guarita, ma si era raccomandato farle cambiare aria per un po', appena possibile. Così, appena possibile appunto, il babbo aveva caricato la famiglia, armi e bagagli, sul trenino che scavalcava il Bernina e che da qualche anno proseguiva il servizio anche nella stagione fredda. E l'aveva spedita in Italia, a Meina, dove i parenti del ramo italiano della famiglia si erano offerti di dare una mano. Era stato un viaggio entusiasmante, su per le montagne, in mezzo alla neve ed ai ghiacciai, e poi giù a capofitto nelle valli dell'altro versante, in un tuffo da mozzare il fiato. Da Tirano, poi, il cammino era proseguito in carrozza, in treno e perfino in piroscafo. Gregor non riusciva a credere che i laghi italiani potessero essere così grandi. C'erano addirittura le vaporiere ed i traghetti! Peccato che papà avesse dovuto rimanere a casa, ma qualcuno doveva ben mandare avanti la farmacia, no? Però Gregor era rimasto un po' solo, anche perchè nessuno degli Italiani sembrava interessato a tenergli compagnia e a Meina, come si è già detto, non c'era molto da fare per un ragazzino della sua età.. Mamma cercava di tenerlo occupato dandogli da studiare il doppio di quanto non fosse solita fare a Pontresina, ma con la bella stagione che avanzava rimanere in casa sembrava proprio un delitto. Appena poteva se la svignava per andare a fare lunghe passeggiate nei boschi del Vergante, o magari per uscire sul lago con i pescatori o a vogare con qualcuno dei canottieri in allenamento. E quando non c'era proprio niente da fare, andava a veder passare il treno. Che non era un grande spettacolo, appunto. Da quando era stata aperta la galleria del Sempione tutto il traffico importante correva sulla linea Cusiana, qualunque cosa fosse. Glielo aveva detto il capostazione. Alla stazione erano tutti gentili con lui e la bigliettaia parlava anche un po' di Tedesco, cosa che lo aiutava parecchio con il suo Italiano. Proprio come voleva la mamma. Quella mattina, però, non c'era nessuno in giro per chiacchierare, tutti quanti sembravano presissimi a fare avanti ed indietro dall'area merci. Il convoglio da Alessandria doveva essere passato da poco, e Alessandria voleva dire Genova. Poteva essere arrivato qualcosa di interessante.. Dopo un paio di tentativi a vuoto, Gregor riuscì finalmente ad accedere alla parte della banchina che faceva da scalo: in fondo in fondo, praticamente più fuori che dentro alla stazione, il treno aveva lasciato una coppia di vagoni. Di fronte c'erano tre carretti in attesa e tutto intorno una quantità impressionante di persone intente alle operazioni di scarico (dei vagoni) e carico (dei carri). Il ragazzo si trovò un angolino comodo comodo all'ombra di una tettoia, appena al di fuori dell'area di lavoro, e si mise a guardare. C'erano quintali di pacchi, bauli, rotoli, sacchi e cianfrusaglie dalle forme stranissime. Ma il piatto forte erano le casse. Grandi, piccole, medie, ma soprattutto grandissime ed enormi. Erano quelle a dare i maggiori grattacapi agli operai che cercavano di muoverle. Anche perchè tra di loro imperversava un giovane barbuto vestito come un maggiordomo che sembrava assolutamente certo della loro incapacità di portare a termine il compito assegnato senza danneggiarne il contenuto. Oltre che per le dimensioni, le casse attiravano l'attenzione anche per le vistose scritte in vernice che le marcavano. Assab, Gibuti, Bardera, Nairobi.. erano chiaramente i nomi dei luoghi da cui erano partite o attraverso cui erano transitate.. Ma dove diavolo erano tutti quei posti? C'erano anche delle sigle in quello che gli pareva inglese, e altri segni ancora che sembravano più ghirigori che scrittura e, per quanto impossibile, davano l'impressione di fluire da destra verso sinistra,..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Vengono dall'Africa, figliolo. - disse una voce gentile alle sue spalle. – Lo sai dov'è, l'Africa?-</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Gregor si voltò d'istinto per trovarsi proprio di fronte a una gran dama che lo osservava divertita. Gregor la conosceva quella signora, cioè sapeva chi fosse. Tutti a Meina lo sapevano, perfino gli stranieri di passaggio. Era la signora di Villa Faraggiana, Catherine Ferrandi in Faraggiana..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Sì, Signora - rispose, aggiungendo poi senza neppure metterci una virgola in mezzo.. - e cosa c'è dentro?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Curioso eh? Allora facciamo così, adesso vai a dare una mano a caricare, poi ti fai dare un passaggio fino alla villa che le apriamo insieme. Come ti chiami, figliolo?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Mi chiamo Gregor, signora.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Svizzero?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Sì, signora, si sente?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Un poco, ma non suona affatto male. E' quasi esotico, direi. Allora, Gregor, datti da fare e ricordati di avvisare a casa che ti fermi da noi.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Davvero? Posso?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Per forza, non penserai mica di lasciare il lavoro a metà, vero? Avanti, presentati a quel giovanotto con la barba e dì che ti mando io. Via, via, a lavorare, adesso.. Io vado ad aspettarvi in villa, che per me fa già un po' troppo caldo qui. Non ho più vent'anni..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Ma l'ultima parte della frase si era persa nell’aria, perchè Gregor nel frattempo era già schizzato verso i vagoni, sbracciando e agitandosi come se avesse avuto il fuoco addosso per farsi notare dal tizio con la barba.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">In mezzo alla neve, a chilometri e anni di distanza, Gregor spazzò con il bastone la cima di una roccia per accomodarci la pelle che gli avrebbe fatto tavola e da sedile. Pescò dalla bisaccia che portava a tracolla del pane, del formaggio, un paio di pezzi di carne secca e mezza pignatta di capuns, disponendo il tutto sulla mensa improvvisata. Un banchetto da signore, mancava solo la torta di Noci della mamma. Per quella avrebbe dovuto aspettare fino al rientro. Però c'era una fiaschetta di Kirsch, proprio quel che serviva per riscaldarsi lo stomaco. Quindi si accomodò pure lui, attaccando il pranzo e riprendendo il filo dei ricordi.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Dalle casse era traboccato un numero impressionate di manufatti, trofei di caccia, armi, attrezzi, pelli, tappeti, vasi e vasellame. E poi tende, una vasca da bagno, stoviglie da campo, aste, picchetti, materiale per imballaggio, strumenti da geografo, disegni, dipinti, libri e quaderni e altro ancora. Un’intera spedizione di caccia, insomma. O di esplorazione. Il carico era quindi stato ordinatamente accatastato nei magazzini della villa, che erano comunque già colmi di altro materiale bizzarro proveniente da chissà dove. Prima o poi il barbuto naturalista del Museo Etnografico e di Storia Naturale a cui buona parte della magione era stata adibita avrebbe trovato il tempo per catalogare ed esporre il tutto. Se solo fosse riuscito, prima, a quietare il piccolo Svizzero che la Signora gli aveva messo alle costole. Quello che affascinava di più Gregor era senz’altro la collezione di animali: le grandi vetrine del Museo mostravano orsi, tigri, gazzelle, antilopi leoni e dozzine e dozzine di altri animali mai visti e neppure immaginati. I trofei esposti sulle pareti, poi, erano così tanti e così grandi da chiedersi come facessero i muri a tenerli su tu</span></span><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">tti. Il naturalista aveva tentato di tener testa alla tempesta di domande che il ragazzino gli scatenava contro ad ogni passo, ma l’impresa si era presto rivelata senza speranza. Allora si era messo a raccontare invece di rispondere, e così, senza volerlo, aveva fatto la magia. Aveva raccontato delle savane del Serengeti e dei vulcani della Dancalia, delle coste selvagge del Mar Rosso, dei deserti dell’Eritrea, delle giungle dell’India e delle foreste del Sarawak. Degli innumerevoli luoghi lontani che aveva conosciuto dai racconti del Capitano Ferrandi e di Alessandro Faraggiana, il figlio della Signora, e che prima o poi avrebbe visto coi suoi stessi occhi, su questo ci si poteva scommettere. Come un naturalista mannaro, con il morso aveva trasmesso la sua maledizione, e Gregor, in quel preciso momento, si era ammalato anche lui di Natura. Non ne sarebbe più guarito.</span></span></div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Di nuovo in mezzo alla neve, il giovane impacchettò i resti del suo pasto e li ripose nella bisaccia. Non era difficile immaginare il motivo per cui il filo dei ricordi si fosse srotolato fino a Villa Faraggiana. Dopotutto il sentiero che lo aveva portato a quella radura innevata in vista del grande Bernina partiva proprio da lì. <br />
Rientrato a Pontresina, Gregor aveva diretto la sua vita sulla pista tracciata dai grandi esploratori; Livingston, Stanley, Burton, Speke, e, naturalmente, Ugo Ferrandi e Alessandro Faraggiana. Ma i tempi ormai erano cambiati. C'era stata una guerra mondiale intanto, e l'Europa era ancora tutta da rimettere insieme. L'interesse nei confronti delle grandi esplorazioni era svanito come neve al sole: glorie e fortune di uomini e nazioni si costruivano altrove. Erano nati miti nuovi, nuove frontiere, c'era la tecnologia, il petrolio, l'automobile, l'aeroplano..<br />
Però.. Però si poteva pur sempre viaggiare con i propri mezzi, e vedere, studiare, imparare, scrivere. Esplorare, insomma, anche se nei libri di storia ormai non ci si entrava più passando da quella parte. Per qualche tempo Gregor riuscì ad intraprendere almeno una spedizione annuale, una gita come diceva lui. Alle montagne della vicina Italia, oppure verso le isole della non troppo distante Grecia. O anche sulle Sierras della lontana Spagna o tra le foreste tenebrose dei Balcani. Una volta fu addirittura fino alla remotissima Somalia: Mogadiscio, Brava, Chisimaio, ma soprattutto l’interno, verso Bardera e oltre. Verso il cuore dell’Africa, finalmente. Ma l’Europa stava già preparando un’altra guerra, e i viaggi diventavano sempre più difficili da organizzare, i luoghi sempre più ostili.. Più per necessità che per scelta, Gregor iniziò a guardarsi intorno, ad osservare le sue valli. E scoprì con stupore che gli era più facile reperire scienza e letteratura sulle giungle del Borneo che sulle foreste dell'Engadina. Sui monti della Luna che su quelli che poteva vedeva dalla soglia della farmacia.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Beh, e che c'è di strano? - gli disse una volta il padre - quello che c'è qui intorno è qui da vedere, non da leggere.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">E allora capì di aver trovato il suo territorio da conquistare, il suo pezzo inesplorato di universo.</span></span><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"></span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
Da allora, appena papà e farmacia gli lasciavano un po' di tempo libero afferrava taccuino, matite e binocolo (era perfino riuscito a procurarsi un modello della Carl Zeiss con il nuovo sistema di lenti a prisma inventato dall'Italiano Ignazio Porro) e correva giù in qualche valle o su per qualche monte. O si appostava dentro ad un bosco o sulle sponde di un torrente o di un laghetto per osservare, scrivere, disegnare. Nel giro di pochi anni era diventato una presenza talmente consueta nel paesaggio che la gente si preoccupava quando non lo vedeva. E quando lo vedeva non poteva fare a meno di fermarsi a scambiare due parole. “Ma cosa vuoi trovare qui?”, gli chiedevano “che a parte due capre un passerotto e una marmotta qui non c'è nulla?” </span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Gli Elefanti, naturalmente - rispondeva lui, mostrando schizzi e appunti che raffiguravano di tutto tranne che quelli.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Elefanti? Ma ti manca qualche rotella ragazzo? - ribattevano gli altri. - Qui non ci sono Elefanti. Neanche al circo. Devi andare in Africa se li vuoi vedere, gli Elefanti…</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- E chi lo dice? - insisteva Gregor – Se anche nessuno ne ha mai visti, non vuol dire per certo che non ce ne siano. E poi in Africa ci sono stato: a trovarli lì sono buoni tutti.... e io invece continuo a cercarli qui. Quando ci si mettono gli Elefanti possono essere proprio difficili da vedere, sapete? E comunque, di già che guardavo ho fatto caso che c'è ben più di quello che dite, qui intorno… Questo lo conoscete vero? - domandava, offrendo magari il ritratto di un paio di capre o un di passerotto o di una marmotta.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Certo. - rispondevano gli altri, divertiti.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- E questi li avete mai visti? – quattro batuffoli di piume in un nido, quattro piumini da cipria grigio screziati, con due enormi occhi gialli che puntavano dritti dritti fuori dal foglio. A quel punto l’osservatore di solito pigliava in mano il disegno girandolo un po’ a destra e un po’ a sinistra come a cercare il verso giusto. O faceva lo stesso con la testa, il che era ancora più buffo.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Sono pulcini di gufo nel nido. – continuava Gregor - Carini, no? E questo?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Poteva essere un picchio muratore che scendeva un tronco a testa in giù, o una salamandra pezzata, una trota nella sua polla, un gallo cedrone, un piviere dorato di passo, una famiglia di cervi, uno stambecco in posa su di un crinale, una qualunque delle mille meraviglie che la gente incontra ogni giorno per strada senza mai vedere veramente. La storia non era mai proprio la stessa, ma neppure troppo differente.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Qualche volta, di tanto in tanto, qualcuno si fermava a guardare, ad ascoltare, a chiedere. Era solo un inizio, ma da qualche parte si doveva ben iniziare. <br />
Con il tempo, Gregor era diventato per tutti Gregor degli Elefanti, l'ultimo dei cacciatori di pachidermi dell'Engadina. E in fondo questo non gli dispiaceva.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">E neanche gli dispiaceva, adesso, di essere finalmente arrivato a destinazione. Perché camminare nella neve è bello, ma stanca.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Levato un guanto, non si poteva fare altrimenti, rimestò per qualche istante nella bisaccia per cavarne poi fuori un sacchetto di velluto rosso fiammante. Lo agitò nell’aria limpida come un saluto od un segnale: le sentinelle avrebbero capito. Un guizzo alla sua sinistra, troppo veloce per esserne certo.. Un altro. Questa volta riuscì a seguirlo fino alla betulla di fronte. Erano loro. Si avvicinò lentamente, con cautela. Pescò nel sacchetto e quindi porse nel palmo della mano aperta quanto aveva pescato: pinoli. E che pinoli, perbacco, non la solita merce che si ricavava dai Cembri della Valle. Pinoli di prima qualità, arrivati dritti da Pisa tramite amici ed amici di amici. Un uccellino si staccò quasi immediatamente dal ramo da dove stava evidentemente seguendo lo svolgersi degli eventi. Proprio in fronte alla mano protesa si fermò a mezz’aria. Sembrava uno di quei microscopici volatili sudamericani di cui aveva letto tante volte sui libri, i Colibrì. Questo era forse meno brillante, dopotutto era solo una Cincia Bigia, ma la cosa restava altrettanto spettacolare. Trovato l'angolo di attacco ideale, si suppone, la Cincia atterrò sulla mano infreddolita di Gregor e passò ad aggredire i pinoli. Gregor sentiva chiaramente le unghiette dell'uccellino fare presa sulla sua pelle, una specie di leggero pizzicore, un solletico quasi. Dopo pochi istanti arrivò un secondo ospite, che si piazzò sul lato opposto al primo e prese a sua volta a rovistare nel mucchio. Ancora una Cincia Bigia, ma questa volta del tipo alpino, hanno delle piume più chiare tra le remiganti secondarie. A metà dell'ala, in Italiano. Ogni tanto si interrompevano, e si guardavano di brutto. Tentavano anche di scacciarsi a vicenda con qualche mossa e contromossa di lotta uccellesca, o soffiandosi contro come i gatti. La contesa terminò in un lampo con l'arrivo di una Cincia dal Ciuffo che sfrattò clamorosamente i due avventori. Per lasciare posto, qualche istante dopo, ad un'altra coppia mista. Pur muovendosi con la velocità del fulmine le bestiole non sbagliavano mai. O quasi. Individuavano proprio il pinolo che volevano in mezzo a tutti gli altri, chissà che cosa aveva mai di differente, atterravano, beh, ammanavano, acchiappavano il semino desiderato e tornavano sul rametto di provenienza per la consumazione. Il tutto in meno di quello che ci voleva per dire Jungfraujoch. </span></span><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">A forza di tentativi e pazienza Gregor era però riuscito a far prendere confidenza ad un buon numero di Cince Bigie, More, dal Ciuffo e Cinciarelle che adesso si soffermavano sul suo palmo anche più dello stretto necessario. Cinciallegre e Picchi Muratori invece erano rimasti piuttosto diffidenti e preferivano che i semi venissero posati a terra o su qualche </span></span><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">appoggio. Ma anche ad un solo metro di distanza, il che assegnava un posto in prima fila e lasciava le mani libere per disegnare. Però era meno divertente.</span></span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Due secche detonazioni in lontananza interruppero bruscamente il corso dei suoi pensieri. Cacciatori. Una passione che lui non sarebbe mai riuscito a comprendere. Sulla valle scese un silenzio impressionante mentre le Cince, incluse quelle sul suo palmo, restavano in allerta, a testa alta, nervose. Poverine, pensò Gregor, nella loro visione del mondo lo schianto di uno sparo deve risultare un fenomeno a dir poco terrificante.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Poi, improvvisamente, il silenzio fu rotto dal rumore di centinaia e centinaia di piccole ali che, tutte insieme, battevano l'aria. Tutti gli uccelli del mondo, in un solo balzo, si erano alzati in volo per dirigersi verso il Roseg e, quindi, verso il fondovalle. Abbandonato nel boschetto deserto toccò a Gregor di sentirsi nervoso. La montagna gemette. Un suono basso, una vibrazione al limite dell'udibile, l'eco di uno schiocco, di uno schianto colossale che arrivava alle viscere prima ancora che alle orecchie. Fu investito da una ventata fredda che durò solo un istante.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Gregor era nato da quelle parti, e sapeva quello che stava per accadere. Sollevò lo sguardo verso il canalone che incideva il fianco della montagna e, come si aspettava, vide la valanga scendere, inarrestabile, irresistibile. “Scheiße!” esclamò, e non è una bella parola. Tutto intorno c'erano solo betulle e sottobosco, doveva essere un tracciato di sfogo abituale e nient'altro faceva in tempo a crescere tra una botta e un’altra. Ma larici abeti non erano lontani: ci mettevano anni a prendere posto e se le altre volte l'avevano scampata forse ce l'avrebbero fatta pure questa. Guadagnò terreno, mentre il rombo della massa di neve che scendeva si faceva sempre più potente ed il vento di caduta più forte. Poi, quando mancavano solo pochi metri al bosco, si rese conto di avere perso la corsa.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Gregor! Pensò Herr Schellenberg e fu fuori nella piazza che il rombo della valanga non si era ancora del tutto allontanato. - Dove? - domando' bruscamente a un compaesano che sembrava godere di un orizzonte più sgombro del suo.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Su per il Roseg - rispose quello, - Non molto grande, ma vicina. Prima del Chalchagn, o subito dopo.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- C'è Gregor in val Roseg. -</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Il borgomastro! – comandò l'altro senza nemmeno pensarci su – Vai ad avvisarlo che io chiamo la squadra. Ci vediamo alle slitte! -</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Pontresina era un borgo di piccole dimensioni, ma dopotutto aveva una farmacia, una scuola con ben due maestri, una chiesa Protestante, una Cattolica e anche una Anglicana. E una stazione dei pompieri, dotata perfino di una carro pompa Rosenbauer a mano. Bene, proprio di fianco alla campana di chiamata per la brigata dei vigili del fuoco volontari, ce ne era una più piccola per una squadra più piccola: quella del volontari soccorso valanghe. Quando Martin Schellenberg si fiondò nuovamente fuori dalla farmacia, con tabarro e scarponi in mano, quella campana stava già suonando. Incontrò il borgomastro davanti all'ingresso del municipio, anche lui che si stava precipitando alle slitte. - Gregor! - gli gridò, continuando la corsa.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Sicuro? - domandò.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Me lo sento.. -</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">E questo fu tutto quello che c'era da dire, almeno fino al punto di ritrovo. Lì, altri quattro uomini li stavano aspettando sulla slitta della brigata. I due balzarono a bordo mentre il mezzo già si muoveva.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Gli altri arriveranno, per il momento ci siamo solo noi. - avvisò il tizio della piazza.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Ci faremo bastare. - rispose Martin Schellenberg.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Individuarono la traccia della slavina pochi minuti oltre l’imbocco della valle. Era davvero piuttosto vicina, scendeva da una gola poco prima del pizzo Chalchagn ed arrivava a coprire parte del letto del Roseg che stava già provvedendo a spazzare la sua strada attraverso la massa nevosa. La pista che correva a lato del torrente era rimasta praticamente sgombra.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Vedrai che sarà un giro a vuoto. - Anticipò il borgomastro spezzando il silenzio. - Gregor sa il fatto suo.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Speriamo, ma la montagna si prende chi vuole e..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Là, delle tracce! - Interruppe il vetturino - ma di che accidenti sono?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- E' Gregor! - Esclamò il farmacista - Sono di ciaspole, racchette da neve. Me le manda un amico dalle Americhe. Si mettono ai piedi e...</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Questa volta si interruppe da solo. Le tracce si scostavano dal torrente e risalivano verso la montagna. Fino a sparire proprio sotto alla slavina.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Muoviamoci! - incitò scendendo al volo dalla slitta. Afferrate le pertiche, la squadra attraversò il Roseg di corsa e raggiunto il fronte nevoso incominciò a lavorare di sonda. Era passata più di mezz'ora da quando il rombo della valanga aveva fatto tremare le vetrine della farmacia. Se Gregor non avesse avuto a disposizione una camera d'aria o un qualunque condotto verso la superficie la loro corsa sarebbe risultata già abbondantemente vana. Martin non ci voleva neppure pensare. Konrad e i cani non arrivavano, e per quanto piccola quella slavina era enorme per una squadra di sei persone. Bisognava sperare che Gregor fosse riuscito a galleggiare sul fronte d'impatto, tutti quanti in montagna dicevano di saper come fare, ma erano più fanfaronate che altro. E che non avesse riportato traumi seri o, peggio, fratture. Che nella iella, in totale, fosse pure stato fortunato, e allora poteva esserci ancora un margine di speranza di quindici, forse venti minuti. Poi sarebbe stata solo la volontà di Dio. Il farmacista affondava la pertica nella neve come un forsennato, la estraeva e la affondava di nuovo, senza mai incontrare nulla. Allora la affondava di nuovo, e di nuovo, insensibile alla fatica, al freddo, al dolore che stava risalendo le braccia.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Martin MARTIN! Fermati! Ascolta...</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Ma chi era a parlare? E che voleva? Perchè non riusciva a muoversi?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Calmati, ascolta.. - si sentì ripetere..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">La frenesia che lo aveva afferrato iniziò finalmente a dissolversi, abbandonandolo scosso e confuso sulla neve scesa dal Chalchagn. Due dei suoi compagni lo stavano trattenendo..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Ascolta...</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"> Che c'era da ascoltare? Non si sentiva nulla, solo un po' di brezza tra gli alberi, lo scorrere del torrente alle spalle e i consueti richiami degli uccelli. Che erano un baccano della miseria, però, e che avevano mai quelle bestiaccie? E perchè sembrava venire tutto da un'unica direzione?</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Ma.. ma cosa.. che c’è? – balbettò alla fine..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- E' quell'albero laggiù, guarda: ci sono tutti gli uccelli del bosco, là. E stanno chiamando.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">L'idea si fece largo nella sua mente con la rapidità e la potenza di un fulmine, spazzando via incertezza e fatica come un temporale.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Sono quelli di Gregor! - esclamò - Lui è là sotto, è là sotto! Andiamo! - e partì come un proiettile, lasciandosi indietro squadra e domande. Attraversò in qualche modo il corso della slavina e risalì faticosamente lungo il fianco opposto, lo sguardo sempre fisso sulla neve a cercare un segno, un indizio, un qualcosa... E alla fine lo trovò. Seminascosto da una piccola gobba nevosa c'era un sacchetto di velluto, un sacchetto di velluto rosso fiammante. Gli uccelli facevano la spola dall'albero a quello e da quello ad un altro punto un po' più in alto, dove però non si riusciva a scorgere assolutamente nulla,</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Prendi quel coso rosso - ordinò il borgomastro al farmacista - Gregor lo vorrà indietro.. - quasi automaticamente Martin rispose a quanto gli era stato richiesto e si avviò al recupero. Gli altri proseguirono per sondare la seconda zona puntata dai volatili: andava fatto prima che Martin capisse l'antifona, perchè le possibilità che Gregor fosse proprio lì sotto erano poi quelle che erano. E che fosse vivo, anche meno. </span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Al primo affondo la pertica non incontrò nessuna resistenza. Nemmeno al secondo, e al terzo, e..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- E' qui! E' Qui! - Gridò l'uomo alla sinistra. - E' qui! </span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">In un attimo furono tutti sul posto a scavare, Martin con il sacchetto rosso in mano. </span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Bravo ragazzo, sei riuscito a stare in alto, bravo.. - borbottava uno</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Ma che fortuna! Che fortuna! - Aggiungeva un altro..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Resisti, resisti! Ancora un attimo e sei fuori..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Il ragazzo era vivo, e anche cosciente più o meno. Lo adagiarono su una coperta e presero a frizionarlo, qualcuno passò una fiaschetta di kirsch. Gregor riuscì a mandarne giù una buona sorsata e, forse per quello o forse per altro, cominciò piano piano a riprendersi.. Lo caricarono sulla slitta lanciandosi quindi verso il paese alla massima velocità possibile, tutti insieme. Ridendo, scherzando, dandosi delle gran pacche sulla schiena e promettendosi sbronze colossali.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Perchè ci avete messo tanto? - domandò Gregor quando le forze gli consentirono di farsi contagiare dall'allegria generale..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Perchè ci siamo fermati a guardare gli elefanti, figliolo. - rispose Martin. - Ma vedremo di fare più in fretta, la prossima volta.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Era tornato l'inverno, o meglio, era sulla via del ritorno. Due degli uomini della famiglia Schellenberg stavano disseminando di pinoli il fondo di una piccola mangiatoia appesa al ramo più basso di uno splendido abete. Non molto distante da lì uno di loro era stato preso dalla valanga e l'altro aveva scavato per tirarlo fuori.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- E questa è l'ultima - dichiarò il ragazzo. - Chissà quanto ci metteranno a spazzarle via, questa volta..</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Ci metteranno quello che ci metteranno - rispose il padre - ma finchè Pontresina avrà una farmacia ed un Borgomastro, d'inverno qualcuno salirà quassù e riempirà le mangiatoie di semi e di frutta.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Anche se, credimi, è più divertente fare così.. – Gregor si versò nel palmo il solito mucchietto di pinoli. La prima cincia arrivò talmente in fretta da riuscire quasi ad infilarsi dentro al sacchetto rosso. La seconda tardò solo di pochi secondi, seguita da una terza.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">- Molto più divertente.</span></span><br />
</div><div class="Standard"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="Standard"><span style="font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Ancora oggi, viandante, ti dovesse mai capitare di attraversare la valle del Roseg, non dimenticarti di portare con te un sacchetto di pinoli da porgere alle cince. Se saranno buoni, ma proprio molto buoni, forse potrai anche convincerle a raccontarti la storia di Gregor degli Elefanti. Loro la ricordano ancora.</span></span><br />
<br /><br /><br />
<span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" face="Arial, sans-serif" style="font-size: 13px;">Clicca <a href="https://docs.google.com/viewer?url=http%3A%2F%2Fdl.dropbox.com%2Fu%2F1408885%2FGli%2520Elefanti%2520del%2520Roseg.pdf">qui</a> per scaricare il racconto in formato .pdf</span></span><br />
<br /><br /><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TFfopMjQvrI/AAAAAAAACkM/SZYauYodB98/s1600/cc_full_solo_io.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" bx="true" src="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TFfopMjQvrI/AAAAAAAACkM/SZYauYodB98/s320/cc_full_solo_io.png" /></a></div><div style="text-align: center;"><span face="Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif"><span style="color: #990000;"><strong>Illustrazione di Eugenio Bausola</strong></span></span></div><br />
<span class="Apple-style-span" face="Arial, sans-serif" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 13px;"><br />
</span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-59645850870777639812009-12-31T03:14:00.003-08:002010-06-24T01:39:56.806-07:00Natale AD 1223<div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3gozxzNkxI/AAAAAAAABxg/OwgL76glKdc/s1600-h/natale_AD1223.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a></div><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3gozxzNkxI/AAAAAAAABxg/OwgL76glKdc/s1600-h/natale_AD1223.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a><br />
<div style="text-align: auto;"><span class="Apple-style-span" style="clear: left; float: left; font-size: small; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></span><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3gozxzNkxI/AAAAAAAABxg/OwgL76glKdc/s1600-h/natale_AD1223.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span class="Apple-style-span" style="-webkit-text-decorations-in-effect: none; color: black;"></span></a><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3gozxzNkxI/AAAAAAAABxg/OwgL76glKdc/s1600-h/natale_AD1223.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; display: inline !important; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span></a></div><div><span class="Apple-style-span" style="color: black;"><br />
</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3g-HCog5OI/AAAAAAAABxk/RS3ZIpgfHSE/s1600-h/natale_AD1223.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="302" src="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3g-HCog5OI/AAAAAAAABxk/RS3ZIpgfHSE/s400/natale_AD1223.jpg" width="400" /></a></div><br />
<div style="margin: 0pt;">Non era stato un cattivo inverno, anche se a fine dicembre la primavera era tremendamente lontana e poteva ancora capitare di tutto. Il freddo aveva incominciato a mordere presto: a novembre il terreno aveva preso a congelarsi sempre più di frequente e a sgelarsi sempre più di rado. Le pozze e i bordi dei ruscelli si erano ricoperti di festoni di ghiaccio che quando c'era il sole luccicavano che sembrava un giorno di festa. Ma durava solo un attimo, perché il sole ormai usciva solo un attimo per volta, se usciva. Poco dopo però era caduta la prima neve. Era una bella cosa, perchè sotto alla neve faceva più caldo che fuori, e così la terra poteva scongelarsi un poco. L'estate di San Martino l'aveva trasformata in acqua, ma poi era arrivata la seconda, e poi la terza, e dopo un po' si era perso il conto. La neve aveva coperto i monti e le valli, era scesa fino in pianura. Ma si era posata leggera leggera, come un velo di sposa, come la spuma di un'onda o un pensiero rimasto a metà. Qualche pista era diventata più difficile da percorrere. Qualche naso, cercando l'erba, si era gelato più del solito. Qualche vecchio ramo aveva dato l'addio al suo albero, ma tanto era vecchio. E questo era più o meno tutto quello che era costato, per quell'anno, avere a disposizione un paesaggio da favola. Quello e, alla bisogna, un po' di lavoro in più per cavare le bacche invernali dal di sotto della coltre di neve che le ricopriva, cosa che aveva trattenuto anche il codibugnolo che ora stava volando come un forsennato nel tramonto per arrivare all'appuntamento più o meno in orario.. E dire che non era neanche il suo cibo preferito. I Codibugnoli sono insettivori, lo sanno tutti, ma d'inverno si piglia quel che c'è e quelle bacche trovate per caso erano troppo invitanti per lasciarle lì. E adesso c'era da correre, anzi da volare; il sole era ormai sparito sotto l'orizzonte, quello che restava era la luce dell'ora blu. Per fortuna non mancava molto. Attraversò i campi a est del paese mentre dalla neve si alzava già la nebbia, nebbia che poi restava lì a galleggiare a mezz'aria, indecisa tra l'avventurarsi nel cielo che avrebbe potuto disperderla con un solo colpo di brezza e passare un'altra notte nel sicuro porto del suolo, degli alberi, dei fossi, dove il vento non arrivava mai. Sorvolò la vecchia siepe e la via che veniva da Spinaceto, girò intorno alle prime case di Greccio passando sopra a quelli che dovevano essere orti o giardini, immobili ed irriconoscibili sotto alla coltre che li ricopriva. Bucò anche qualche nuvola di fumo degli uomini, che sapeva di caldo e di cibo. Sfrecciò attraverso una macchia di alberi e poi di nuovo sui prati innevati, mentre il crepuscolo si stava girando in notte e su, in alto, le stelle incominciavano a scintillare. Discese infine in quello che nell'oscurità sembrava l'inizio di una faggeta, indovinò un albero, si posò su di un ramo ed attese.<br />
<br />
I minuti passavano lentamente, di tanto in tanto qualche rumore lo faceva sobbalzare ma in pratica tutto il mondo sembrava tranquillo, in pace. Forse in attesa. Quando l''apprensione superò la prudenza, decise finalmente di farsi sentire.<br />
- C'è qualcuno, qui? - domando' al buio.<br />
- Io ci sono, ma tu chi sei? - rispose una voce da qualche ramo più in alto.<br />
- Codibugnolo, e tu?<br />
- Picchio muratore, piacere. -<br />
- Sei qui da tanto?<br />
- Da un po', era ancora chiaro..<br />
- E siamo in tanti?<br />
- Parecchi - aggiunse qualcuno da un altro angolo. - Passera mattugia, siamo in quattro.<br />
- Cinciallegra, cinciarella, cince bigie, more e dal ciuffo. Presenti in buon numero sull'albero qui di fianco. Piacere.<br />
- Peccato per il buio, che non si vede nulla. - commento' il codibugnolo.<br />
- Non ci pensate: manca poco al sorgere della luna, ormai. – dichiarò uno dei gufi<br />
- Sarà, - obbiettò un fringuello – ma per adesso è buio, buio pesto.<br />
- Guarda bene, si nota già la differenza all'orizzonte. Sarà una bella luna, dico io..<br />
- Me lo auguro, io non ci vedo ad un palmo dal becco e ad ogni suono o rumore il cuore mi balza fino in gola, e poi convincerlo a tornare giù è un'impresa.<br />
- Non temere piccolino, - raccomandò un voce lì accanto - oggi è un giorno di pace, e siamo tutti qui in pace. Nessuno escluso.<br />
- Perdiana! - esclamò il fringuello, che per lo spavento era schizzato tre rami più in alto. - Ecco quello che intendevo! Non potevi annunciarti in qualche modo, sparviere? E comunque non ci sei solo tu in queste foreste..<br />
- Ma, come dice l'amico sparviere, tutti quelli che sono qui sono venuti in pace. - Annunciò dal basso una voce che tutti conoscevano e temevano.<br />
La luna, intanto, si era finalmente decisa a far mostra di sé, fredda, enorme appena sopra l'orizzonte. E anche attraverso la foschia che galleggiava a mezz'aria riusciva a mostrare chiaramente la forma del lupo che aveva parlato. Il silenzio calò sul bosco come una foschia ancora più densa, mentre ciascuno, in cuor suo, pesava le parole del predatore per decidere se fidarsi o meno. Perchè va bene la pace, ma un lupo è sempre un lupo..<br />
- Aspetta aspetta, che questa non me la voglio perdere - dichiarò una vocina ancora più in basso. Da una chiazza di erba rimasta lì probabilmente per scommessa fece capolino un lepre. Con un paio di balzi si portò vicino al lupo, rallentando per poi fermarsi a meno di un metro.. - Sicuro che non cambi idea, adesso? -<br />
- Ho promesso, - confermò l'altro, - e se anche non lo avessi fatto, oggi è diverso. Questa notte siamo tutti più buoni, no?<br />
- In che senso? - domandò la lepre allarmata.<br />
- Buoni nel senso buono, intendo. Ma se mi temi tanto, perche ti metti a portata dei miei denti?<br />
- E quando mi ricapita di vedere un lupo da così vicino. - dichiarò soddisfatto il piccolo quadrupede.<br />
- L'occasione ti potrebbe ricapitare, - commentò al volo un codirosso da un ramo - Di poterlo poi raccontare probabilmente no..<br />
- Ma tu non eri migrato? - domandò un gheppio dopo qualche attimo di imbarazzo generale..<br />
- Seee e secondo te questa me la mancavo? - rispose l'altro.<br />
- Basta con questo baccano lì sotto, che sta arrivando qualcuno. - Avvertì una civetta dall'alto. Di nuovo, il bosco si azzittì. Chi poteva si tirò su per vedere tutto quanto di prima mano, ma per chi non aveva occhi da rapace non c'era un granché da vedere, al momento.. Quel qualcuno era evidentemente un uomo e stava appena uscendo dal limite del paese lungo il vecchio sentiero. Con una tenacia a dir poco ammirevole avanzò sulla strada ghiacciata fino alla curva, rischiando di scivolare e cadere più o meno ad ogni passo.. Quindi si guardò intorno un paio di volte, come per farsi sicuro della posizione, e tagliò nel campo, nella neve alta, verso il bosco. Si affondava fino al ginocchio, a metà strada dovette fermarsi a riprendere fiato. Si asciugò del sudore che gli scendeva negli occhi con la manica del saio. La foschia, finito il suo compito, si stava diradando rapidamente, e la luce della luna faceva brillare la neve sul prato come la vetrate delle cattedrali che aveva visto nei suoi viaggi, o i gioielli che portavano le dame. In cielo, qua e là, luccicavano nubi leggere, ricami d'argento sul tessuto della notte. Dove la la luna non poteva ancora arrivare era una celebrazione di stelle di ogni fattura, piccole e grandi, luminose o appena visibili. Tutte a guardare giù, verso il prato innevato dove il piccolo frate stava guardando in su. Era una notte magica, era la notte di Natale. Come gli capitava sempre più spesso di fare, il frate ringraziò l'Onnipotente per aver profuso nel creato così tanta bellezza ed armonia. Poi, rinfrancato dalla sosta, riprese il cammino. Arrivato agli alberi incontrò meno neve e riuscì a marciare più agevolmente, ma dopo aver seguito il margine del bosco per poche decine di metri tornò a fermarsi. Gli era parso di sentire un richiamo. Poi un altro, e un altro ancora, e in un attimo si trovò circondato da un autentico stormo di uccelli e uccelletti festanti, cinguettanti, gorgheggianti, starnazzanti e tutte quelle altre cose che fanno gli uccelli quando sono felici. "Francesco, sono qui!" diceva uno, "Francesco, anche io ci sono!" aggiungeva un altro, "Francesco, siamo pronti, andiamo?" domandava un terzo.<br />
"Fanatici.." pensò dignitosamente il lupo, ma poi si unì al comitato di benvenuto con l'intenzione di cercare anche di scroccare una grattatina proprio dietro alle orecchie, che è vero che non è molto dignitoso, però gli piaceva parecchio.<br />
Ora, è difficile dire se Francesco intendesse letteralmente la conversazione che lo attorniava, parola per parola voglio dire, ma di certo ne intendeva perfettamente il senso e, come si conviene ad una persona educata si soffermò per più di un attimo a scambiare qualche frase di cortesia con un uccelletto qua, uno scoiattolo là, un riccio, una volpe, un daino e in definitiva chiunque altro cercasse di attirare la sua attenzione. Ma alla lunga il dovere si fece pressante e gli toccò quindi di richiamare all'ordine la platea.<br />
"Fratelli e sorelle" esortò il frate "Il vostro affetto scalda il mio vecchio cuore anche nel gelo di questa lunga notte di inverno. Ma il tempo stringe ormai, siamo convenuti qui per uno scopo e tale scopo deve essere adempiuto. Quindi, orsù, raduniamoci e partiamo, che la strada non è molta ma prima o poi va affrontata"<br />
"Faccio strada io" dichiarò il cinghiale scattando in avanti, "voi rimanete nella mia pista". Alcuni uccelli sorrisero della proposta, ma, notata l'occhiataccia con cui il frate di redarguiva, si guardarono bene dal prendere iniziative e rimasero disciplinatamente nelle retrovie, spostandosi di posatoio in posatoio. Tornata sulla strada, la strana comitiva si lasciò alle spalle Greccio dirigendosi verso Stroncone. Malgrado le evidenti difficoltà di terreno e di clima, proseguirono a passo piuttosto spedito per mezza lega circa, fino ad arrivare ad uno slargo probabilmente spianato apposta per l'occasione. Lì, un'assemblea pittoresca quanto la loro sembrava proprio attendere solo il loro arrivo.<br />
"Avanti, avanti!" li incoraggiò il frate "la processione sarà qui tra non molto, ognuno si trovi il suo posto. Il lupo con i pastori e gli agnelli, e non voglio sentire proteste. Cervi daini e cerbiatti sul margine del bosco, attenti alle corna. I cinghiali sottovento, per favore. Quelli che volano si mettano dove credono, avanti, avanti; di spazio ce n'è, di tempo molto meno.."<br />
<br />
Così, con qualche titubanza ma senza timore, ognuno si piazzò come richiesto: i lupi con gli agnelli, i servi coi padroni, gli animali con gli uomini. Perchè quella era una notte magica, era la notte di Natale. Il nostro codibugnolo trovò posto con le altre cince tra i rami di un faggio non troppo distante dalla grotta. Eccoli là: il bue e l'asino, i due umani che rappresentavano Giuseppe e Maria e la mangiatoia dove sarebbe stato deposto il Bambino. Proprio come aveva detto Francesco, ma essere lì, essere presente, era tutta un'altra cosa. La luce incerta delle delle torce e dei fuochi illuminava guizzante i volti di mercanti, artigiani, cavalli e cavalieri, soldati in strane corazze, madonne, nobiluomini, fanciulle, pastori e guerrieri vestiti con abiti esotici, strani animali. Tutti in attesa intorno alla caverna, tutti presi nella parte che faceva loro rivivere, per una notte, una storia di mille anni prima, e mille leghe più altrove, una storia che tutti avevano sentito raccontare. Dalla strada di Greccio giunse un canto che era anche musica, poi, piano piano comparvero bagliori di ceri e di fiaccole, in ultimo le sagome degli uomini che li portavano.<br />
La processione avanzò lentamente, solennemente, per unirsi alla rappresentazione del primo presepe della storia, il presepe vivente di Greccio, nell'anno del signore 1223.<br />
Nella mangiatoia adesso c'era un bambino. "Guarda!", esclamò il codibugnolo "E' arrivato!"<br />
- Ma no, ma no - lo corresse una cincia - è un simulacro, una cosa simbolica. L'ha fatto la figlia del Signore di Stroncone, me l'ha detto mio cugino che abita nel giardino della dama.<br />
- Sarà - contestò il codibugnolo - ma a me sembra un bambino vero..<br />
- Ma figurati, tu porteresti uno dei tuoi pulcini qui fuori, al freddo, con questa neve? E in piena notte, per giunta?<br />
- Tutto quello che vuoi, però si muove. Guarda, adesso sta salutando quelli lì davanti. Ehi, qui! Ci siamo anche noi!<br />
- Lo sa che ci siete anche voi - lo rimbrottò Francesco che, invisto ed invisibile, si era intanto lasciato scivolare indietro tra la folla per trovare un angolo di tranquillità proprio sotto a quell'albero. - Però potreste anche far qualcosa di più per farvi notare...<br />
Allora tutti gli uccelli dell'albero confabularono tra di loro per qualche istante, e poi, come un corpo unico, si alzarono in volo e scesero in un sol balzo nello spiazzo che gli uomini, forse volontariamente o forse no, avevano lasciato libero innanzi alla grotta. In un istante anche i pennuti che avevano trovato posto altrove si unirono allo stormo. "Fanatici.." pensò dignitosamente il lupo, ma poi anche lui si avviò per prender posto nell'apertura. Figurante, per una volta, ma comunque ben in vista, perbacco. Quindi arrivarono i cervi e i cinghiali le lepri e le donnole, e infine tutti gli altri. Colpito da tutto quel movimento il presepe si era azzittito, e adesso stava in attesa. Gli animali del cerchio esterno si accucciarono così che tutti potessero vedere, e allora gli usignoli presero a cantare. Poi i pettirossi, gli scriccioli, i merli, i fringuelli, le capinere e ancora tutti gli altri. Anche le gazze e le ghiandaie, perfino i corvi e le oche trovarono il loro posto nel canto, e quello fu praticamente un miracolo. Era una canzone dolcissima, che raccontava di una notte silenziosa, una notte santa, una notte in cui gli angeli parlavano con i pastori e la pace sembrava essere scesa sulla terra per regnare per sempre: la notte in cui Gesù era nato. La canzone ebbe fine e tutti gli animali tornarono al loro posto, felici di aver fatto la loro parte. Ma la melodia restò a lungo nelle orecchie e nei cuori degli uomini, che da allora la tramandarono di padre in figlio fino a quando, quasi seicento anni dopo, un monaco austriaco non ne scrisse la partitura e un altro ci aggiunse le parole, facendone dono, per sempre, all'umanità tutta. Date le circostanze, è probabile che qualche dettaglio si sia perso nel tempo, nella distanza e nella, diciamo, traduzione. Ma la canzone è rimasta la stessa, un augurio di pace e felicità in cielo e in terra, per tutti gli uomini buona volontà.<br />
<br />
<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 16.8px; line-height: 20px;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif; font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 15.6px;">Clicca <a href="https://docs.google.com/viewer?url=http%3A%2F%2Fdl.dropbox.com%2Fu%2F1408885%2Fnatale_AD1223.pdf" style="color: #993322; text-decoration: none;">qui</a> per scaricare il racconto in formato .pdf</span></span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 16.8px; line-height: 20px;"> </span><br />
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<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 15.6px; line-height: 18px;"><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/" rel="license" style="color: #cc3300; text-decoration: none;"><img alt="Creative Commons License" src="http://i.creativecommons.org/l/by-nc-nd/2.5/it/88x31.png" style="border-bottom-style: none; border-bottom-width: 0px; border-color: initial; border-left-style: none; border-left-width: 0px; border-right-style: none; border-right-width: 0px; border-top-style: none; border-top-width: 0px; border-width: initial; position: relative;" /></a></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 15.6px; line-height: 18px;"><br />
</span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span dc="http://purl.org/dc/elements/1.1/" property="dc:title"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">Natale AD 1223 </span></span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">by</span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"> </span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><a cc="http://creativecommons.org/ns#" href="http://traccevisibili.blogspot.com/" property="cc:attributionName" rel="cc:attributionURL" style="color: #993322; text-decoration: none;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">Fabrizio Burlone</span></a></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"> </span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">is licensed under a</span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"> </span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"></span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/" rel="license" style="color: #ff3300; text-decoration: underline;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</span></a></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">.</span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><br />
</span> </span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">Permissions beyond the scope of this license may be available at </span></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><a cc="http://creativecommons.org/ns#" href="http://traccevisibili.blogspot.com/" rel="cc:morePermissions" style="color: #993322; text-decoration: none;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">http://traccevisibili.blogspot.com/</span></a></span><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18px;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;">.</span></span></div></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-33097312581326105032009-10-23T13:38:00.002-07:002020-04-28T08:26:28.430-07:00Piccioni<div></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3ho7q6NlLI/AAAAAAAABx8/fQjU6zZfiXg/s1600-h/piccioni_x.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="248" src="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3ho7q6NlLI/AAAAAAAABx8/fQjU6zZfiXg/s320/piccioni_x.jpg" width="320" /></a></div><br />
I piccioni non sono molto belli, con quel colore grigiastro che non dice niente. In più sporcano. E puzzano. E trasmettono malattie, o almeno così si dice. Hanno una voce monotona e fastidiosa, che ti fa capire subito che loro no, non sono animali intelligenti. Per non dire dell'espressione, o di quell'andatura dondolante... Noè aveva mandato un piccione a vedere se le acque si erano ritirate, ma poi si è scritto colomba perchè il piccione non si può, è impresentabile. Il piccione della pace? Ma figuriamoci. Cochi e Renato dovevano cantare del piccione, ma poi si era preferita la gallina, perchè in fondo è più simpatica.<br />
Si moltiplicano senza ritegno, nidificano nei posti più fastidiosi e poi sfrattarli e rimettere tutto in ordine costa un occhio. Non hanno neanche i piccoli, diamine. I piccoli mettono sempre tenerezza: almeno un po' carini lo sono tutti, è matematico. E invece no, niente, neanche quelli. Cioè, li hanno, ovvio. Ma quando escono dal nido e finalmente li vedi sono già praticamente indistinguibili dagli adulti; grigi e insulsi. Gli unici piccioni che abbiano mai fatto qualcosa di buono sono stati i piccioni viaggiatori, al loro tempo. Ma oggi, nell'epoca dove perfino la posta elettronica sembra troppo lenta, i piccioni viaggiatori li trovi solo nelle vignette e nei cartoni animati, e non fanno una gran bella figura neanche lì.<br />
Insomma, diciamocelo francamente: a nessuno piacciono i piccioni.<br />
Neanche ai piccioni, o almeno non a tutti. E sicuramente non al piccione della nostra storia.<br />
Non che lui si fosse mai fatto troppe domande sulla posizione del piccione nel grande cerchio della vita, e quando mai... Prima, almeno. Poi aveva festeggiato il suo sesto compleanno, ed era ufficialmente diventato un piccione cittadino di mezza età. E come tutti i cittadini di mezza età era incocciato nella sua crisi di mezza età. Qual'è il senso della vita, che ne ho fatto della mia, cosa ne dovrei fare, dove sono arrivato, dove voglio arrivare, se ci arrivo poi a che ora mi libero... Le solite cose che ci siamo chiesti tutti quanti prima o poi, con le solite conseguenze: inappetenza e/o fame nervosa, poca voglia di lavorare, considerevoli difficoltà di concentrazione e un desiderio irresistibile di raccontare i propri problemi a tutti quelli che ci circondano. I quali, ovviamente, prendono ad evitarci come l'aviaria, cosa che normalmente genera anche una sana sindrome da isolamento, qualche disordine della personalità di tipo sociopatico e magari in una bella paranoia vera e propria. Ma fermiamoci un attimo prima, perchè anche i piccioni hanno degli amici.. <br />
- Lo so, capita anche a me, ti capisco benissimo. - dice l'amico.<br />
- Davvero?<br />
- Certo che no, ma scherzi? E chi ti capisce a te? Sei un bel piccione... beh, bello forse è troppo. Comunque hai due ali, due zampe e tutto quello che serve. Dal poco al troppo sei anche in salute. Quando serve un tetto sulla testa ce l'hai, non fai la fame, nessuno ti spara addosso. Sei un ragazzo fortunato, insomma. Dovresti stare contento, no? Invece, guardati: sei un'autentica Pittima. Il che, per un piccione, è anche ridicolo.<br />
- E questo sarebbe il senso della vita, secondo te? Tutto qui?<br />
- Voli. Ti sembra poco? Metà del mondo darebbe un occhio e una gamba per poter volare.<br />
- Le Aquile volano. I Gabbiani volano. Anche le Rondini volano. Noi al massimo svolazziamo.<br />
- Tu svolazzi. Io volo rapido e potente. I nostri antenati vivevano sulle scogliere, tra il mare e il vento, e noi siamo costruiti per volare agili e sicuri anche in condizioni estreme.<br />
- E invece voliamo tra un sottotetto e un giardino pubblico. Anzi, svolazziamo.<br />
- Senti: io sono un piccione maschio. Se hai un problema ne parliamo, troviamo una soluzione, la mettiamo in pratica e poi andiamo al parco a vedere se qualcuno ha buttato via una lattina con ancora un po' di birra. Se invece hai bisogno di sfogarti, trovati un piccione femmina oppure un gruppo di terapia. A seconda di quanto sei messo male.<br />
- Spiritoso. E quale sarebbe questa tua soluzione da mettere in pratica? Se ne hai una, s'intende.<br />
- Parlane con il Grande Saggio del Broletto.<br />
- E che soluzione è? Hai solo rimbalzato il problema a qualcun altro. Che oltretutto non esiste neppure.<br />
- Cosa che, per me, costituisce una soluzione ragionevole ed efficace. E poi il Grande Saggio del Broletto esiste e riceve sul campanile del Duomo, perchè gli piace stare in alto. Mio cognato aveva un problema che adesso non mi ricordo, ma era importante perchè non riusciva più neanche a dormire di notte. Bene, ci è andato, lo ha trovato e ci ha parlato.<br />
- E adesso come sta?<br /><div>
- E' morto. L'ha beccato il falco appena fuori al Duomo.</div><div><br /></div>
<br />
Entrare nel campanile era diventato praticamente impossibile, tra reti, griglie e dissuasori. Neanche al padreterno i piccioni piacevano più di tanto. Con il Falco in giro sarebbe stato meglio passare dall'interno, ma alla balconata che il Saggio aveva scelto per le udienze ci si poteva accedere anche dall'esterno. O almeno, così si diceva. E si diceva anche che da lassù si godesse della vista ispiratrice delle montagne sulle cui vette il Saggio aveva studiato e, alla lunga, visto la Luce. Ma anche no, non c'era uniformità di opinioni a proposito.<br />
Volando con la paura del Pellegrino quasi non era accorto del piccolo gruppo di piccioni in attesa sulla seconda balconata superiore. Con una brusca virata si portò a livello e scese lì accanto. - Siete qui per il Saggio?<br />
- E per chi se no? Prendi il numero.-<br />
Prese un biglietto con sopra stampati dei numeri da un mucchietto in un angolo.<br />
- Ma sono dei numeri a caso..<br />
- Sì, li troviamo davanti a una ricevitoria del lotto in galleria. Ma non ha importanza perchè tanto lui chiama come gli pare. Quando hai finito rimettilo nel mucchio.<br />
Date le circostanze, si mise in fila senza fare altre domande. Dopo un po', un bel po' a dire il vero, da dietro ad una colonna sbucarono un paio di piccioni intenti in una fitta conversazione. Arrivati alla platea l'uno salutò l'altro con reverenza e tornò nel gruppo. Quello rimasto fuori esaminò gli astanti con un'occhiata e fece la sua chiamata.<br />
- Tu, là in fondo che numero hai? -<br />
- Chi, io? - domandò il nostro.<br />
- Sì tu: che numero hai? -<br />
- Sul biglietto ce ne sono parecchi.<br />
- Bene, stiamo servendo proprio quelli. Fatti avanti e specifica la natura della tua emergenza esistenziale.<br />
<br />
Il piccione della storia, che per comodità a partire da questo punto chiameremo Marvin, guardò per l'ennesima volta l'orologio della torre. Non proprio vicinissimo, ma comunque ben visibile. Non si poteva sbagliare: l'ora era quella, più o meno. Come suggerito dal Saggio, o forse si dovrebbe dire ordinato, planò sul ciottolato della piazza del Duomo e attese il segno che gli si sarebbe mostrato "se avesse avuto occhi per vedere". Le vie del Signore erano già infinite, che bisogno c'era di farle pure misteriose? Passò qualche minuto, senza fretta. Poi un'ombra sinistra si levò alle spalle del piccione, sovrastandolo ed oscurandolo. Marvin si voltò per affrontarla, ritrovandosi di fronte a un piccolo d'uomo, intabarrato in una di quelle livree dai colori improponibili che gli umani possono mettere e togliere a piacere. Quella, in particolare, si alzava fino a coprire parte della testa, e aveva del pelo sul bordo che sembrava sfuggire dall'interno. Vabbè, pensò, non tutti i gusti san di miglio.. Il piccolo, intanto, era arrivato a portata di mano e stava appunto protendendosi per afferrare il piccione. Istintivamente, Marvin aprì le ali e con un paio di colpi si allontanò di una buona misura. Istintivamente, il bimbo si girò nella sua direzione e riprese l'inseguimento. Mantenendo tutta la dignità possibile Marvin lo menò per un po' su e giù per la piazza e poi, dribblando anche un tentativo di raddoppio di marcatura, partì in volo per andarsi a posare, infastidito, su di un cornicione sovrastante.<br />
- E questo cosa sarebbe? - lo interrogò uno dei piccioni che già stavano lì.<br />
- Questo cosa?<br />
- Scendi giù, fai quattro passettini di qua, quattro di là e poi te ne vieni via..<br />
- E allora?<br />
- E allora i bambini sono rimasti delusi..<br />
- E allora?<br />
- E allora che ci sei venuto a fare qui, santo cielo?<br />
- Be, io ho solo parlato con il Saggio del Brole..<br /><div>
- Osignur, un altro! - lo interruppe bruscamente - Aspetta aspetta aspetta, non voglio sapere niente. Vieni giù con me e fai quello che faccio io.Tornarono giù, sul selciato. I bambini li notarono subito e ripresero con i loro tentativi di approccio, mentre gli adulti, carichi di borse e cartelle, li guardavano da poco lontano. Divertiti. Questa volta i piccioni, uno di sua iniziativa e l'altro per imitazione, si accontentavano di mettersi fuori portata con qualche buffa corsetta e, al massimo, col solito colpo d'ala. Poi si fermavano e si voltavano ad osservare gli inseguitori, con quella strana piega della testa che ti impone la vista laterale e che sembra quasi curiosità. I bimbi si avvicinavano, loro si scostavano e la cosa continuava così, in un circolo che non portava nessuno veramente lontano da nessun altro. Poi, uno degli adulti cavò fuori qualcosa da una sacca, si avvicinò al suo piccolo e incominciò a sbriciolare quel qualcosa ai suoi piedi. Uno dei due piccioni si avventò sulle briciole come se fosse a digiuno da mesi. - Che aspetti? - Gridò dopo qualche beccata - gli altri arriveranno in un..</div><div>Marvin non seppe mai in che cosa sarebbero arrivati gli altri, chiunque questi altri fossero, perchè in quel preciso momento fu travolto da uno stormo di piccioni che si precipitava a partecipare al banchetto. - Calma, calma - invitava il suo amico - non c'è bisogno di spingere. I bambini si dimostravano divertiti dalla competizione, qualcuno batteva perfino le mani e tutti, in un modo o nell'altro, ridevano e cercavano di partecipare alla baruffa. Qualcuno degli adulti portò altro cibo da sbriciolare, uno arrivò con un sacchetto di riso trovato chissà dove e prese a porlo nel palmo delle mani.</div><div> - Salta!</div><div>- Cosa? <br /></div><div>- Salta!</div><div>- Dove?</div><div>- Sulle mani! Salta!</div><div>I due piccioni saltarono su a beccare il riso offerto, altri li seguirono posandosi sulle braccia e sulle spalle dei loro benefattori. Comparvero le macchine fotografiche, i telefonini. Tra adulti bambini e piccioni si era ormai formato un allegro capannello. <br /></div><div>- Possiamo andare - propose l'altro - qui oramai va avanti da solo. <br /></div><div>E senza por tempo in mezzo, decollò per andarsi a posare sullo stesso cornicione da dove era partito. Marvin gli volò appresso.</div>
- E che sarebbe tutto questo teatrino?<br />
- Quale teatrino? - ribattè l'altro<br />
- Quello che abbiamo fatto in piazza..<br />
- Ma che teatrino, quello è il senso della vita, testone.<br />
- Eh?<br />
- Il senso della vita, il significato di tutte le cose, la risposta a tutte le tue domande, cos'è che non capisci?<br />
- Niente. Cioè tutto. Insomma, se c'era qualcosa da capire io me la sono persa.<br />
- Allora ti aspetto domani alla stessa ora che lo rifacciamo. E cerca di essere più attento..<br />
<div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div>
Il piccione che gli altri chiamavano il Saggio del Broletto si affacciò alla balconata per osservare il cortile del Duomo.<br />
- Stai ancora facendo la cosa tipo "metti la cera, togli la cera"? - domandò all'altro.<br />
- Come puoi vedere..<br />
- E...<br />
- E se la cavano benissimo, anche senza di me ormai..<br />
- E..<br />
- E che cosa? ... Senti, vorrei proprio che tu la smettessi di mandarmi animali in crisi esistenziale.<br />
<div>- Ma sei così bravo..<br />
- E loro sono così deprimenti. Hai la fortuna di essere un piccione, uno degli animali più amati del mondo, tutti ci fotografano, tutti ci portano da mangiare, tutti vogliono giocare con noi. Cosa sarebbero le piazze del mondo senza di noi?<br />
- Per non parlare dei monumenti...<br />
- Giusto, i monumenti.. Comunque, dicevo, hai questa fortuna. Puoi regalare un po' di felicità, puoi rendere il mondo un posto un tantino migliore... E loro cosa fanno? Si deprimono. Si avviluppano. Si nichilizzano.<br />
- Quelli qui giù mi sembrano più contenti, adesso.<br />
- Un po'. Non è che ci voglia molto </div><div>- Non belli i piccioni sono, ma possente in loro la forza scorre. - sentenziò il Saggio.<br />
L'altro non aggiunse altro per un attimo o due, poi domandò - Lo fanno ancora il cinema all'aperto da te?<br />
- Quest'anno non si sa. Ma speriamo di sì, ormai non si capisce più niente.<br />
<br />
<br />
</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-6619803336842401222009-10-15T01:42:00.001-07:002011-09-04T13:28:06.286-07:00Albatro<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3hGyGZJ19I/AAAAAAAABx0/B3lD1g3HmDw/s1600-h/albatro_1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="243" src="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3hGyGZJ19I/AAAAAAAABx0/B3lD1g3HmDw/s320/albatro_1.jpg" width="320" /></a></div>
..e il camaleonte rispose: "Pensavo di essere io la creatura più antica sulla terra. Io che vivevo sulle cime degli alberi quando il mondo era ancora sommerso, e che per questo ho la coda e le zampe fatte apposta per arrampicarsi..."<br />
Ma l'albatro scosse la testa. "La mia famiglia solcava questi cieli quando sotto di noi non vi era che fuoco, cenere e roccia ribollente. Volavamo insieme, incessantemente, senza mai trovare un luogo ove fermarsi, ove sostare... anche solo per un istante. Quando i miei genitori morirono li caricai nel becco e continuai a volare, e volare, e volare. Poi comparvero le acque, dapprima, e i grandi alberi, e in ultimo le terre, su cui potei finalmente posarli e lasciarli a giacere per l'eternità. Quel fardello nel corso dei millenni ha piegato all'ingiù il mio becco, come tu puoi ben vedere, e questa è la mia insegna, a ricordo della mia famiglia e dei primi tempi, quando c'era soltanto il cielo." Allora il camaleonte, commosso, si inchinò con reverenza davanti all'albatro, riconoscendolo come il più antico degli animali...<br />
<div>
<br /></div>
<div>
Nonno Geremia fece una pausa, aspettando che qualcuno dei piccoli dicesse la sua. Erano rimasti in silenzio ad ascoltare fino ad adesso e già non stavano più nelle piume. "Ma che cosa è un albatro?" Chiese uno dei più giovani. I ragazzi del secondo anno ridacchiarono, dandosi di ala..."Buoni, state buoni. Del Camaleonte non importa niente a nessuno? Comunque l'albatro è un fratello che vive sempre sul mare, molto, molto più a sud di qui. L'albatro della storia si chiama albatro urlatore, e si dice che, dalla punta di un'ala a quella dell'altra, sia il più grande di tutti gli uccelli. Quasi due volte una cicogna come noi, che già non siamo piccolini.""E perchè vive sempre sul mare?""I venti del mare Oceano gli hanno donato la forma, ma il l'Oceano è un abile mercante e se ti dà una cosa se ne prende sempre un'altra in cambio. Nel vento l'albatro può volare più a lungo e più lontano di qualunque altro uccello, ma le grandi correnti del cielo che lo sostengono nascono e corrono solo sulle immense distese dei mari meridionali. In cambio del suo dono l'Oceano si è procurato un amico fedele, ma direi che è stato un buon mercato per tutti e due.""E come è fatto?""Chi, l'Oceano o l'albatro"I bambini risero "Ma l'albatro, nonno.."<br />
"Assomiglia a un grande gabbiano, con il becco adunco (e noi sappiamo perchè) e le zampe azzurre come il cielo al mattino.. E' di piuma bianca, ma con il dorso delle ali nero che cala anche un po' al di sotto, specie da giovane. Sono proprio le ali a farne quel gran volatore che è. Sottili, lunghissime, tanto che sembrano impossibili da ripiegare, lo tengono su nell'aria per ore, per giorni senza neppure un battito, o quasi.""Ma questo lo sappiamo fare anche noi.." protestò qualcuno.."E anche piuttosto bene, direi." continuò Geremia. "Per questo quando dico che loro sono speciali intendo proprio speciali. Un albatro potrebbe percorrere tutta la via che noi voliamo nelle nostre migrazioni in cinque o sei giorni, e poi ci saluterebbe e proseguirebbe per i fatti suoi. Perchè per lui quella sarebbe stata appena una passeggiatina fuori casa..""E' davvero l'animale più antico del mondo?"<br />
"Questo non lo so. Chi mi ha raccontato la storia dice che fa parte della tradizione di un posto che si chiama Ghana. E che viene da tempi talmente remoti che potrebbe anche essere vera. Ma magari è vera solo a metà, magari è inventata di sana pianta. Però è una bella storia."<br />
"Triste."<br />
"Più che altro solenne, ma gli albatri sono uccelli solenni."<br />
"Ne conosci qualcuno?"<br />
Geremia ci pensò su per un attimo, più per amor di spettacolo che per necessità.<br />
"Sì, ma è veramente tanto, tanto tempo che non li incontro più. Da quando anche io mi spingevo giù, a sud. Ricordo di uno, in particolare, che aveva una storia altrettanto bella e triste.. ah già, 'solenne' dovrei dire. Ma ormai vi sarete stufati di ascoltare vecchie storie, è tutta la mattina che siamo qui.."<br />
"No, no, nonno. Una ci sta ancora comoda comoda."<br />
"Ma siete sicuri?"<br />
"Sicuri. Dai, nonno!"<br />
"Dai nonno, non farti pregare.."<br />
"Dai, nonno..."<br />
"E va bene. Allora, come ho detto è una cosa di tanti anni fa...<br />
<br />
<br />
<div>
Quell'inverno mi ero deciso di andare a vedere una buona volta fin dove arrivasse la terra su cui andavamo a migrare."<br />
"L'Africa!" si sentì bisbigliare nel gruppo..<br />
"Sì, ma a quel tempo nessuno la chiamava così. Comunque, vola e rivola, alla lunga arrivo alla fine."<br />
"Il Capo di Buona Speranza!" si ribisbigliò..<br />
"Ma chi è che vuole fare il saputello? E invece no, l'Africa non finisce lì. Finisce a Capo Agulhas."<br />
Uno dei giovani del secondo anno cercò di scomparire alla vista.<br />
"Ma a capo Agulhas non c'era e non c'è niente, a parte sassi, gorghi e correnti. E nebbie improvvise. Allora mi sono messo a vagabondare un po' di qua e un po' di là, e alla fine sono arrivato proprio al promontorio che un giorno si sarebbe chiamato "Capo di Buona Speranza". Beh, quello è tutta un'altra cosa. Girando in giro mi ero casualmente ritrovato sulla costa occidentale, un po' più in su di dove avrebbero poi costruito la città. Decido di scendere la costa, seguendo la via dei venti, ed ecco che mentre volteggio sulla baia mi si para improvvisamente davanti una montagna, una parete diritta, quasi verticale che sale, sale, sale fino a scomparire tra le nuvole."<br />
"E tu non l'avevi vista, nonno?"<br />
"E no che non l'avevo vista, perchè era tutta coperta dalla nebbia, prima. Poi si era alzata un po' di brezza, era filtrato un po' di sole, ed eccola lì. Alla fine anche il vento aveva preso un po' di coraggio e aveva portato via le nuvole, scoprendo la cima. Solo che la cima non c'è, la montagna finisce piatta. Piatta come l'acqua del lago, piatta come un prato in pianura. Piatta come una tavola, perchè quella è la montagna della Tavola. Io mi alzo sulla baia, sorvolo un picco che assomiglia alla testa di un leone e poi la parete della tavola che la chiude la baia. La supero, qualche nuvola si è impigliata sul bordo ed è rimasta lì a sventolare, come una piuma di garzetta. Davanti a me si stende una catena di picchi, rocche e altopiani, che scendono in mare con scogliere improvvise o spiagge di sabbia finissima e.. "<br />
"Nonno.."<br />
"Eh? "<br />
"L'albatro, nonno.."<br />
"Ah, sì. Adesso ci arrivo. Allora: io me ne sto lì tranquillo tranquillo sulla mia cengia a guardare i pinguini dabbasso.."<br />
"I pinguini!" esclamarono in coro tutti i ragazzi..<br />
"Eh sì, laggiù ci sono anche i pinguini, ma questa è un'altra storia. Io ero lì, dicevo, e mi sento una voce che viene da dove doveva esserci solo cielo."<br />
- Buongiorno..<br />
Alzo la testa e mi trovo praticamente faccia a faccia con questo gabbiano gigante, immobile, inchiodato nell'aria. Sappiamo tutti come è difficile volare a ridosso delle pareti, no? Ci sono correnti, vuoti d'aria, turbolenze, figuratevi poi se sotto ti sbattono le onde di un oceano... E invece quello era lì, fermo come un sasso. A guardare bene, ma proprio bene, muoveva forse una penna o due su tutta l'ala. E stava lì..<br />
- Buongiorno - mi ripete.<br />
- B.. b.. bbuongiorno.. - rispondo io.<br />
- Non è mia abitudine disturbare i fratelli che stanno riposando, ma mi chiedevo se non fosse troppo domandare la sua collaborazione per sciogliere un mio dubbio.. -<br />
- Eh? No, scusi. Mi dica.."<br />
- Lei non ha l'aspetto di un Ciconide del luogo. Viene forse dal Nord? -<br />
- Beh, in effetti, direi proprio che è così.<br />
- Proprio come avevo immaginato, grazie... Ancora una cosa, se posso...<br />
- Sì?<br />
- E tanto che manco dal Nord, potrebbe mettermi al corrente degli ultimi avvenimenti?<br />
E così mi fermo lì a parlare con questo tizio, io sulla cengia, lui per aria, ed era davvero tanto che non passava dalle nostre parti. Mentre chiacchieriamo il pomeriggio diventa quasi sera, il cielo gira dal blu al rosso e quando, in alto, splendono già le prime due stelle della croce del sud, quello si muove, si alza quasi per magia, passa sopra la mia testa e scompare dietro il bordo dell'altopiano sovrastante. Siccome mi pare di aver sentito qualcosa sul tipo 'vado ad atterrare qua sopra' (ma devo ammettere che ero rimasto un attimo stranito, era stato come vedere improvvisamente animarsi un dipinto), mi tuffo anche io, prendo un po' di quota e seguo la stessa direzione. Qualche istante dopo lo vedo mentre plana su una traiettoria di atterraggio, l'eleganza fatta penne e piume. Si allinea contro il vento, ruota l'asse delle ali, sporge i piedi (di un azzurro intenso, lo vedo solo adesso), con un movimento di fluidità straordinaria alza le ali a orecchia d'asino, tocca terra e ... si ribalta. Una volta, due, rotola in una palla disordinata e poi si raddrizza barcollando. Saltella. Inciampa. Si stabilizza. Mi precipito al suo fianco.<br />
- Tutto bene? - domando preoccupato..<br />
- Sì, sì tutto bene. Mi capita piuttosto spesso, è che non siamo fatti per la terra e.. Mi permetto di far notare che non è bello ridere dei guai degli altri. -<br />
- Chiedo scusa ma non riesco ad evitarlo, sa, deve essere per lo spavento. -<br />
- Già, anche questo mi capita piuttosto spesso. -<br />
Me lo aveva detto con un mezzo sorriso sul becco, e, a ripensarci, credo che sia stata l'unica volta in tutti gli anni che abbiamo viaggiato insieme in cui l'ho visto sorridere, o quasi.<br />
Comunque, nei giorni a seguire siamo poi diventati buoni amici, ed è da lui che ho imparato la maggior parte delle tecniche di volo a vela che mi sforzo di insegnare anche a voi. Che volate peggio dei pinguini di prima.<br />
Dal gruppo arrivò qualche accenno di contestazione, poi qualcuno si ricordò della storia.<br />
"Ma è questa la storia dell'albatro?""No" rispose Geremia, "questa è la storia di come ci siamo conosciuti. Ma siccome da qui vedo almeno una mezza dozzina di mamme arrabbiatissime che stanno ancora aspettando i loro bambini, dichiaro finita la lezione di oggi e il resto ve lo racconto un'altra volta."Questa volta le proteste furono più sostenute."Buoni, state buoni.. tanto domani siamo ancora qui, no? O dopodomani, tuttalpiù."Per nulla convinti, giovani e giovanotti ruppero le righe dirigendosi verso le occupazioni quotidiane.<br />
"Domani o dopodomani.. Sì, l'ultima volta c'è voluto un mese.." mugugnò uno.<br />
"Se poi tra un mese se la ricorda ancora.." osservò un secondo."Che ci vuoi fare, è l'età.." sottolineò un terzo.<br />
"L'età è quella che è, ma l'udito è ancora buono." replicò Geremia, ormai da lontano.<br />
Nessuno sentì la necessità di aggiungere altro.<br />
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Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-62481736006030769762009-08-27T09:41:00.001-07:002020-02-24T04:08:37.656-08:00Con un piccolo aiuto<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-SPvzHVVqjBo/XlO7fx4HBhI/AAAAAAAAgtg/Hc2vOVnrMdc6CFxg_qMChNgtlr5h46_tACLcBGAsYHQ/s1600/scansione0028.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="931" data-original-width="1600" height="371" src="https://1.bp.blogspot.com/-SPvzHVVqjBo/XlO7fx4HBhI/AAAAAAAAgtg/Hc2vOVnrMdc6CFxg_qMChNgtlr5h46_tACLcBGAsYHQ/s640/scansione0028.jpg" width="640" /></a></div>
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<br />
Tanti anni fa, in un paese lontano lontano, ma così lontano che alla mattina il sole dovevano mandarglielo a dorso di mulo, vivevano tante persone. E, fra le tante, una come tutte le altre: non era un guerriero od un poeta, un re o un eroe, solo uno qualunque. Uno di quelli che si incrociano per caso per strada e si dimenticano subito dopo. Ma la Sorte, che sa che nessun uomo è davvero come tutti gli altri e che ciascuno ha una sua strada da percorrere, aveva comunque passato anni e anni a spargere segni ed indicazioni che potessero guidare anche lui, perché questo rientra nei Suoi doveri. E lui aveva passato anni ed anni a non comprenderli, perché nel cuore degli uomini le risposte finiscono sempre per perdersi nel frastuono delle domande.<br />
<br />
Così, alla fine, avevano preso ad ignorarsi l’un l’altro, un ignorarsi vagamente astioso.<br />
Non che ci fosse stato troppo tempo per pensarci su, ad ogni modo, perché perfino laggiù, in un posto così lontano, vivere la giornata richiedeva un sacco di lavoro. Poi i giorni erano diventati mesi, i mesi anni ed infine anche gli anni erano passati, l’uno dopo l’altro, mentre tutto continuava semplicemente ad accadere.<br />
<br />
Anche quel giorno era iniziato esattamente uguale a ogni altro, ma appena giunto in città al nostro uomo si era subito presentata l'evidenza che invece no, quel giorno doveva avere un qualcosa di speciale. La piazza del mercato, che dava sul porto, era di solito gremita di gente affaccendata nei mestieri e negli affari più vari e disparati. C’erano commercianti di spezie provenienti dall'altra parte del mondo, contadini e pastori che portavano in città i loro prodotti nella speranza di concludere qualche buon baratto. C'era chi comparava e chi vendeva: pesce e seta, vasi e gioielli, tessuti e derrate. E attrezzi, stoviglie, tappeti, sementi, metalli, servi e animali di ogni foggia e misura. Ma anche sapere, opinioni ed eloquenza erano all'asta. Per promuovere una ragione, scrivere ad un parente od a una amata, far diventare più forte una ragione debole o il suo opposto. Qualunque fosse il commercio, nessuna offerta sembrava mai all'altezza della richiesta, e viceversa. Trovare un giusto mezzo che lasciasse le parti ugualmente scontente finiva sempre per richiedere ore ed ore di estenuanti trattative. E buoni polmoni. Ma fortunatamente i contendenti non mancavano di assistenza e c’era sempre qualcuno intento a provvedere a cibo e bevande, movimento, pulizia, sicurezza, cure mediche e in fin dei conti a qualunque servizio o prestazione (lecita od illecita che fosse) che sembrasse necessaria o gradita. In cambio di un onesto guadagno, si intende. E visto che non di solo pane vive l’uomo, al mercato venivano ad esibirsi, anche musici e poeti, nani e saltimbanchi, fachiri, giocolieri, ballerine, incantatori di serpenti, fenomeni e chi più ne ha, più ne metta.<br />
<br />
Anche quel giorno, come tutti gli altri, il mercato si mostrava gremito come al solito, anzi, più del solito, molto di più… Ma nessuno comprava o vendeva. Tutti, ma proprio tutti, si accalcavano verso il molo, spingendo, strattonando, rischiando di finire in acqua ad ogni slancio o di scaraventare in acqua coloro che avevano già guadagnato le prime file. Incuriosito, il nostro uomo si avvicinò al alla folla ma da ogni posizione accessibile la visione era sempre la stessa: un muro di dorsi sudati e di nuche. E, in fondo in fondo, una singola vela attraccata alla banchina.<br />
“Che succede?” domandò a qualcuno, vincendo l’abitudine a non impicciarsi negli affari degli altri. “Cos’è tutto questo trambusto?”.<br />
“E’ il profeta” gli venne risposto da più parti, “la sua nave è giunta, e ora sta per lasciarci”.<br />
“Guardate, guardate ora,” annunciò qualcun altro nella folla “è Almitra, la veggente... Ascoltate: sta per parlare...”.<br />
Il silenzio scese sulla piazza. Tutti insieme, per una volta, uomini e donne tacquero. Anche il resto della creazione parve trattenere il fiato: le foglie smisero di stormire, gli uccelli di cantare, le onde di rincorrersi, il vento di soffiare, ogni singolo granello di polvere di rotolare. Nessun passo, o suono qualsivoglia, risuonò più sul lastricato.<br />
<br />
Attirata dal boato di quel silenzio, la Sorte abbandonò per un istante le sue tante incombenze e guardò giù in paese. Vide con soddisfazione che tutto era esattamente come doveva essere, ma proprio quando aveva già deciso di ritornare alle cose importanti notò in mezzo alla folla un viso familiare, il viso di uno dei suoi tanti figli. Uno che Le era caro come tutti gli altri, ma che per ragioni che non ricordava nemmeno più sentiva di aveva perso di vista tanto tempo addietro. In un attimo, che per chi deve essere dappertutto e provvedere a tutto è un tempo sufficiente per cambiare anche il corso di una vita, prese una decisione.<br />
<br />
Nell'assoluta immobilità della piazza un gabbiano si alzò nell'aria. Seguendone d’istinto il volo, lo sguardo di un uomo, un uomo che veniva da un paese così lontano che alla mattina il sole dovevano mandarglielo a dorso di mulo, incrociò una mano che da una specie di cornicione lo invitava a salire. Senza sapere neppure perché, l’uomo si afferrò a quella mano. Altre mani si unirono alla prima, issandolo a sedere, mentre gente che non aveva mai visto in vita sua gli sorrideva e si stringeva per fargli spazio. Proprio come si fa spazio ad un amico che si unisce alla tavola. Non senza aver rischiato di precipitare più di una volta, la balconata trovò infine una certa stabilità, giusto mentre il profeta interpellato da Almitra iniziava a parlare. Dal luogo da cui sorveglia il mondo anche la Sorte sorrise, poi tornò finalmente ai suoi doveri incombenti.<br />
<br />
La barca su cui era salito il Profeta stava ormai per scavalcare l’orizzonte, ma la gente esitava ancora ad abbandonare quella giornata speciale. Dal fondo della piazza un uomo, un uomo che nessuno si ricordava di aver mai visto lì prima d'ora, avanzava lentamente tra la calca. Arrivò fino quasi al molo e poi si sedette all'ombra di una delle case che vi facevano ala. Tranquillamente, come uno che e' arrivato esattamente dove doveva arrivare, aprì la sua bisaccia ed estrasse dei fogli su cui erano scarabocchiati i conti dei suoi affari. Strappò quella parte della sua vita con un gesto deciso, e, su quello che rimaneva, prese a scrivere con mano ferma nel suo alfabeto. Passò del tempo, e quando interruppe il suo lavoro e alzò lo sguardo scoprì di trovarsi al centro di un gruppo di astanti. Tra di essi la veggente, la donna che aveva parlato per prima al profeta, che si fece avanti.<br />
"Mi serviranno altri fogli" le disse lui, semplicemente. Lei annui. In qualche modo, qualcuno li avrebbe portati. Lei non sapeva leggere l'alfabeto, ma sapeva comunque cosa avrebbero raccontato gli strani segni che l'uomo andava tracciando. Era l'addio di un profeta, e cominciava pressapoco così: "Disse allora Almitra, Parlaci dell'Amore. E lui sollevò il capo e guardò verso il popolo, e scese una grande quiete. E con voce intensa, disse: quando l'amore vi chiama, seguitelo..."<br />
<br />
La vanità, si dice, e' il più grande di tutti i peccati. Eppure, negli anni, la Sorte non poté non sentirsi particolarmente compiaciuta di quanto aveva concorso a far accadere ad Orfalese. E di quel contadino che, diventato cronista e poi apostolo, aveva compiuto la sua Via e tramandato alle generazioni future le parole di un Profeta. Certo, Lei aveva solo alzato in volo un gabbiano: la Sorte non può di certo spingere un cuore a porgere una mano ne' un altro ad afferrarla. Nessuno lo può, perché spetta a ciascun uomo la scelta di ascoltare il proprio cuore oppure di ignorarlo.<br />
<br />
Eppure, pensò in un pensiero rivolto all'insù, quante volte senza un suo intervento questi cuori restano sordi e muti gli uni agli altri... E quali magnifiche opere un uomo come tanti può realizzare, con giusto un po' di fede ed una mano che gli viene in aiuto.<br />
La sorte sorrise e, forse, dall'alto anche la Mano Che Ha Scritto Tutto sorrise con lei.<br />
<br />
PS il Profeta di questa storia è quello di Kahlil Gibran, http://it.wikipedia.org/wiki/Khalil_Gibran<br />
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<span style="color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif;"><span style="font-size: 15.4px;">"Con un piccolo aiuto"</span></span><span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;"> by </span><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html" style="background-color: #fff9ee; color: #888888; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px; text-decoration-line: none;">Fabrizio Burlone</a><span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;"> is licensed under a </span><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/" style="background-color: #fff9ee; color: #888888; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px; text-decoration-line: none;"><u>Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</u></a><span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;">.</span><br />
<span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;">Permissions beyond the scope of this license may be available at </span><a href="http://birdcosi.blogspot.com/" style="background-color: #fff9ee; color: #888888; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px; text-decoration-line: none;">http://birdcosi.blogspot.com/</a><span style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: "georgia" , "utopia" , "palatino linotype" , "palatino" , serif; font-size: 15.4px;"></span><br />
<br style="background-color: #fff9ee; color: #222222; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px;" />
<a href="https://lh5.ggpht.com/-C0XOup01E3M/UNhlcwvVHbI/AAAAAAAAEjM/OfU2Kg8SB4g/s1600-h/image%25255B2%25255D.png" style="background-color: #fff9ee; color: #888888; font-family: Georgia, Utopia, "Palatino Linotype", Palatino, serif; font-size: 15.4px; text-decoration-line: none;"><img alt="image" border="0" height="35" src="https://lh4.ggpht.com/-Na_XyTVdv8I/UNhlePGj3kI/AAAAAAAAEjU/b-JTrjWfFUo/image_thumb.png?imgmax=800" style="background: none rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-shadow: rgba(0, 0, 0, 0.1) 1px 1px 5px; display: inline; padding: 0px 0px 5px; position: relative;" title="image" width="92" /></a><br />
<br />Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-8346296659783891462009-08-25T00:18:00.001-07:002010-02-27T07:21:00.454-08:00The Virgininans<div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iGONhx0II/AAAAAAAAByc/rAb6V2Pe9KM/s1600-h/virginiani.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iISJVSNdI/AAAAAAAAByg/hejpCMQ8QY8/s1600-h/virginiani_c.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="313" src="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iISJVSNdI/AAAAAAAAByg/hejpCMQ8QY8/s400/virginiani_c.jpg" width="400" /></a></div>Everybody is in place, now, keeping an eye on me and another one on the open ground in front of us. Raising my right hand, well, wing, I point Norfolk, Richmond and Danville, assigning them to the usual scouting routine. A faint movement into the thick and they're gone. Good. Now we just have to wait, which makes some time for a brief introduction. This is the Bobwhite Quail Search & Rescue (CSAR) Team Number Four. I'm in charge of it. We're all tenth.. eleventh... whatever.. generation Virginian immigrants. Decades have passed since our great, great, grandparents were stolen from US flatlands and brought here to serve as shooting targets. I've never been to Virginia, none of us has, but we still feel a strong sense of belonging. I'm not putting any blame on anyone for what has happened. Not anymore. It was another time and to a certain degree another place. We've gotten over that, and we think of this place as "home" by now. And it's not a bad place. It's a vast plateau, rich in moors, wastelands, meadows, woods and groves. Some birds migrating from Africa told us it looks like the savannah. They were probably only trying to impress us, but we've picked up the word. And the term used in Southern Africa as well: "veld". Which is even more fitting, as far as I've been told. From our place you can see a wide mountain range (some peaks look quite amazing), there aren't too many humans settlements and we've not seen a pack of hunters for ages. Don't get me wrong, this is no holiday resort. You can still get yourself killed in a road accident, chased by a bird of prey, eaten by a fox or a weasel. Shot "by mistake", attacked by a dog, caught in a trap. Your eggs and your chicks are no safer than in any other place. Summarizing, you're still in the dungeons of the food pyramid. But, like I told you, it is the place we like to call "home".</div><div>Let's get back to the point, now. Perhaps you have never seen any of us. Actually you're not supposed to, we're spooks. However, we're half way between a Partridge and a Quail, both in size and weight. Let's say 25 cm and 200 grams. In my opinion we look like Partridges, what sets us apart is our black and white striped cap. Seeing is understanding, but, again, it's highly unlikely you'll get even a glimpse of us. We're spooks. </div><div><br />
</div><div>The boys are back, two of them at least. Norfolk is still missing. After a short while we hear his whistle coming from the other side of the clearing. I whistle back, then we move on. That's right, our whistle can be of some help for you. It is unmistakable. You still won't see us, but at least you know we're there. We're right in the middle of the clearing now, but not an easier target yet. Unless you can fly of course. Or, unless you hunt by smell. Or.. well, I don't feel comfortable at all out in the open now. I would be sweating if I could. But this is the fastest way, and this time faster is better than safer. We cross the low grassland on the run, few seconds of sheer panic. Just kidding. Then we're again in the thick, that unfortunately is not that thick hereabouts. <span style="background-color: white;">Norfolk </span>just rejoined the group; we keep moving fast among ferns, brooms and heathers. <br />
"Buzzard!" Richmond whistled. <br />
"Freeze!" I call. <br />
All of a sudden nothing is moving at ground level. Just some greenery waved by the wind and the shade of a large bird of prey circling high above. We stay motionless for something around a couple of minutes, while the buzzard flies away. </div><div>"Move!" And we move on, again. </div><div><br />
</div><div>We're getting close to the human reserve. We ain't gonna enter it, but we have to walk around the border. Which is dangerous enough. A few days ago humans cleared a large slice of land. Their purpose is far beyond my understanding, but as an immediate consequence a small number of our families has been cut off from the rest of us. Which makes for a very dangerous situation. I can understand that at least. Well, we're gonna fix it. <br />
Something moving just on the verge of my peripheral vision.<br />
"Halt! Regroup!" I call.<br />
Actually I'm not really "calling", you don't wanna make yourself heard when you're hanging around in a hostile territory. Most of the time we communicate through hands, well, wing gestures. This one was a wing raised and waved in a circle. The squad gathers quickly.</div><div>"Predator..", I whisper "..four legs, good size." <br />
"Dog?" <br />
"Nah. Smaller, faster. Cat most likely."<br />
Now we proceed in close formation, on the alert. It takes close to no time to obtain a clear identification, since in a matter of seconds the cat jumps right in the middle of us. As per our standard response to a ground-to-ground attack, we take off, picking up a route at random. Then we land within a hundred yards or so and finally we regroup by marching. Generally speaking, cats encountered so close to human settlements are not a problems for trained soldiers. Most of the time they're not hunting for food, they just wanna play. So, if you're very quick at disengaging they'll just look for another toy, and that's it. We're marching along the border of the wide opening now. Scouts have reported a small ditch running across the clearing. We'll run over the open ground, relying on the cover of the ditch in case. </div><div><br />
</div><div>So far, so good, I should say. We're in the bush again. We've spread out as thin as we can to cover the largest portion of terrain. Sooner or later we will pick up a lost call from the kids or perhaps a rally call from the parents. In the meantime we do what troopers all around the world do for most of their time: we keep marching. A whistle on my left: Fairfax, I guess. We go for that. Private Firefax is waiting for us under a thorn bush. <br />
"There" He points. <br />
"Good work man." I congratulate him "C'mon folks, straighten up and try to look like soldiers." We put together a sort of reassuring parade and move on into the umpteenth clearing. Under a large oak tree a mother hen is delivering some kind of lecture to a group of kids. That's the outlook at least, but now everyone is just staring at us. Time to make a speech. <br />
"Good afternoon, Ma'am We.. ehm..err.. We're the Search and Rescue Team Number Four and we're here to ehmm.. search and.. rescue. You. All" <br />
Ok, public speaking is not my job.<br />
"Well done, boy" - she answers back - "You've found us. Now shut up and let us finish our class."<br />
A good soldiers knows when it's time to fight and when it's time to run. So we pull out into the thick grass waiting for our turn. I can see a very tough job ahead of us to bring our folks back to safety. But that's what we're trained for. </div><div>We're infantry, we lead the way. Follow us!. </div><div><br />
</div><div></div><div>Down in the moors, not very far from there, the quick brown fox jumps over the lazy dog. But that's nothing to do with us. </div><div><br />
<h2>I Virgininiani.</h2><br />
Tutti in posizione: un occhio su di me e uno sul terreno aperto che ci sta di fronte. Alzo la mano, beh, l'ala destra e punto Norfolk, Richmond e Danville, assegnando a loro il solito giro di esplorazione. Un movimento appena percettibile tra i cespugli e sono andati. Bravi ragazzi. Adesso c'è solo da aspettare, il che ci lascia un po' di tempo per una breve presentazione. Siamo la Quarta Unità di Ricerca e Soccorso (CSAR) dei Colini della Virginia. Io sono l'ufficiale in comando. Siamo la decima.. undicesima.. quello che è... generazione di immigrati Virginiani. Sono passate intere decadi da quando i nostri bis, bis, bisnonni<br />
sono stati portati via dalle pianure americane per finire qui a fare da bersagli<br />
da tiro a segno. Io non ho mai visto la Virginia, nessuno di noi ci è mai stato, però ci sentiamo ancora fortemente Virginiani. <br />
Non biasimo nessuno per quanto ci è accaduto, è stato in un altro tempo e in un certo qual modo anche in un altro luogo. E' una cosa che abbiamo superato da una vita, e ormai quando pensiamo a "casa" pensiamo proprio a questa terra. E non è una brutta casa. E un vasto altopiano, ricco di prati, incolti, brughiere, boschi e boschetti. Alcuni migratori dall'Africa ci hanno detto che assomiglia alla savana. Probabilmente stavano solo cercando di impressionarci, comunque abbiamo imparato la parola. E anche "Veld", che è il termine usato nel Sud dell'Africa e, sempre stando a quanto ci hanno detto, è ancora più calzante. Si vede anche una vasta catena di montagne da qui (alcune vette sembrano veramente straordinarie), non ci sono troppi insediamenti umani e non abbiamo incontrato un cacciatore da secoli. Intendiamoci, non è un villaggio vacanze. Puoi ancora lasciarci le penne in un incidente stradale. O catturato da un uccello da preda, o divorato da una volpe o da una faina. Sparato "per sbaglio", attaccato da un cane, preso in una trappola... Le uova e i pulcini non sono più al sicuro che altrove. Riassumendo: sei ancora nella cantina della piramide alimentare. Ma, come ho detto, questo è il posto che a noi piace chiamare "casa".</div><div><br />
Torniamo alla presentazione. Dubito ci abbiate mai visti. A dire il vero non ci si aspetta che possiate farlo, noi siamo ombre. Comunque, siamo una via di mezzo tra una quaglia e una pernice. Diciamo 25 centimetri per 2 etti di peso. Secondo me però assomigliamo di più alle pernici. Quello che ci distingue è il nostro caschetto a strisce bianconere. Vedere per credere, ma, ripeto, non è che mi aspetti che ci riusciate. Siamo ombre. <br />
<br />
I ragazzi sono ritornati, due di loro almeno. Norfolk non c'è. Dopo un attimo sentiamo il suo fischio arrivare dall'altra parte della radura. Rispondo e ci muoviamo. Ecco, il nostro fischio può esservi di qualche aiuto. E' inconfondibile. Continuerete a non vederci, ma almeno saprete che siamo nei dintorni... <br />
Siamo nel bel mezzo della radura ormai, ma ancora piuttosto coperti. A meno che uno non sappia volare, ovviamente. O cacci a fiuto. O anche.. Accidenti, adesso non mi sento più per nulla a mio agio. Sarei tutto sudato, se potessi. Ma questa resta la via più veloce, e per una volta la rapidità di intenvento è più importante della sicurezza. Attraversiamo l'erba bassa di corsa, dieci secondi di paura. Scherzavo. Poi siamo di nuovo nel folto, che sfortunatamente da queste parti non è cosi folto. Nel frattempo Norfolk si è riunito al gruppo. Avanziamo velocemente tra erica, felci e ginestre. </div><div>"Poiana!" fischia Richmond.</div><div>"Fissi!"</div><div>Ogni azione sul terreno viene bruscamente interrotta, congelata. Non si muove più niente, a parte un po' di verdura che si agita nel vento e l'ombra di un grosso uccello da preda che vola in cerchio più in su, in alto. Restiamo immobili per un paio di minuti buoni, mentre la poiana prosegue per la sua strada. </div><div>"Muoversi!" Ci muoviamo.<br />
<br />
Siamo arrivati nelle vicinanze della riserva umana. Non dobbiamo entrarci, solo girarci tutto intorno, il che costituisce comunque un rischio fin troppo grande per i miei gusti. Alcuni giorni fa gli umani hanno ripulito una vasta fetta di terreno. I loro disegni vanno come sempre ben aldilà delle mie capacità di comprensione, ma come conseguenza immediata la cosa ha di fatto tagliato fuori dal gruppo alcune delle nostre famiglie, mettendole in una gran brutta posizione. E questo lo posso capire. Bene, ce ne occuperemo noi. <br />
Qualcosa si è mosso, proprio sul bordo della mia visione periferica. <br />
"Stop! Raggrupparsi!" ordino. <br />
A dire il vero non sono "ordini" nel senso comune del termine, di quelli urlati, intendo.. Non è una buona idea farsi sentire chiaro e forte quando ci si trova in territorio ostile. Il più delle volte comunichiamo tramite un codice a gesti, in questo caso mano, beh, ala, alzata e ruotata in cerchio. La squadra si raggruppa velocemente. <br />
"Predatore" bisbiglio "quattro zampe, discrete dimensioni". <br />
"Cane?"<br />
"Nah.. Più piccolo, più veloce. Probabilmente un gatto.</div>Avanziamo in formazione compatta, sul chi vive.. Non ci vuole molto per ottenere un'identificazione più precisa, visto che dopo pochi secondi proprio un gatto piomba nel bel mezzo del gruppo. Come da procedura di reazione standard contro gli attacchi da terra-terra, schizziamo in volo pigliando una direzione a caso. Quindi atterriamo entro un centinaio di metri circa e ci raggruppiamo più avanti, a piedi. In genere i gatti incontrati nelle vicinanze degli insediamenti umani non costituiscono un problema per un soldato addestrato. Il più delle volte vogliono solo giocare e se uno è molto, molto veloce a sganciarsi il gatto si cerca un altro gioco e la cosa finisce lì. <br />
Proseguiamo lungo il bordo dell'apertura. Gli esploratori hanno trovato un fosso che la percorre per tutta la sua larghezza. Attraverseremo lì, contando sulla copertura del fosso in caso di necessità. <br />
<div><br />
Fin qui tutto bene, direi. Siamo di nuovo nella boscaglia, ci siamo allargati il più possibile per coprire una maggior porzione di territorio. Presto o tardi dovremmo sentire uno dei richiami di abbandono dei piccoli o un richiamo di adunata di un adulto. Nel frattempo facciamo quello che fa la fanteria di tutto il mondo per la maggior parte del tempo: marciamo. Un fischio alla mia sinistra: Fairfax, mi pare. Andiamo da quella parte, ci sta aspettando nel bel mezzo di un roveto. <br />
"Là.." Indica.<br />
"Ottimo lavoro, ragazzo. Avanti, gente, datevi una sistemata e cercate di assomigliare a dei veri soldati. " <br />
Mettiamo insieme una formazione approssimativamente rassicurante e avanziamo nell'ennesima radura. Al riparo di una grande quercia mamma chioccia sta tenendo una qualche specie di lezione. Almeno, questo sarebbe il colpo d'occhio, anche se adesso si sono fermati tutti e stanno guardando noi. Probabilmente dovrei dire qualche cosa..<br />
"Buon pomeriggio, signora. Siamo ehm..err.. la Quarta Unità di Ricerca e Soccorso e.. siamo qui per ehm.. trovare e... e soccorrere. Voi. Tutti."<br />
Ok, tenere discorsi non è il mio mestiere..<br />
"Ben fatto, figliolo." - risponde mamma chioccia - "Ci avete trovato. E adesso statevene buoni e lasciateci finire la lezione, va bene?"</div><div>Un buon soldato sa sempre quand'è il momento di combattere e quando è quello di ritirarsi. Pertanto, ci ritiriamo in buon ordine sotto alle frasche, aspettando il nostro turno.. Prevedo un duro lavoro per riportare a casa la nostra gente. Ma in fondo è proprio per questo genere di cose che ci addestriamo.<br />
Noi siamo la fanteria, apriamo la strada. <br />
Seguiteci!</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-13415753898269062362009-08-22T12:40:00.001-07:002010-08-03T02:54:13.555-07:00Agosto da Pellegrino<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3hssU-AmrI/AAAAAAAAByM/HBZRzo29kog/s1600-h/pellegrino_x.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="310" src="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3hssU-AmrI/AAAAAAAAByM/HBZRzo29kog/s400/pellegrino_x.jpg" width="400" /></a></div>Dino era falco di città. Si era trasferito in centro anni addietro, e non se ne era mai pentito. Tutto quanto a portata di mano, un ambiente ben tenuto, parchi, giardini, vicini che dopo un po' li conosci tutti e tutti conoscono te eccetera.. Da casa sua, proprio accanto alla basilica, il panorama dei tetti del centro storico poi era uno spettacolo. Certo, suo cugino di Roma aveva di dirimpetto una basilica ben più importante e vicini di casa più, come dire... altolocati. Ma qui c'era meno traffico, meno confusione, meno pericoli..<br />
La città, piccola o grande, però ha pure i suoi inconvenienti, e uno in particolare di questi tempi gli stava togliendo anche il sonno. Miii, ma che caldo! Ma come si fa? A parte che tra muri e selciato è come campare in mezzo alle rocce, che già fa qualche grado in più di suo. E se provi a ne scappartene in alto, il caldo ti viene su dal di sotto a farti compagnia. A parte i condizionatori, le auto, i cantieri tutte quelle altre alzate d'ingegno che d'estate non fanno altro che aggiungere calura a calura, fuori.. A parte che erano giorni che non c'era un filo di vento, neanche oltre ai tetti delle case, neanche a pagare. A parte tutto, miii.. ma che umidità. Ci volevano i polmoni di un pesce, o almeno di una rana per respirare. Da ammattire. Sono le risaie, non ci puoi fare niente, gli dicevano. E invece ci poteva fare qualcosa sì, perdinci. Poteva andare al mare. Suo cugino, il Falco Della Regina, già ci stava. Aveva fatto nido su di un isola in un piccolo arcipelago, un poco più a sud. "Tu t'hai da venirmi a trovare" gli raccomandava sempre "Sole, mare, aria bona, oh che tu voi d'altro? E fermati qualche giorno, dico, 'un siamo mica in capo al mondo..." Bene, quest'anno l'avrebbe preso in parola. <br />
E così era partito con le prime termiche della giornata, era salito in alto in alto e poi si era tuffato verso il mare. Andando a quasi a sbattere conto un muro di altri volatili ancora prima dell'appennino. Sali di quota, scendi di quota, vira a dritta, vira a sinistra: inutile. Era come volare in stormo, una cosa inconcepibile. Si marciava ancora, però che pa... che seccatura, volevo dire. Un po' per ammazzare il tempo, un po' per curiosità, attaccò bottone con un gabbiano alla sua destra. "Ma ci sono già le migrazioni, quest'anno?"<br />
<div>"Le migrazioni?" rispose l'altro? "Uè , ma da dove vieni? Dalla val brembana?"</div><div>"No, è che non me ne intendo molto, sa, io sto in città.."<br />
<div>"Ma perchè, ti sembro un campagnolo, io, testina? Io abito in darsena, se permetti, a Milano. Quindi non venire a fare lo splendido con me, hai capito?"</div><div>"No, no, per carità.. E' solo che mi chiedevo che cosa ci facessero qui tutti questi uccelli.."</div><div>"Son venuti a pettinare le bambole, no? Perchè tu che ci fai?"</div><div>"Veramente io sto andando a trovare un mio amico, al mare..."</div><div>"Bravo, Leonardo, e magari visto che è agosto, fa caldo e il mare è proprio qui davanti, anche gli altri stanno andando a trovare qualcuno al mare, o magari stanno andando al mare e basta, no?" </div><div>"Tutti quanti?"</div><div>"No, solo i primi cinque davanti. Gli altri non sapevano cosa fare e si son detti, andiamo a vedere dove vanno questi cinque qui. Poi la voce si è sparsa, un curioso tira l'altro... Tutti quanti, certo. Ma da dove vieni te le ferie non le fanno?"</div><div>"E' solo che non mi aspettavo tutta questa calca..." </div><div>"Eh già, perchè al mare ci vuoi andare solo tu, d'estate. Senti, la conversazione è interessante, ma io devo girare che ho la titti, la simo e la lella che mi stanno già aspettando, giù a Varazze. Ci vediamo in giro, eh?"</div><div>"Va bene, e grazie per l'informazione.."</div><div>"Un piacere, simpaticone. E stammi bene, eh.."</div><div>Detto questo piegò d'ala e sparì tra folla. Solo allora Dino si accorse che avevano finalmente superato l'appennino e di fronte a loro, immenso, si apriva il mare. La maggior parte del traffico stava defluendo verso ponente, un altra bella fetta verso levante e pochi, veramente pochi, lo seguivano in linea retta verso il mare. Normalmente non l'avrebbe fatto neanche lui, ma se restava ancora altri dieci minuti in coda finiva che ammazzava qualcuno. </div><div>Dopo qualche ora di volo, faticoso ma fondamentalmente tranquillo, comparvero finalmente i primi scogli dell'arcipelago di destinazione. E alla fine le isole stesse. Miii.. ma che ressa. </div><div>E non solo di uccelli questa volta, ma anche, e soprattutto, di umani: ogni spiaggia, spiaggetta, lembo o striscia di sabbia, terrapieno, prato, praticello, scoglio piatto, scoglio quasi piatto, spianata, pontile, galleggiante, insomma, qualunque superficie anche solo parzialmente adatta a distendersi ospitava un carico umano impossibile. C'erano umani bianchi, rosa, rossi, marrone e neri. A strisce colorate e in tinta unita. Grossi, piccoli, medi, maschi, femmine, giovani, anziani, c'erano tutti, non mancava proprio nessuno. E dove, per motivi di spazio, non ci stavano loro, ci stavano i gabbiani. Mii.. quanti gabbiani: comuni, reali, corsi, glauchi, corallini, tridattili, gabbianelli, gavine, zafferani, mugniaiacci.. beh, forse ne ho messo qualcuno di troppo. Ma è anche facile che me ne sia dimenticato qualcun altro, quindi andiamo alla pari. E garzette, nibbi, falchi pellegrini, della regina, gheppi, sterne, e solo per parlare di quelli avvistati così, a colpo d'occhio. Scoraggiato da quell'imprevista difficoltà, Dino si posò sull'unica roccia rimasta libera, praticamente a pelo dell'acqua. E la roccia, facendogli quasi venire un infarto, tirò fuori la testa e protestò. </div><div>"Senti, bello, vabbè che non pesi niente, ma almeno chiedere prima di allargarti ti sembrava proprio così brutto?"</div><div>"Ma tu parli!" esclamò Dino.</div><div>"Se parli tu, bello, perchè non dovrei farlo io."</div><div>"Beh, una roccia.."</div><div>"Roccia a chi, bello? Io sono una tartaruga."</div><div>"Una tartaruga! Ma certo! Ne avevo sentito parlare, ma non ne avevo mai viste.."</div><div>"E invece eccomi qui, bello: tartaruga comune, caretta caretta. Senti, bello, conti di rimanere appiccicato alla mia schiena ancora per tanto? Non per farla difficile, bello, ma io lì avanti devo proprio andare sotto, altrimenti ciao pranzo e ciao cena. "</div><div>"No, no, scusa. Stavo solo riordinando le idee, sai non mi aspettavo tutta questa confusione.."</div><div>"Ah, ma qui è sempre così in stagione. E' il bello di agosto, bello."</div><div>"Se sembra bello a te.."</div><div>"Ma certo che è bello, bello. E' l'estate: gente, musica, casino, sole e mare. Dura quel che dura, una settimana, due. Tre se sei fortunato. E poi torni al tuo profilo. Ma se te la sei giocata bene, bello, ti resta dentro tutto l'anno."</div><div>"Ma tutta questa gente.." </div><div>"Non morde, bello. Buttati a pesce. Magari ne riesci anche a tirarne fuori qualcosa. Gira, vai sul pezzo, chiedi. Sei qui da solo?"</div><div>"Ho un cugino che abita da queste parti, ma non sono sicuro di riuscire a trovarlo."</div><div>"Provaci, bello, le dritte degli indigeni sono sempre di primissima. E se non ce la fai, torna qui che te ne do qualcuna io."</div><div>"Sei di qui?"</div><div>"No, bello. Sono nata su un isola così lontana che se te lo dico ti vengono le penne bianche. Ma ci vogliono ancora un sacco di anni prima che mi tocchi di tornare al nido. E nel frattempo, l'estate me la faccio qua, sulle onde, da quando sapevo ancora di uovo."</div><div>"Ma c'è qualche posto un po' più quieto?"</div><div>"Certo che c'è, bello. Adesso ti dico, ma poi tu ti scolli e te lo vai a cercare, vale?"</div><div><br />
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</div><div>"E così mi sono trovato un posticino niente male: una caletta un po' fuori mano, ma in cinque minuti ero da mio cugino. Alla mattina si andava a pesca, dovrei dire a caccia ma lì ovviamente tutto quanto sapeva di pesce. Di pomeriggio ce ne stavamo tranquilli tranquilli, al fresco, sotto alla brezza. Come dei signori. Alla sera: cena, un po' volo di gruppo, un po' di relazioni pubbliche e se non si combinava niente di interessante a nanna."</div><div>"Tutto riposo, quindi" domandò il vicino. </div><div>"Direi di sì. Di cose da fare e da vedere ce ne erano, ma avevo proprio bisogno di rilassarmi un tantino. Verso fine mese poi sono arrivati i temporali che davano il segnale di fine stagione, e sono rientrato. Si sta bene anche qui, adesso."</div><div>"Beh, sembra proprio un bel posto. Magari l'anno prossimo ci vado anche io."</div><div>"Magari. Io ho conservato qualche indirizzo, magari facciamo un gruppo, no?"</div><div>"Potrebbe essere una buona idea. Beh, comunque manca un anno, e nel frattempo ho del lavoro da sbrigare. Ci vediamo.. ". </div><div>"Ci vediamo, e salutami a casa..". </div><div>Dino si soffermò un attimo a guardare il vicino che si allontanava, poi il suo sguardo fu attratto dalla cupola. Era bello anche essere a casa, oggi. Era tutto un po' più bello. </div><div><br />
</div><div>Quindi, che le abbiate fatte, che le dobbiate fare o che le stiate facendo, buone ferie. E se per quest'anno si salta, buona estate comunque, e speriamo che l'estate ci tenga compagnia anche per tutto l'inverno..<br />
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Clicca <a href="http://dl.dropbox.com/u/1408885/Agosto%20da%20Pellegrino%20xa%26a.pdf">qui</a> per scaricare il racconto in formato .pdf<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TFfkcMjQJqI/AAAAAAAACkI/YFUo5wLWuvE/s1600/cc_full_solo_io.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" bx="true" height="166" src="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/TFfkcMjQJqI/AAAAAAAACkI/YFUo5wLWuvE/s320/cc_full_solo_io.png" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><strong><span style="color: #990000;">Illustrazione di Eugenio Bausola</span></strong></div></div><div></div></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-62844249461205051602009-07-26T05:54:00.001-07:002023-12-06T01:59:16.379-08:00Lodolaio R2<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iJCwTMCBI/AAAAAAAAByk/PWSciCHHUhc/s1600-h/lodolaio.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="311" src="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iJCwTMCBI/AAAAAAAAByk/PWSciCHHUhc/s400/lodolaio.JPG" width="400" /></a></div>Sono un Lodolaio, Falco Subbuteo se preferite, uno dei più piccoli rapaci diurni europei. Trenta centimetri dalla punta del becco alla fine della coda, una settantina di apertura alare e meno di due etti peso. Ma, soprattutto, una macchina per il volo ASSOLUTAMENTE perfetta. Non sono facile da vedere, ma neanche impossibile. Adesso, ad esempio, sono qui su di uno dei miei posatoi preferiti intento al pre-flight check quotidiano. Il controllo prima del decollo, come lo chiama un mio amico. Si parte dal piumaggio. Il colore mi sembra perfetto, ha la sua importanza anche come indice del mio stato di salute. Dorso grigio-ardesia, petto chiaro fortemente striato di grigio. Ardesia. Nero. Quello che è... Calzoni e sottocoda color ruggine. Cappuccio scuro, base del becco e zampe sul giallo. Punta del becco scura, mustacchi ben definiti, scuri. Guance bianche. Anche questa mattina direi che è tutto a posto. Ho un po' di piume da sistemare sul davanti, ma questo si aggiusta in un attimo. Tocca alle ali: le distendo, con calma. La copertura è pulita, le remiganti si muovono agevolmente. Batto un paio di volte, sento i pettorali che si gonfiano, il battito cardiaco che accelera. La portanza è buona, la spinta è potente. Tutto bene. Ruoto il collo a dritta e a manca e ne approfitto per controllare anche il movimento delle timoniere della coda. Tutte luci verdi. Bene, direi che sono pronto, ora c'è solo da attendere l'occasione. Rondoni in alto a ore 2. Troppo presto, meglio fare un po' di riscaldamento, prima. <br />
<br />
Salto. Mi raccolgo, ma non troppo, per prendere un po' di velocità in discesa. A un metro e qualcosa da terra ruoto le ali in una mezza cabrata. Mi stabilizzo e proseguo in volo battuto, teso. In questa fase i miei movimenti assomigliano parecchio a quelli dei rondoni di cui dicevo prima, il che mi fornisce una certa mimetizzazione. Sento il vento di corsa sulla faccia, lo avverto scivolare sulle piume, sostenere il mio peso come una specie di magia. Inclinando le ali eseguo un paio di virate e controvirate, per il puro gusto di farlo. Accumulo un po' di quota, è troppo presto per le termiche quindi salgo a forza di braccia. Si fa per dire. Livello, giro un po' in planata piatta quindi, di già che ci sono, aggiungo un paio di tonneau e una mezza S. Va bene che è solo un riscaldamento, ma nulla vieta di divertirsi. Scendo in progressione fino all'altezza del posatoio, spalanco le ali all'ultimo momento, che sembra quasi che mi stia per schiantare. Zampe avanti, afferro il ramo e sono arrivato. Tonificante. Potrei quasi dire "esaltante", non fosse che tutto sommato è solo un volo di routine..<br />
<br />
Occupiamoci degli affari, allora. Con una vista a 10 ingrandimenti, da qui ho tutto il mondo a portata di mano. Ci sono sempre i rondoni. Potrei salire in quota, attendere l'occasione e poi attaccare sulla picchiata. Non sarò un pellegrino, ma è un trucchetto che viene bene anche a me. Però non è il massimo con i rondoni, perchè sono bestie che sanno volare. Ed è anche una tecnica piuttosto noiosa, salire, aspettare eccetera. Forse quei colombacci laggiù, nell'altro campo. Quella sì che sarebbe una buona caccia. I colombacci tendono a fare il nido nei dintorni di dove io ho fissato il mio. Fanno conto sulla mia protezione nei confronti di gazze, cornacchie eccetera. Difendendo i miei piccoli, difendo anche i loro. Qualche volta, in cambio, mi faccio offrire la cena. Il buonsenso mi dice i rondoni, ma visto che decido io, credo che andrò per i colombacci. Basta pensarla bene. <br />
<br />
Salto. Le ali restano semichiuse, a portanza minima. Raccolgo tutta la velocità possibile. Esco dalla mini picchiata con fluidità, conservando il momento. Scivolo d'ala verso dritta e in un lampo sono sparito. Sto volando in un fossato, a pelo d'acqua, al di sotto del livello della campagna circostante. Micidiale! Proseguo a volo battuto, mettendoci tutta la forza che ho. Non devo alzarmi, devo rimanere nel tunnel. Adesso arriva il difficile: virata a coltello. Effettuo una rotazione sull'asse fino a portare le ali aperte in verticale, a perpendicolo sul terreno. La punta dell'ala in basso fa da perno. Sento l'accelerazione centrifuga che cerca di portarmi via mentre la traiettoria piega a sinistra. Quanti G causerà una manovra come questa? La portanza diventa totalmente orizzontale, vale a dire che l'aria non mi sostiene, ma mi trattiene. Come una pista parabolica. E' questione di poche frazioni di secondo, adesso devo livellare. Subito. Volando nella copertura offerta dal fossato non ho potuto tenere d'occhio le prede durante l'avvicinamento, ora tutto dipende dalla bontà dei miei calcoli e dalla fortuna. Sbuco come un proiettile sul terreno aperto, a poco più di un metro dal suolo. Sono veloce, maledettamente veloce: una bomba intelligente, un missile guidato. I colombacci mi vedono. Identifico un bersaglio, calcolo al volo la direzione del suo tentativo di fuga. E' troppo lento, non ce la può fare. Gli sono addosso. Protendo gli artigli, mi preparo ad assorbire l'impatto.<br />
<br />
Un lampo di luce. Poi il nero.<br />
<br />
- E allora? Cos'è successo?<br />
- Che non siamo ancora pronti con gli attacchi a terra. E' per questo che continuavamo a suggerirti i rondoni. - risponde una voce incorporea.<br />
- I lodolai sono famosi per la caccia aerea, non sono neanche strutturati per catturare prede a terra. Si possono rompere le ossa nell'impatto. Dovevi proprio fare l'originale? - rincara una seconda voce..<br />
- Guarda che vale per gli attacchi in picchiata, - protesto - non per quelli in volo piatto. Se scendi a 130 km/h contro qualcosa di appoggiato al terreno, ti si spaccano pure le tue di ossa. Il colombaccio si era alzato, e io attaccavo sulla stessa quota, non in picchiata... I lodolai metà delle volte cacciano in questo modo. Ma che te lo dico a fare..<br />
- Vabbè, comunque non eravamo ancora pronti.<br />
- Ecchecavolo! Io mi diverto di più con il volo radente. E poi avrò ben diritto ad un minimo di iniziativa, altrimenti che razza di simulatore è?<br />
- Non litighiamo, dai. A parte il blocco, come ti è sembrato? - chiede la prima voce.<br />
- Una bomba, ragazzi. Più che realistico: reale. Al 100%. Questa release spacca.<br />
- Vuoi fare un altro giro?<br />
- E come no, se c'è tempo.<br />
- Se non c'è lo simuliamo. Niente volo radente, però.<br />
<br />
Sono un Grifone, quasi tre metri di apertura alare. Sto volteggiando in una termica a due, forse tremila metri dal suolo. Sforzo zero. Sotto di me scorrono boschi e prati, forre e dirupi, nevai e morene, sentieri e strade. Campi, vigne, case e casolari. Con un movimento appena percettibile scivolo d'ala e cambio versante, con un altro supero uno spartiacque e sorvolo un altro massiccio, una diversa vallata, un fiume, una cascata. Passo un lago, giro intorno a una vetta. In pochi minuti percorro distanze che voi, laggiù, a terra, non riuscite neppure a pensare. <br />
Dite la verità: non vorreste essere al mio posto?Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-5960063634575792162009-06-11T07:49:00.003-07:002020-04-28T08:48:54.178-07:00L'agogna morta<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iJtk-YgpI/AAAAAAAABys/MMRbDVcTUBA/s1600-h/agogna_morta.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="325" src="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iJtk-YgpI/AAAAAAAABys/MMRbDVcTUBA/s400/agogna_morta.JPG" width="400" /></a></div>La prima ad accorgersene fu la carpa. Aveva in mente di dare un'occhiata a uno dei prati sommersi subito dopo la curva, a valle, ma si era impantanata che mancavano ancora un sacco di colpi di pinna per arrivare a destinazione. Era parecchio, ormai, che superare la piega dell'ansa si era fatto difficile. Restava sempre meno acqua, e oggi non ce ne era proprio più. Pensò di sguazzare nel fango fin oltre l'ostacolo, le carpe sono brave a farlo. Non come le anguille, ma se la cavano.. Però non era piacevole, e c'era sempre il rischio degli uccelli: da quando l'acqua aveva incominciato ad abbassarsi avevano imparato ad appostarsi proprio lì per acchiappare i pesci di passaggio. Poco sportivo, ma efficace. Comunque, visto che non era l'unico posto del circondario dove andare a pascolare, la carpa aveva fatto solo un bel dietro front e non ci aveva pensato più. Fino a qualche giorno dopo, quando le capitò di parlarne con la tinca. La tinca lo disse al barbo. Il barbo al persico. Il persico al luccio. Il luccio, che per lavoro viaggiava parecchio, si ricordò di aver sentito una storia simile circolare all'altro capo dell'ansa. E allora, per togliersi il dubbio, si mise le pinne in spalla ed andò a controllare di persona. Arrivato dall'altra parte trovò in effetti un banco di sabbia a bloccare la via e, in acqua, solo un gruppo di avannotti. Alborelle probabilmente, così piccole che si faceva fatica a vederle. Chissà perchè gli altri pesci lo evitavano come peste. Era lì, in piena vista, era evidente che non fosse in caccia. Bah. "Ragazzino!" Uno degli avannotti si fece avanti. <br />
"Dice a me signore?" <br />
"Sì, a te. Quant'è che non si passa più di qua?" <br />
"Da che mi ricordo io, di qua non si è mai passato, signore." <br />
"Eh?"<br />
"Questa è la fine del mondo, signore. Dove vuole andare?" <br />
"Non importa ragazzino. Grazie." <br />
<br />
Il luccio se ne tornò a valle, con la coda tra le pinne. Bisognava indagare fuori dall'acqua e, di conseguenza, fuori dalla sua portata. Avrebbe chiesto alle rane, che stanno un po' di là e un po' di qua. Prima però gli toccava convincerle che non era in caccia. Che fissazione! <br />
"E se fosse una diga?" <br />
"Una diga?" domandò il luccio. <br />
"Ma sì" continuò la rana, "la tartaruga mi ha detto che lungo il fiume hanno visto quei topi che fanno le dighe."<br />
"Ce ne fossero, sarebbero castori, non topi." Obiettò il topo campagnolo, che aveva visto i due chiacchierare e, incuriosito, si era avvicinato ad ascoltare. "Ma qui non ce ne sono. Nè ce ne sono mai stati." <br />
"Sicuro?" chiese la rana, poco convinta..<br />
"Siamo parenti, vuoi che non lo sappia?"<br />
"Visto che sai così tante cose, perchè non ci dai una mano?" propose il luccio? <br />
"Niente da fare, amico. In primo luogo odio l'umidità: sono topo di campo, io, non di fosso. E, in secondo luogo, di te non mi fido, luccio."<br />
"Ma che fissazione, però!"<br />
<br />
La rana ritornò già la sera successiva. "C'è poco da dire. Io e le mie sorelle ci siamo passate la voce e abbiamo fatto qualche giro... L'ansa è chiusa a monte e a valle, e non è solo una secca di traverso, è proprio sponda. Sponda sponda. Questa è una lanca adesso. Punto."<br />
"Ma il fiume può tornare?" <br />
"Io salto, ma non volo. E per dirtelo dovrei poter volare. Chiedi a un uccello."<br />
"Chiedilo tu, è certo più facile incontrarne uno per terra che in acqua."<br />
"Niente da fare amico, noi rane siamo cibo per la maggior parte di quelli che volano in alto. Cornacchie, cicogne, fai tu.."<br />
"Chiedi ad una rondone, a un balestruccio, a un gruccione..."<br />
"E quando li vedi a terra, quelli? Chiedi tu ad un airone"<br />
"E lucci e aironi sono buoni amici, secondo te?"<br />
"Ma tu sei un pesce intelligente, vedrai che un idea ti viene."<br />
<br />
In pratica fu più semplice del previsto: bastò chiederlo a una folaga, che lo chiese ad un cannareccione, che lo chiese ad un tarabusino, che per ragioni di famiglia era in buoni rapporti con un sacco di aironi, e l'incontro fu organizzato. <br />
"Per prima cosa voglio garanzia che tu non sia in caccia." incominciò il luccio.<br />
"Ma che fissazione.. hai la mia parola."<br />
"Bene. Ti chiedo di cercare una risposta per me, una risposta che può essere vista solo dall'alto. In qualche momento del tempo passato il mondo si è mosso e il nostro fiume ci ha lasciati indietro. Quello che ora abbiamo bisogno di sapere è se tornerà a riprenderci oppure se siamo rimasti fuori dai suoi pensieri, ora e per sempre."<br />
L'airone ci pensò su, e poi rispose.<br />
"Lune e lune addietro ho visto gli uomini arrivare al fiume. Avevano mezzi e strumenti, li ho visti andare, venire, scavare, riempire, abbattere e costruire tra fumi che toglievano il fiato e rumori insopportabili. Infine, se ne andarono. Ci fu una piena: forse a causa degli uomini, o forse no, il fiume cambiò direzione, tagliandosi una via diritta tra i capi dell'ansa. Poi passarono altre lune, ci furono ancora piene e secche. Ogni giorno la corrente portava un po' di terra in più sui banchi dove l'ansa e il nuovo corso si congiungevano, e ogni volta che l'acqua entrava nell'ansa lo faceva con più fatica. Noi abbiamo imparato ad appostarci lì per pescare, e devo dire che è stata una buona pesca fin che è durata. Poi, un giorno, la terra è affiorata per non essere più sommersa, e la via è rimasta chiusa. Altra terra si è posata da allora, e altra si poserà, perchè il fiume ora scorre forte e sicuro sulla sua nuova via. Non tornerà."<br />
"Quindi questo ora è un mondo nuovo, un mondo con un inizio e una fine." Continuò il luccio. "Ne dovremo parlare."<br />
<br />
Erano arrivati praticamente tutti. C'erano anche le sanguinerole, i vaironi, le lasche, i cavedani, i persici, i carassi, le scardole. C'erano le trote e le scavarde, che sono quei pesci che non si capisce bene che pesci sono.. C'erano le libellule, le lucciole, i maggiolini, gli scarabei, i rospi e le bisce d'acqua, che un po' guardavano sott'acqua e un po' sopra, per raccontare. C'erano i conigli, le lepri, le volpi, i ricci, i topi d'acqua, le donnole, si era fermato pure un cinghiale di passaggio, anche se non sapeva perchè. C'erano le nitticore, i tarabusi, le cinciallegre, i luì, i fringuelli, i codibugnoli, le capinere, i germani, le alzavole, due morette, tre martin pescatori e una sterna. E tutti gli altri abitanti del tratto di fiume che era diventato una lanca, camminassero, volassero, nuotassero o si spostassero in qualunque altro modo. Non tutti afferrarono la notizia, meno ancora ne furono preoccupati. Ma il luccio li avvertì: <br />
"Ascoltate. Io sono nato in un fontanile, tanti anni fa e molto più a monte. L'acqua era pulita, più fresca di questa, la caccia era facile: tutto sommato potrei dire che che era un bel posto. Sì, proprio un bel posto. Poi la sorgente si asciugò, nessuno ha mai saputo perchè. Sul subito non ci demmo molto peso, ma nel giro di poche stagioni il fontanile si riempì di alghe, poi si interrò. Molti fratelli pesci morirono, gli uccelli se ne andarono, il bosco cambiò e anche tanti altri animali dovettero migrare. Io mi salvai solo perchè durante un temporale fortissimo riuscii a seguire un rivolo che debordava in una risaia e poi da lì arrivai in un fosso, poi in un altro e infine al fiume. Ero più giovane, allora."<br />
"Non è detto che succeda anche qui." Obiettò un ramarro. <br />
"E poi 'poche stagioni' sono comunque un sacco di tempo, per me almeno." Proseguì una farfalla. <br />
"Possiamo sempre andare da qualche altra parte." raccomandò un cormorano.<br />
"Facile per te, che non sei neanche di qui e ci vieni solo a pescare." contestò la testuggine "ma io dove vado?" E allora il toporagno si mise a litigare con il gufo, il ghiro con la puzzola, lo scoiattolo con la gallinella, il porciglione con la schiribilla e così via. Ognuno aveva qualcosa da dire e lo diceva chiaro e forte. <br />
"Finiamola!" sbottò il luccio (e non fu facile per un pesce). "Non siamo qui per azzuffarci."<br />
"E per che cosa, allora?" domandò l'upupa.<br />
"Perchè il mondo sta per finire, ed è meglio che incominciamo a prepararci."<br />
<br />
Gli anni passarono, e le cose andarono un tantino meglio del previsto. La lanca si riempì di vegetazione strana. Ninfee e nannufari nelle acque profonde. Tife e canne di palude lungo le sponde. Queste a dire il vero c'erano già anche prima, ma molte, molte meno. I pesci fecero un buon lavoro nel tenerle a bada, e la lanca continuò a respirare. Anni di piogge abbondanti portarono più acqua di quanto quelli di siccità riuscirono a sottrarre. E poi un po' ne filtrava anche dalla falda e dal fiume. Senza una corrente che li portasse via, però, tutti i detriti finivano sul fondo, anche le foglie, i frutti, i rami degli alberi circostanti e anche le piccole frane dalle sponde, la sabbia portata dal vento, il fango delle piogge e delle piene. Alla lunga la lanca si sarebbe interrata, quello era diventato evidente a tutti. Si sarebbe trasformata in un prato, prima, e in un bosco, poi. Ma ci sarebbe voluto ancora tempo, tanto tempo. <br />
Il luccio era ormai vecchissimo, ma si era ripromesso di non morire fino a che non ci fosse stato più nulla da fare. Dei suoi vecchi amici non ne era rimasto nessuno, e i pesci, in totale, erano diminuiti di moltissimo di numero e di varietà. Solo qualcuna delle razze da fango, il pescegatto ad esempio, sembrava ancora cavarsela bene. Anzi, benone. Fuori dall'acqua non ci si poteva lamentare: tutta quella vegetazione in più aiutava gli uccelli e gli animali che abitavano nei canneti e sulle sponde. Tranne i pescatori, che avevano ormai quasi abbandonato la zona. A pochi passi dalla riva la situazione si faceva più incerta, perchè lì si stava combattendo una guerra. <br />
<br />
Quando il fiume abbandona per sempre un tratto del suo percorso, quando le acque smettono di ricoprire e dilavare periodicamente un terreno, il bosco parte alla sua conquista. Prima arrivano le piante pioniere: il trifoglio, le euforbie, il ranuncolo. Le erbacce, insomma. Di solito non sono molto belle da vedere, ma sono robuste, maledettamente robuste. Bloccano il terreno, formano il primo substrato. E a dirla tutta hanno anche loro la loro poesia.. <br />
Poi arrivano gli arbusti: i salici, il biancospino, il prugnolo, il sambuco, la robinia. Che, a veder loro, si piglierebbero tutto lo spazio disponibile; specie la robinia, che cresce, cresce, cresce. Creano l'ombra, gli spazi e il cibo per gli animali, per gli uccellini. <br />
Ma alla lunga anche gli alberi, quelli veri, arrivano per reclamare gli spazi che spettano loro di diritto. Alberi destinati a diventare gli anziani, i giganti, i patriarchi della foresta. I pioppi, le querce, gli aceri, gli ontani. <br />
E piano piano, senza fretta, il bosco si mangia tutto, anche la lanca. <br />
Così va il mondo, insomma. O meglio: andava. Prima che arrivassero gli uomini. Perchè gli uomini avevano inventato i diserbanti, che ammazzano le erbacce, ma non tutte. E gli antiparassitari, gli insetticidi. Gli uomini avevano cambiato la pianura come faceva più comodo a loro. Avevano introdotto specie nuove (anche la robinia, quella che cresce, cresce, cresce) e ne avevano eliminate altre. E, nel nostro caso, avevano pure piantato un pioppeto da taglio proprio lì, alla faccia del bosco. Anche per questo si erano impegnanti a tenere "pulito" il terreno. Pulito secondo il loro punto di vista, naturalmente. Le infestanti, che resistevano anche alle bastonate, crescevano come pareva loro. In compenso, il sottobosco, le siepi, i cespugli, tutta la vegetazione che offriva cibo e riparo insomma, veniva eliminata senza ritegno. Agli uomini non piace spartire, neanche con chi era lì prima di loro. Qua e là si inciampava in sacchi di prodotti agricoli dimenticati, parti di attrezzature obsolete, materiali dismessi, residui di lavorazione, inerti e tutte quelle altre cose che gli umani amano abbandonare in campagna. E che evidentemente non rientrano nel concetto di "tenere pulito". Poi, un giorno, una buona parte del pioppeto fu tagliata e portata via, e il posto venne dimenticato. Per mesi, forse per anni. Fino a quando un altro gruppo di uomini si fece avanti. Con zappe, badili, picconi e carriole. <br />
<br />
"E che vogliono fare, in totale?"<br />
Domandò il luccio al colombaccio, che lo teneva al corrente di quello che dall'acqua non si poteva vedere.<br />
"Non promette nulla di buono. E' un po' che li vedo girare qui intorno, quelli lì"<br />
"Bah.."<br />
"Ma dai, questo posto assomiglia già al fondo di un nido vecchio di anni, se capisci cosa intendo.. Cosa vuoi che se ne facciano gli uomini? Vedrai che getteranno giù una colata di terra nera e ci piazzeranno le scatole che usano per spostarsi. O costruiranno un altro po' dei loro nidi. O magari una di quelle mangiatoie che puzzano di bruciato.."<br />
"Speriamo di no.."<br />
"Io ti dico solo che ho già visto cose di questo genere, capitano in continuazione nei paesi qui intorno."<br />
"Speriamo di no.."<br />
Per giorni, settimane, mesi li osservarono picconare, sbancare, scavare, sterrare, scarriolare e andarsene via con il mal di schiena. Ma tornavano sempre. E, passati i primi tempi di confusione totale, la lanca sembrava migliorare invece che peggiorare. Era difficile capire cosa stessero facendo. Alcune aree sembravano lasciate alla loro sorte. Altre erano lavorate in un modo, altre in una altro ancora. Alcuni tratti li ricoprivano di erba e altre cose. Poi li scoprivano. Poi ci seminavano.. Gli uccelli, che erano quelli che potevano ammirare tutta quella giostra con maggiore facilità, erano da tempo giunti alla conclusione che quegli umani fossero completamente matti. Ma anche simpatici, in fondo. Spesso e volentieri si fermavano ad osservarli, gli umani ai pennuti, intendo. E sembravano entusiasmarsi per ogni minima sciocchezza. Anche per questo qualche volta esageravano un po' nelle solite cose, per farli contenti. I pennuti agli umani, intendo. Le stagioni passavano, il bosco ricresceva. Ma quello vero, con anche tante piante che offrono bacche in quasi tutte le stagioni, e posti dove costruire i nidi e le tane. Le cose erano davvero migliorate, per tutti. Anche per i pesci nella lanca, che sembrava finalmente aver trovato un suo equilibrio. Tant'è che un giorno il luccio, decidendo forse che finalmente non c'era più niente da fare, se ne era andato. Almeno, così si pensava, perchè in realtà nessuno lo aveva più visto e basta. Però c'era anche chi diceva che invece era ancora là, da qualche parte, nelle acque fonde.<br />
<div>La lanca è grande, dopotutto. E chi lo sa?<br />
<div><br />
</div><div>Gli umani continuavano a venire, ma più di rado. A volte arrivavano in gruppo, magari con anche i loro piccoli. Si fermavano un po' e poi andavano via. A volte arrivavano solo i piccoli, con pochi adulti. Anche loro si fermavano un po' e poi andavano via. La rondine, che era nata tra le case degli uomini e aveva imparato a a conoscerli, si abbassò verso uno di loro che era tra quelli che si vedevano più di sovente e che sembrava spesso fare un po' da riferimento agli altri. Come tutte le volte, le rammentò una cosa che vedeva da piccola sul TV della famiglia che abitava di fronte al suo nido. "Secondo me assomiglia a Peppone." borbottò. <br />
"Come?" chiese di rimando il suo compagno. <br />
"Niente. Non capiresti." </div><br />
</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-67610722286750481692009-05-28T08:57:00.001-07:002010-07-25T07:44:04.019-07:00il trucco del corvo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iKkquOmOI/AAAAAAAABy0/UU-ttXUx7wo/s1600-h/corvo.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="305" src="http://3.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iKkquOmOI/AAAAAAAABy0/UU-ttXUx7wo/s400/corvo.JPG" width="400" /></a></div>25/07/2010 - racconto modificato dopo la prima pubblicazione del 5/28/09. La versione originale è riportata al fondo.<br />
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<div class="MsoNormal"><b><span style="color: #333333; font-size: 10pt;">Prima Parte</span></b></div>Il corvo aspettava. Appollaiato sul suo solito palo della luce, aspettava. Non appena uscii nel cortile gracchiò tre volte, il che rappresentava il suo saluto, ormai l’avevo imparato. Sollevai lo sguardo e risposi con un cenno della mano, giusto per fare un po’ di conversazione. I corvi sono animali intelligenti, gli scienziati americani hanno attaccato un pezzo di carne a uno spago e lo hanno lasciato penzolare da un ramo. I corvi hanno imparato a piazzarsi sul ramo, proprio di sopra, issare un tratto di spago con il becco, bloccarlo con le zampe in modo che il carico non scenda, riacchiappare la corda un po’ più dabbasso, issare un altro tratto, ribloccare e così via, fino a prendersi la carne. E ragionandoci su, oltretutto, mica andando per tentativi, a casaccio. Sempre ammesso che sia poi vero, intendiamoci, perchè a me sembra strano che gli scienziati, con tutte le cose importanti che hanno da fare, trovino tempo e voglia per mettersi a giocare con corvi, corde e bistecche. <br />
Comunque, dicevo che qui in campagna noi ci facciamo un po’ di conversazione. Anche perché non è che ci sia molto d’altro in giro con cui chiacchierare, di solito. Però che anche quella mattina proprio quella particolare bestia fosse nuovamente lì, come la mattina precedente e quella prima ancora era piuttosto inquietante. Era un corvo come tutti gli altri: nero come il carbone dalla punta del becco a quella delle piume. Mezzo metro circa, a occhio; neanche poi tanto, tutto sommato, ne ho visti anche di 60 o 70 centimetri. Aveva anche una bella barba nera, sono le penne del sottogola che danno quell’impressione, si vedono bene quando muove la testa. Una cosa piuttosto comune. In totale, nulla che lo distinguesse a prima vista da tutti gli altri della sua razza. Eppure ero certo che fosse sempre lo stesso, che mi aspetta tutte le mattine da tre o quattro giorni a questa parte e che adesso si metterà a venirmi dietro per tutta la giornata. Non c'era un granché da farci, a parte prenderlo a fucilate. Il che non è per nulla una buona idea, perché ammazzare i corvi porta sfortuna. "Che sfortuna vuoi che ti porti?" mi aveva detto l’Antonio l’altra sera al circolo. "Se i corvi ti seguono vuol dire che puzzi già di morto. Almeno togliti la soddisfazione." E già, tutti buoni a fare gli spiritosi sui casi degli altri. Lo sanno anche i sassi che quando i corvi vengono a prendere le anime dei morti per guidarle dall'altra parte, se uno li ha fatti arrabbiare o magari li ha anche solo incontrati di cattivo umore, beh, allora la fanno perdere chissà dove, e a quel punto chi sarebbe a togliersi la soddisfazione? Magari è solo una storia e non c’è niente di vero, ma che ci spari lui ai corvi, se poi ha per davvero il coraggio di farlo. Io preferisco tenermeli buoni, e saluto, e faccio anche la riverenza per quel che mi costa.. <br />
<br />
Il contadino si avviò verso i campi, che comunque non avrebbero aspettato i suoi pensieri. A metà della mattinata si fermò per mettere qualcosa nello stomaco. Non faceva ancora caldo. L'inverno era finito, ma ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che la primavera arrivasse a prendere il suo posto. Cercò il corvo con lo sguardo, era già diventato un movimento automatico. C'era. Soddisfatto dell'occhiata ricevuta l'uccello abbandonò il suo posatoio e con pochi potenti battiti di ali attraversò il campo fino ai piedi delle colline. Prese a girare dentro alle correnti ascensionali, guadagnando quota. Era un volo lento, importante, solitario. I giovani invece li aveva visti volare spesso anche in stormi. Giocavano, si inseguivano, si sfidavano in gare di abilità che avevano forse lo scopo di conquistare il cuore delle loro future compagne, compagne per la vita. Ma per i corvi come per gli uomini, evidentemente, il tempo della spensieratezza prima o poi finiva, e quello che rimaneva era un volo lento, importante e solitario. Il trillo di un campanello lungo la strada lo scosse dai suoi pensieri. Si avvicinò alla carreggiata, ad aspettare il dottore che stava arrivando.<br />
"Dov'é?" si premurò di chiedere il nuovo prima ancora di essersi del tutto fermato.<br />
"Là, dottore." Rispose l'uomo indicando in direzione delle colline.<br />
"Dove? Ah sì lo vedo. Piuttosto lontano.." c'era più di un po' di delusione nella sua voce, mentre estraeva il suo binocolo.. "Ah ecco, un Corvo Imperiale, dunque".<br />
"Un corvo. Sì dottore."<br />
"E ti segue.."<br />
"E mi segue."<br />
"Sono animali molto intelligenti sai? In America.."<br />
"Sì, la cordicella, l'avevo letto pure io da qualche parte. Ma sarà vero?"<br />
"E non solo quello.. Hanno anche osservato che possono imparare a usare piccoli attrezzi per procurarsi il cibo che non riescono a raggiungere altrimenti. Bastoncini, rametti, cose di quel genere.. Che se trovano carogne troppo dure per loro becchi vanno a chiamare predatori più grossi che le riescano ad aprire, meglio avanzi che mai. Che memorizzano la locazione delle riserve di altri corvi per poi saccheggiarle, e che ne costruiscono di fasulle per depistare la concorrenza. Che amano giocare, fanno anche ad acchiapparello con cani e lupi."<br />
"E che seguono i contadini?"<br />
Il dottore sembrò doverci pensare su un momento. "No, di questo non ho memoria."<br />
"Magari non è cosa di scienza.."<br />
"Ah, di leggende ce ne sono fin che si vuole, i corvi sono tra gli animali più chiacchierati. Nella nostra tradizione sono normalmente associati a morti, cimiteri tombe e oltretomba. Sicuramente per via delle loro abitudini saprofaghe, si capisce. Che mangiano carcasse, cioè. In Svezia rappresentano gli spiriti dei morti assassinati,<br />
in Germania le anime dei dannati. Per contro, nel Nordest Asiatico e sulla Costa Pacifica è considerato un dio creatore e<br />
benevolo. Nel Nordeuropa due corvi sono gli occhi e le orecchie di<br />
Odino. Su e giù per le isole britanniche sono associati a dei e dee,<br />
maghi, talismani, di tutto e di più. Poi, da quando hanno girato il film dove è morto il povero Brandon Lee, il figlio di Bruce Lee, quello del kung fu, è tutto un fiorire di riferimenti e leggende metropolitane. O magari è solo che gli stai simpatico, e ti segue per quello.."<br />
"Non credo, dottore. Non sono mai stato così simpatico, e glielo dimostro subito lasciandola qui da solo e tornando al mio lavoro."<br />
"Tocca a tutti in un modo o nell'altro. Ma dato che io, invece, ho ancora qualche ora libera, ti saluto e continuo il giro. Ci si vede.." Detto questo rilanciò la bicicletta e si allontanò sul sentiero, con binocolo che non aveva riposto che sbatteva a destra e a manca ad ogni pedalata..<br />
Il contadino lo guardò arrancare per un po', poi, come promesso, tornò al lavoro. La giornata proseguì come doveva, di tanto in tanto l'uomo cercava il corvo, e da qualche parte immancabilmente lo trovava. Nel primo pomeriggio il tempo prese a guastarsi. Dalle colline scendevano sul piano nuvole basse cariche di una pioggerellina fine fine, di quelle che ti inzuppano fino alle ossa prima ancora tu possa decidere se sta per davvero piovendo o è solo umidità. Finito un lavoro che non poteva essere lasciato a metà, il contadino caricò armi e bagagli sul motocarro e prese la via del ritorno. Era già arrivato praticamente a casa quando notò le tracce: un fuoristrada. Venivano da una stradina che non portava da nessuna parte e proseguivano lungo lo sterrato che saliva in collina. Maledetti fuoristradisti, pensò. Capitava sempre più spesso che evadessero dalle zone a loro assegnate per cercare aree incontaminate da contaminare con le loro macchine. E c'era anche uno dei capanni da quella parte.. Senza pensarci due volte girò il mezzo e partì all'inseguimento. Davanti a lui il corvo, posato su di un ramo, fece sentire la sua voce. Ma la cosa passò del tutto inosservata.<br />
<br />
<div class="MsoNormal"><b><span style="color: #333333; font-size: 10pt;">Seconda Parte </span></b></div>Il fuoristrada era parcheggiato davanti al capanno, portiere spalancate e musica ad alto volume. Se si poteva chiamare musica.<br />
Il contadino mollò il mezzo in un posto qualunque, saltò giù e si diresse come una furia verso la porta del capanno. La spalancò. Il tavolo al centro della stanza era ingombro di lattine di birra e di quello che sembrava la rimanenza di una discreta fornitura da impasticcati. Sotto al tavolo c'era un uomo che sembrava dormire nella stessa posizione in cui doveva essere caduto. A fianco, sul pavimento, un altro tipaccio si era congelato a metà di un complicato approccio a una ragazza che appariva ben poco entusiasta delle sue attenzioni. "E tu chi diavolo sei?" Sbraitò, rialzandosi in piedi fin troppo prontamente ed assestando una pedata di sveglia al suo compare. <br />
"E quello chi diavolo è?" domandò l'altro. Istintivamente il contadino aveva fatto un passo indietro riportandosi nello spiazzo antistante al capanno. Uno dei due gli fu subito appresso. Da qualche parte aveva recuperato un coltello dall'aspetto decisamente cattivo. "Ti ho chiesto chi diavolo sei?" incalzò. Un altro passo indietro. "Dove credi di andare?" Poi in alto risuonò il verso del corvo, e una macchia nera di penne e piume sbucò dal nulla e si tuffò tra i due uomini. Più per sorpresa che per spavento il tipaccio si gettò a terra, offrendo al contadino una buona occasione per darsela a gambe. Raggiunse il limitare del bosco mentre l'altro stava ancora rotolando via da un pericolo immaginario, e in un attimo fu al riparo dell'ombra degli alberi e della foschia che scendeva dalle colline. Più o meno nella stessa direzione in cui si era allontanato il corvo. Il secondo tipaccio intanto era schizzato fuori dalla porta e si era lanciato all'inseguimento. Si sentirono due esplosioni e la corteccia di un tiglio alla sinistra dell'inseguito eruppe in mille pezzi. <br />
Correre in un bosco non è cosa particolarmente facile, specie quando inciampare in una radice o in una buca può costare la pelle. Quella però era casa sua, il suo terreno, e in breve accumulò un vantaggio tale da perdere di vista i cacciatori. La foschia era diventata quasi nebbia, e anche l'oscurità era aumentata. Trovò un riparo e si mise in ascolto: inaspettata, un automobile si avviò e si allontanò, distante, approssimativamente in direzione del capanno. <br />
"Ci ha fregato la macchina!" esclamò una voce vicina, troppo vicina. <br />
"Non dire scemate, ce l'avevamo davanti."<br />
"Sarà tornato indietro."<br />
"Sì, con un missile."<br />
"E allora chi é stato?"<br />
Ci fu una pausa, poi: <br />
"Te lo dico io chi è stato: la tipa che ci siamo portati su."<br />
Si sentì una risata fragorosa.<br />
"Certo che sei proprio bravo ad organizzare queste uscite. Prima peschi un ufficio postale che ha in cassa meno soldi di noi, poi la tipa che doveva essere una cosa sicura si impasticca male e cambia idea a mezza strada, poi ci viene a trovare l'uomo dei boschi. E adesso siamo anche rimasti a piedi."<br />
"Piantala di fare l'idiota. Da che parte? <br />
"Tu di là, io di qua. Chi lo vede spara."<br />
Ci furono dei rumori di passi, alcuni dei quali sempre più vicini. Un fruscio d'ali. <br />
<br />
Il corvo si era posato su di un ramo proprio in fronte a me. Io però stavo cercando di capire cosa stesse succedendo al tronco, qualche metro più sotto. Perchè era coperto per più di metà da un’ombra netta, precisa, come tagliata da un sole che invece non c’era. Poi l'ombra si mosse, e i miei capelli mi si rizzarono sulla testa. Perse spessore (solo in quel momento feci caso che ne aveva uno) e affondò nella pianta. <br />
"Non ti muovere.." mi ordinò la voce del tipaccio. Non poteva sapere che non lo avrei fatto per tutto l'oro del mondo. Era spuntato da non so dove e si stava spostando di lato per mettersi davanti. Io non riuscivo a staccare gli occhi dal tronco in cui l'ombra era scomparsa. "Bravo, così. Ma che diavolo stai fissando? Non hai mai visto una pianta?" L’aria sembrò tremolare leggermente tra lui e l'albero, come sopra una strada quando fa caldo. Qualche foglia si spostò, mossa dal niente. Poi, d'un colpo, il bosco si sollevò con mani, braccia, testa ed infine un busto intero. Come un uomo che emerga di spinta dall'acqua di un fiume o di un lago, solo che qui tutto quanto era fatto solo di terreno, di fogliame, di muschio. La forma afferrò il tipaccio per le spalle e in un istante lo tirò giù, dentro al fiume di suolo, al lago, a quello che era. La superficie oscillò un paio di volte, poi tornò a solidificarsi e fu tutto finito. O quasi. Una mano riemerse, seguita da un volto. Impossibile dire da cosa fosse formato, eppure lo era. Portò l'indice sulle labbra, in un inequivocabile comando di silenzio. Poi si sgretolò in mille pezzi, andato. Scappai come se avessi avuto il diavolo alle calcagna, perchè probabilmente ce l'avevo. Dietro di me sentivo l'altro tipaccio sbraitare e correre nella mia direzione: fosse un inseguimento o una fuga, non saprei. Credo che mi stesse anche sparando contro, ma non ci potrei giurare. <br />
Attraversai un sentiero e, come sarebbe presto o tardi dovuto succedere, mancai completamente il passo successivo finendo a terra come un perfetto imbecille Prima che riuscissi a rialzarmi il mio inseguitore mi fu addosso. Mi afferrò per la giacca, mi tirò su e mi attaccò ad una pianta. Era bello grosso. "Che hai fatto al mio amico? Chi diavolo.." alle sue spalle in un boato di legno, terra, foglie, polvere, cespugli e quant'altro un tratto di bosco sembrò esplodere in mille pezzi ricadendo subito dolo sul posto. Meccanicamente l'uomo si voltò verso lo sconquasso, mollando la presa. Mi afflosciai come un sacco vuoto, mentre l'altro puntava la pistola contro tutto quello che sembrava muoversi.<br />
Dapprima lo percepii solo come un leggero brivido lungo la schiena. L'aria diventò ghiaccio nei polmoni. Poi ebbi la netta sensazione che qualcosa si fosse portato al mio fianco, qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì. Mi si parò davanti, e non aveva una forma: era un ombra corporea, un semplice luogo di oscurità. Ma aveva un volto, un volto identico a quello dell'uomo di terra che avevo visto prima, un volto che, Dio mio, sorrideva. Si girò, un attimo prima guardava me e subito dopo era voltato dall'altra parte. Attraversò lo spazio tra me e il mio aggressore in un istante, e in quell'istante sembrò essere dovunque allo stesso tempo. Abbracciò il vivo alle spalle e, per la prima volta, parlò.<br />
"Non c'è niente lì" gli sussurrò all'orecchio. "E' solo la mano che nasconde il trucco". L'uomo si bloccò, congelato. Con un solo movimento innaturale l'apparizione passò davanti e avvolse la sua mano d'ombra attorno a quella armata dell'altro. D’istinto il ladro si sottrasse alla stretta, ma la pistola restò indietro, sospesa nella presa dello spettro.<br />
"Ed è un bel trucco, non ti pare?" domandò, gettando l'arma da qualche altra parte, nel bosco.<br />
L'altro arretrò di un passo e finalmente vide il suo avversario. La comprensione che si dipinse sul suo volto fu subito spazzata via dall'incredulità, e quindi dal terrore.<br />
"No! Non è possibile. Tu.. tu sei morto!!"<br />
"Sì, sono morto. Sono morto perché tu mi hai ucciso, canaglia! Sono morto e ho fatto un patto con un corvo, il corvo che avrebbe dovuto portare via l'anima di un altro uomo che tu avresti ucciso. E il corvo mi ha portato qui."<br />
"Ma, ma.."<br />
"Non ci sono 'ma'. Io ho pagato il mio prezzo e tu adesso pagherai il tuo."<br />
Detto questo avanzò di un passo e affondò la mano nel petto dell'altro e quando la estrasse nel pugno teneva il suo cuore. Batteva ancora, lo vedevo pulsare, ne sentivo il ritmo. Il suo padrone lo guardava incredulo. Poi la mano del morto avvampò di una fiamma intensa, fredda, spaventosa.<br />
"Questo è il fuoco dell'Inferno" dichiarò il morto "dove mi troverai ad aspettarti. E adesso brucia!"<br />
L'altro tremò per un istante, poi urlò, come se.. come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Cadde a terra continuando a tremare ed ad urlare, ma il grido sembrava venire da più lontano, sempre da più lontano man mano che il cuore di consumava. Poi tutto cessò, quasi all'improvviso. Il morto che stava in piedi gettò i resti di quello che aveva tenuto in mano a fianco del morto che stava sdraiato. Come era già accaduto poco prima, il terreno per un attimo perse la sua solidità e il tipaccio (adesso mi faceva un po' impressione chiamarlo così) sparì, anche troppo lentamente, sotto la sua superficie.<br />
"E' finita" annunciò la voce dello spettro, senza traccia di sollievo o consolazione.<br />
Il corvo alzò la testa e gridò il suo verso, conferma o semplice eco di quanto era stato detto.<br />
Quando abbassai lo sguardo l'apparizione o quel che era se ne era andata.<br />
<br />
Arrivai al motocarro in pochi minuti, evidentemente in qualche punto delle mie corse avevo preso a tornare indietro. Anche l'auto, ovviamente, non c'era più. Nel capanno era rimasto solo un gran disordine e alcune lattine di birra vuote, niente altro. Uscendo, trovai ancora il corvo che mi aspettava, appollaiato su di un ramo basso. Gracchiò nella mia direzione, poi con il becco picchiettò il ramo alcune volte. Non capivo, quindi (suppongo) lo rifece. Andai al rimorchio e slegai un sacchetto di qualcosa che stava in un angolo. Quello che mi interessava era il cordino.<br />
In mancanza d'altro ci attaccai un pezzo di una merendina della scorta di emergenza. Lo assicurai al ramo nel punto che mi era stato indicato e mi misi a guardare. Il corvo lo pinzò con il becco qualche centimetro al di sotto, lo issò e poi con una zampa bloccò lo spago. Si chinò, lo afferrò nuovamente e ne issò un altro tratto. In pochi istanti con quella tecnica raggiunse il pezzo di merendina e se la sbafò. Poi gracchiò un altro paio di volte, si alzò in volo e sparì oltre agli alberi.<br />
Potevo essermi sognato tutto quanto, in fondo. Alla fine dei conti c'eravamo solo io e un pezzo di spago a penzoloni da un ramo..<br />
<div class="MsoNormal"><span style="color: #333333; font-size: 10pt;"><br />
</span><br />
<br />
<span style="font-family: 'Times New Roman',serif; font-size: 12pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial,sans-serif; font-size: 13px;">Clicca <a href="http://dl.dropbox.com/u/1408885/il%20trucco%20del%20corvo.pdf">qui</a> per scaricare il racconto in formato .pdf</span></span> </div><div class="separator" style="clear: both;"><br />
</div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm;"><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><img align="LEFT" border="0" height="31" name="immagini2" src="http://i.creativecommons.org/l/by-nc-nd/2.5/it/88x31.png" width="88" /></a></div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm;"><br />
</div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm;"><br />
</div><div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.13cm;"><span class="Apple-style-span" style="color: #993322; font-family: 'Times New Roman',serif;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: Arial,Tahoma,Helvetica,FreeSans,sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;"><span class="Apple-style-span" style="color: black; font-family: 'Times New Roman';"><span class="Apple-style-span" style="font-size: medium;"><br />
Il Trucco del Corvo</span></span> by<span class="Apple-style-span" style="color: black; font-family: 'Times New Roman';"><span class="Apple-style-span" style="font-size: medium;"> Fabrizio Burlone </span></span></span></span></span></span></span><span style="color: #333333;"><span style="font-family: Arial,Tahoma,Helvetica,FreeSans,sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">is licensed under a </span></span></span></span></span><a href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><span style="color: #ff3300;"><span style="font-family: Arial,Tahoma,Helvetica,FreeSans,sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-style: normal;"><u><span style="font-weight: normal;">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</span></u></span></span></span></span></a><span style="color: #333333;"><span style="font-family: Arial,Tahoma,Helvetica,FreeSans,sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">.</span></span></span></span></span></span></div><span style="color: #993322;"><span style="font-family: 'Times New Roman',serif;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: Arial,Tahoma,Helvetica,FreeSans,sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">Permissions beyond the scope of this license may be available at </span></span></span></span></span><a href="http://traccevisibili.blogspot.com/"><span style="color: #993322;"><span style="text-decoration: none;"><span style="font-family: Arial,Tahoma,Helvetica,FreeSans,sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">http://traccevisibili.blogspot.com/</span></span></span></span></span></span></a><span style="color: #333333;"><span style="font-family: Arial,Tahoma,Helvetica,FreeSans,sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">.</span></span></span></span></span> </span></span> <br />
Illustrazione di Eugenio Bausola<br />
<div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b>Versione originariamente pubblicata (5/28/09): </b><span style="color: #333333; font-size: 10pt;"><br />
</span></div>#1 <br />
<div>Il corvo aspettava. Appollaiato sul suo solito palo della luce, aspettava. Non appena l'uomo uscì nel cortile il corvo gracchiò tre volte, il che rappresentava il suo saluto. L'uomo sollevò lo sguardo e rispose con un cenno della mano.<br />
<div id="eG_actions_main" style="background-color: transparent; background-image: none; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"><div class="small_more" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div><div class="small_nextTab" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div><div class="small_forward" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div><div class="small_pageTop" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div><div class="small_bookmarks" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div><div class="small_closeTab" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div><div class="small_back" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div><div class="small_prevTab" style="background-color: transparent; background-repeat: no-repeat; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"></div></div><div style="background-color: transparent; background-image: none; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"><div style="background-color: red; border: 0px none; color: black; float: none; margin: 0px;"><div style="color: #777777; text-align: center;"></div></div></div>Non era una conversazione solita, ma neanche del tutto inusuale. I corvi sono animali intelligenti, gli scienziati americani hanno attaccato un pezzo di carne a uno spago e lo hanno lasciato penzolare da un ramo. I corvi hanno imparato a issare lo spago, bloccarlo con le zampette e prendersi la carne. E semplicemente ragionandoci su, non andando per tentativi. Beh, sempre ammesso che sia vero, naturalmente. Perchè in effetti sembra proprio strano che gli scienziati, con tutte le cose importanti che hanno da fare, trovino pure tempo e voglia per mettersi a giocare con pennuti, cordicelle e rami. Capita, comunque, che tra corvi e contadini in campagna ci si voglia scambiare quattro chiacchiere, dicevo. Non è insolito. Insolito era, invece, che anche quella mattina proprio quel particolare corvo fosse nuovamente lì, come la mattina precedente e quella prima ancora. Non aveva nessun segno particolare che lo distinguesse dai suoi consimili. Nero come la notte dalla punta del becco a quella delle piume, visto così sembrava misurare un po' di più di un mezzo metro. Due cose che lo qualificavano come un corvo e non come una cornacchia, anche se molti fanno confusione. Neanche troppo grande, ad ogni modo, visto che potevano arrivare anche a 60 o 70 centimetri. A volte, quando muoveva la testa, le piume del sottogola si arruffavano formando una specie di barba nera. Ma anche questo era un tratto comune. Un corvo come tanti, insomma. Eppure l'uomo era certo che fosse sempre lo stesso, che lo aspettava tutte le mattine da tre o quattro giorni a questa parte e che adesso avrebbe preso a seguirlo per tutta la giornata. Non c'era un granché da farci, a parte prendere a fucilate la bestia, e questo non se la sentiva proprio di farlo. Perchè ammazzare un corvo porta sfortuna.<br />
"Che sfortuna vuoi che ti porti?" gli avevano detto gli amici in osteria. "Se i corvi ti seguono vuol dire che puzzi già di morto. Almeno togliti la soddisfazione." Lui non aveva risposto. C'era una storia che raccontavano i vecchi.. Diceva che i corvi venivano a prendere le anime dei morti e le guidavano dall'altra parte. O chissà dove, se li facevi arrabbiare..<br />
Si avviò verso i campi, che comunque non avrebbero aspettato i suoi pensieri. A metà della mattinata si fermò per mettere qualcosa nello stomaco. Non faceva ancora caldo. L'inverno era finito, ma ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che la primavera arrivasse a prendere il suo posto. Cercò il corvo con lo sguardo, era già diventato un movimento automatico. C'era. Soddisfatto dell'occhiata ricevuta l'uccello abbandonò il suo posatoio e con pochi potenti battiti di ali attraversò il campo fino ai piedi delle colline. Prese a girare dentro alle correnti ascensionali, guadagnando quota. Era un volo lento, importante, solitario. I giovani invece li aveva visti volare spesso anche in stormi. Giocavano, si inseguivano, si sfidavano in gare di abilità che avevano forse lo scopo di conquistare il cuore delle loro future compagne, compagne per la vita. Ma per i corvi come per gli uomini, evidentemente, il tempo della spensieratezza prima o poi finiva, e quello che rimaneva era un volo lento, importante e solitario. Il trillo di un campanello lungo la strada lo scosse dai suoi pensieri. Si avvicinò alla carreggiata, ad aspettare il dottore che stava arrivando.<br />
#2</div><div>"Dov'é?" si premurò di chiedere il nuovo prima ancora di essersi del tutto fermato.<br />
"Là, dottore." Rispose l'uomo indicando in direzione delle colline.<br />
"Dove? Ah sì lo vedo. Piuttosto lontano.." c'era più di un po' di delusione nella sua voce, mentre estraeva il suo binocolo.. "Ah ecco, un Corvo Imperiale, dunque".<br />
"Un corvo. Sì dottore."<br />
"E ti segue.."<br />
"E mi segue."<br />
"Sono animali molto intelligenti sai? In America.."<br />
"Sì, la cordicella, l'avevo letto pure io da qualche parte. Ma sarà vero?"<br />
"E non solo quello.. Hanno anche osservato che possono imparare a usare piccoli attrezzi per procurarsi il cibo che non riescono a raggiungere altrimenti. Bastoncini, rametti, cose di quel genere.. Che se trovano carogne troppo dure per loro becchi vanno a chiamare predatori più grossi che le riescano ad aprire, meglio avanzi che mai. Che memorizzano la locazione delle riserve di altri corvi per poi saccheggiarle, e che ne costruiscono di<br />
fasulle per depistare la concorrenza. Che amano giocare, anche ad acchiapparello con cani e lupi."<br />
"E che seguono i contadini?"<br />
Il dottore sembrò doverci pensare su un momento. "No, di questo non ho memoria."<br />
"Magari non è cosa di scienza.."<br />
"Ah, di leggende ce ne sono fin che si vuole, i corvi sono tra gli animali più chiacchierati. Nella nostra tradizione sono normalmente associati a morti, cimiteri tombe e oltretomba. Sicuramente per via delle loro abitudini saprofaghe, si capisce. Che mangiano carcasse, cioè. In Svezia rappresentano gli spiriti dei morti assassinati,<br />
in Germania le anime dei dannati. Per contro, nel Nordest Asiatico e sulla Costa Pacifica è considerato un dio creatore e<br />
benevolo. Nel Nordeuropa due corvi sono gli occhi e le orecchie di<br />
Odino. Su e giù per le isole britanniche sono associati a dei e dee,<br />
maghi, talismani, di tutto e di più. Poi, da quando hanno girato il film dove è morto il povero Brandon Lee, il figlio di Bruce Lee, quello del kung fu, è tutto un fiorire di riferimenti e leggende metropolitane. O magari è solo che gli stai simpatico, e ti segue per quello.."<br />
"Non credo, dottore. Non sono mai stato così simpatico, e glielo dimostro subito lasciandola qui da solo e tornando al mio lavoro."<br />
"Tocca a tutti in un modo o nell'altro. Ma dato che io, invece, ho ancora qualche ora libera, ti saluto e continuo il giro. Ci si vede.." Detto questo rilanciò la bicicletta e si allontanò sul sentiero, con binocolo che non aveva riposto che sbatteva a destra e a manca ad ogni pedalata..<br />
Il contadino lo guardò arrancare per un po', poi, come promesso, tornò al lavoro. La giornata proseguì come doveva, di tanto in tanto l'uomo cercava il corvo, e da qualche parte immancabilmente lo trovava. Nel primo pomeriggio il tempo prese a guastarsi. Dalle colline scendevano sul piano nuvole basse cariche di una pioggerellina fine fine, di quelle che ti inzuppano fino alle ossa prima ancora tu possa decidere se sta per davvero piovendo o è solo umidità. Finito un lavoro che non poteva essere lasciato a metà, il contadino caricò armi e bagagli sul motocarro e prese la via del ritorno. Era già arrivato praticamente a casa quando notò le tracce: un fuoristrada. Venivano da una stradina che non portava da nessuna parte e proseguivano lungo lo sterrato che saliva in collina. Maledetti fuoristradisti, pensò. Capitava sempre più spesso che evadessero dalle zone a loro assegnate per cercare aree incontaminate da contaminare con le loro macchine. E c'era anche uno dei capanni da quella parte.. Senza pensarci due volte girò il mezzo e partì all'inseguimento. Davanti a lui il corvo, posato su di un ramo, fece sentire la sua voce. Ma la cosa passò del tutto inosservata.<br />
#3<br />
Il fuoristrada era parcheggiato davanti al capanno, portiere spalancate e musica ad alto volume. Se si poteva chiamare musica. Il contadino mollò il mezzo in un posto qualunque, saltò giù e si diresse come una furia verso la porta del capanno. La spalancò. Il tavolo al centro della stanza era ingombro di lattine di birra e di quello che sembrava la rimanenza di una discreta fornitura da impasticcati. Sotto al tavolo c'era un uomo che sembrava dormire nella stessa posizione in cui doveva essere caduto. A fianco, sul pavimento, un altro tipaccio si era congelato a metà di un complicato approccio a una ragazza che appariva ben poco entusiasta delle sue attenzioni. "E tu chi diavolo sei?" Sbraitò, rialzandosi in piedi fin troppo prontamente ed assestando una pedata di sveglia al suo compare. <br />
<div><div>"E quello chi diavolo è?" domandò l'altro. Istintivamente il contadino aveva fatto un passo indietro riportandosi nello spiazzo antistante al capanno. Uno dei due gli fu subito appresso. Da qualche parte aveva recuperato un coltello dall'aspetto decisamente cattivo. "Ti ho chiesto chi diavolo sei?" incalzò. Un altro passo indietro. "Dove credi di andare?" Poi in alto risuonò il verso del corvo, e una macchia nera di penne e piume sbucò dal nulla e si tuffò tra i due uomini. Più per sorpresa che per spavento il tipaccio si gettò a terra, offrendo al contadino una buona occasione per darsela a gambe. Raggiunse il limitare del bosco mentre l'altro stava ancora rotolando via da un pericolo immaginario, e in un attimo fu al riparo dell'ombra degli alberi e della foschia che scendeva dalle colline. Più o meno nella stessa direzione in cui si era allontanato il corvo. Il secondo tipaccio intanto era schizzato fuori dalla porta e si era lanciato all'inseguimento. Si sentirono due esplosioni e la corteccia di un tiglio alla sinistra dell'inseguito eruppe in mille pezzi. </div><div>Correre in un bosco non è cosa particolarmente facile, specie quando inciampare in una radice o in una buca può costare la pelle. Quella però era casa sua, il suo terreno, e in breve accumulò un vantaggio tale da perdere di vista i cacciatori. La foschia era diventata quasi nebbia, e anche l'oscurità era aumentata. Trovò un riparo e si mise in ascolto: inaspettata, un automobile si avviò e si allontanò, distante, approssimativamente in direzione del capanno. </div><div>"Ci ha fregato la macchina!" esclamò una voce vicina, troppo vicina. </div><div>"Non dire scemate, ce l'avevamo davanti."</div><div>"Sarà tornato indietro."</div><div>"Sì, con un missile."</div><div>"E allora chi é stato?"</div><div>Ci fu una pausa, poi: </div><div>"Te lo dico io chi è stato: la tipa che ci siamo portati su."<br />
Si sentì una risata fragorosa.</div><div>"Certo che sei proprio bravo ad organizzare queste uscite. Prima peschi un ufficio postale che ha in cassa meno soldi di noi, poi la tipa che doveva essere una cosa sicura si impasticca male e cambia idea a mezza strada, poi ci viene a trovare l'uomo dei boschi. E adesso siamo anche rimasti a piedi."</div><div>"Piantala di fare l'idiota. Da che parte? </div><div>"Tu di là, io di qua. Chi lo vede spara."</div><div>Ci furono dei rumori di passi, alcuni dei quali sempre più vicini. Un fruscio d'ali. </div><div>#4</div><div>Da qui in avanti la devo raccontare io, perchè c'ero. Il corvo si era posato su di un ramo di un albero proprio in fronte a me. Era un albero strano, non tanto l'albero in sè, quanto il fatto che un lato del tronco risultava evidentemente in ombra, malgrado il sole se ne fosse andato da ore. Poi l'ombra si mosse, e i miei capelli si rizzarono sulla testa. Perse spessore (solo in quel momento mi resi conto che ne aveva uno) e affondò nella pianta. </div><div>"Non ti muovere.." mi ordinò la voce del tipaccio. Non poteva sapere che non lo avrei fatto per tutto l'oro del mondo. Era spuntato da non so dove e si stava spostando di lato per mettersi davanti. Io non riuscivo a staccare gli occhi dal tronco in cui l'ombra era scomparsa. "Bravo, così. Ma che diavolo stai fissando? Non hai mai visto una pianta?" La terra sembro tremolare leggermente tra lui e l'albero, come sopra una strada quando fa caldo. Al suolo qualche foglia si spostò, mossa dal niente. Poi, d'un colpo, la terra si sollevò con mani, braccia, testa ed infine un busto intero. Come un uomo che emerga di spinta dall'acqua di un fiume o di un lago, ma qui era il bosco stesso ad essere persona. Afferrò il tipaccio per le spalle e in un istante lo tirò giù, dentro al fiume, al lago, a quello che era. La superficie oscillò un paio di volte, poi tornò a solidificarsi e fu tutto finito. O quasi. Una mano riemerse, seguita da un volto. Impossibile dire da cosa fosse formato, eppure lo era. Portò l'indice sulle labbra, in un inequivocabile comando di silenzio. Poi si sgretolò in mille pezzi, andato. Scappai come se avessi avuto il diavolo alle calcagna, perchè probabilmente ce l'avevo. Dietro di me sentivo l'altro tipaccio sbraitare e correre nella mia direzione: fosse un inseguimento o una fuga, non saprei. Credo che mi stesse anche sparando contro, ma non ci potrei giurare. </div><div>Attraversai un sentiero e, come sarebbe presto o tardi dovuto succedere, mancai completamente il passo successivo finendo a terra come un perfetto imbecille Prima che riuscissi a rialzarmi il primo dei miei inseguitori mi fu addosso. Mi afferrò per la giacca, mi tirò su e mi attaccò ad una pianta. Era bello grosso. "Che hai fatto al mio amico? Chi diavolo.." alle sue spalle in un boato di legno, foglie, polvere, cespugli e quant'altro un vecchio albero, un olmo probabilmente, sembrò esplodere a pezzi e bocconi direttamente sul posto. Istintivamente l'uomo si voltò per fronteggiare la nuova situazione, mollando la presa. Mi afflosciai come un sacco vuoto, mentre l'altro puntava la pistola verso tutto quello che sembrava muoversi.<br />
Dapprima lo percepii solo come un leggero brivido lungo la schiena. L'aria diventò ghiaccio nei polmoni. Poi ebbi la netta sensazione che qualcosa si fosse portato al mio fianco, qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì. Mi si parò davanti, e non aveva una forma: era un ombra corporea, un semplice luogo di oscurità. Ma aveva un volto, un volto identico a quello dell'uomo di terra che avevo visto prima, un volto che, Dio mio, sorrideva. Si girò, un attimo prima guardava me e subito dopo era voltato dall'altra parte. Attraversò lo spazio tra me e il mio aggressore in un istante, e in quell'istante sembrò essere dovunque allo stesso tempo. Abbracciò il vivo alle spalle e, per la prima volta, parlò.<br />
"Non c'è niente lì" gli sussurrò all'orecchio. "E' solo la mano che nasconde il trucco". L'uomo si bloccò, congelato. Con un solo movimento innaturale l'apparizione passò davanti e avvolse la sua mano d'ombra attorno a quella armata dell'altro. All'istante il ladro si sottrasse alla stretta, ma la pistola restò <span style="background-color: white;">indietro</span>, sospesa nella presa dello spettro.<br />
"Ed è un bel trucco, non ti pare?" domandò, gettando l'arma da qualche altra parte, nel bosco.<br />
L'altro arretrò di un passo e finalmente vide il suo avversario. La comprensione che si dipinse sul suo volto fu subito spazzata via dall'incredulità, e quindi dal terrore.<br />
"No! Non è possibile. Tu.. tu sei morto!!"</div><div>"Sì, sono morto. Sono morto perché tu mi hai ucciso, canaglia! Sono morto e ho fatto un patto con un corvo, un corvo che avrebbe dovuto portare via l'anima di un altro uomo che tu avresti ucciso. E il corvo mi ha portato qui."<br />
"Ma, ma.."<br />
"Non ci sono 'ma'. Io ho pagato il mio prezzo e tu adesso pagherai il tuo."<br />
Detto questo avanzò di un passo e affondò la mano nel petto dell'altro e quando la estrasse nel pugno teneva il suo cuore. Batteva ancora, lo vedevo pulsare, ne sentivo il ritmo. Il suo padrone lo guardava incredulo. Poi la mano del morto avvampò di una fiamma intensa, fredda, spaventosa.<br />
"Questo è il fuoco dell'Inferno" dichiarò il morto "dove mi troverai ad aspettarti. E adesso brucia!"<br />
L'altro tremò per un istante, poi urlò, come se.. come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Cadde a terra continuando a tremare ed ad urlare, ma il grido sembrava venire da più lontano, sempre da più lontano man mano che il cuore di consumava. Poi tutto cessò, quasi all'improvviso. Il morto che stava in piedi gettò i resti di quello che aveva tenuto in mano a fianco del morto che stava sdraiato. Come era già accaduto poco prima, il terreno per un attimo perse la sua solidità e il tipaccio (adesso mi faceva un po' impressione chiamarlo così) sparì, anche troppo lentamente, sotto la sua superficie.</div><div>"E' finita" annunciò la voce dello spettro, senza traccia di sollievo o consolazione.<br />
Il corvo alzò la testa e gridò il suo verso, conferma o semplice eco di quanto era stato detto.<br />
Quando abbassai lo sguardo l'apparizione o quel che era se ne era andata.<br />
#5<br />
Arrivai al motocarro in pochi minuti, evidentemente in qualche punto delle mie corse avevo preso a tornare indietro. Anche l'auto, ovviamente, non c'era più. Nel capanno era rimasto solo un gran disordine e alcune lattine di birra vuote, niente altro. Uscendo, trovai ancora il corvo che mi aspettava, appollaiato su di un ramo basso. Gracchiò nella mia direzione, poi con il becco picchiettò il ramo alcune volte. Non capivo, quindi (suppongo) lo rifece. Andai al rimorchio e slegai un sacchetto di qualcosa che stava in un angolo. Quello che mi interessava era il cordino.<br />
In mancanza d'altro ci attaccai un pezzo di una merendina della scorta di emergenza. Lo assicurai al ramo nel punto che mi era stato indicato e mi misi a guardare. Il corvo lo pinzò con il becco qualche centimetro al di sotto, lo issò e poi con una zampa bloccò lo spago. Si chinò, lo afferrò nuovamente e ne issò un altro tratto. In pochi istanti con quella tecnica raggiunse il pezzo di merendina e se la sbafò. Poi gracchiò un altro paio di volte, si alzò in volo e sparì oltre agli alberi.<br />
Potevo essermi sognato tutto quanto, in fondo. Alla fine dei conti c'eravamo solo io e un pezzo di spago a penzoloni da un ramo..<br />
<br />
</div></div></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-78376887144833870752009-02-07T12:22:00.001-08:002010-02-14T16:10:20.123-08:00Ibis<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><img border="0" height="327" src="http://1.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3iNXYaZd-I/AAAAAAAABy8/m5G09m7GEQE/s400/ibis.jpg" width="400" /></div>Sembra proprio che il sole non voglia alzarsi questa mattina, sarà perchè la luna è ancora lì che tira tardi sull'orizzonte. E' vero, sono abituato a queste levatacce, ma questo non vuol dire che non preferirei essere a casa, sotto le coperte, al caldo. Però, se vuoi fare foto<br />
naturalistiche, devi rassegnarti a questo ed ad altro. <br />
Ho lasciato la macchina dove potevo lasciarla, mi sono caricato l'ambaradan in<br />
spalle, me lo sono portato su per l'argine per una buona mezz'oretta, nel buio pesto. Mi sono calato nella golena, ho fatto il passo del giaguaro fino al solito appostamento, mi sono infrattato e poi, sempre al buio, mi sono montato tutta l'attrezzeria cercando di non farmi<br />
troppo male o almeno di farmi male in silenzio. E non è questa la cosa più antipatica. Adesso dovrò aspettare, muto, immobile, intirizzito (in una parola: congelato), e per tutto il tempo che sarà necessario.<br />
Niente sigarette, niente caffè (beh, quasi niente), niente chiacchiere (e con chi?), se mi viene da starnutire trattengo, se mi scappa trattengo anche quello. E non è neanche questa la cosa più antipatica. Tra qualche ora, poi, tutto il procedimento andrà ripetuto all'inverso, sempre senza disturbare, se no che senso ha? Quindi la macchina infangata da lavare, i vestiti che sembra che sono stato in guerra e per giunta ho perso... E no, non è ancora la cosa più antipatica.<br />
Quella ve la dico io: la cosa più antipatica è l'espressione che vedo solitamente dipinta sulle facce di quelli a cui cerco di spiegare il perché lo faccio. <br />
Aspetta: guarda un po', dritto davanti a me, su quel ramo a mezza pianta. La sagoma di un Ibis Sacro stagliata netta contro la luna. Scatto. E la prima foto della giornata è in magazzino,<br />
ed è anche una bella foto. <br />
Stavo dicendo? Ah, sì, mi stavo lamentando. Beh, ne avrò ben il diritto, tanto non c'è nessuno. Dicevo che non è facile da spiegare: siamo tanto abituati ai documentari sui leoni del Kenya e sulle orche al largo della Patagonia che la natura di casa nostra ci sembra irrimediabilmente una natura di serie B. Trascurabile. E invece no. A prescindere dal fatto che la natura non è<br />
mai trascurabile, c'è tanto da vedere anche qui da noi, e tanto da cercare di fermare in una foto. E questo è quello che faccio io, quando ci riesco. <br />
Non avendo i mezzi del National Geographic (avessi almeno il tempo..) la soluzione è solo questa: levatacce, appostamenti, tanta pazienza, e parecchio studio. In genere, metà della foto è pura fortuna. Dell'altra metà, una buona parte la fa il momento, il resto l'occhio di chi guarda. Prendiamo la foto dell'Ibis. L'aggettivo "sacro" lo guadagna in Egitto. Considerato manifestazione terrena di Thot, dio lunare inventore della scrittura (e dei tarocchi, si dice),<br />
scriba di Ra e giudice di Osiride, veniva venerato come distruttore di serpenti e sterminatore di locuste. I temibili "serpenti alati". Il suo sacrificio rituale era considerato micidiale contro le mosche portatrici di epidemie e pestilenze. E c'era anche un altra buona ragione, che però adesso mi sfugge. Mi tornerà in mente.. In epoca romana, invece, Plinio ne suggeriva un impiego molto più prosaico, ma su questo possiamo sorvolare. <br />
Ecco là: ce n'è un altro, posato sulla riva. Scatto. Fatta anche questa. Adesso che si sta schiarendo se ne vedono un bel po', meno male, dopotutto sono venuto per loro. <br />
Poi: sono una specie di rarità visto che non è da molto che sono arrivati qui da noi e la nostra pianura costituisce praticamente il confine settentrionale del loro areale di nidificazione. <br />
Non bastasse, sono anche degli animali piuttosto vistosi, e, aggiungerei, opinabilmente belli: becco lungo e ricurvo, testa e collo neri in contrasto col piumaggio, bianco. Ma in accordo con il colore delle remiganti, nere, sfrangiate ed iridescenti che quando sono posati si confondono con la coda, ma appena si alzano in volo fanno scena. <br />
Sembrano nervosi, speriamo che non mi abbiano visto. E dire che ormai dovrebbero considerarmi uno di famiglia, passo più tempo qui che a casa mia. <br />
Zampe rosso scuro, più scuro che rosso. Per finire, con i loro 60/70 cm di altezza riempiono bene la foto, e, visto che sono gregari, si prestano volentieri anche a quella di gruppo. Tutto questo, e altro ancora, è la parte dell'occhio di chi guarda. Se c'è, sarà l'immagine dell'Ibis<br />
Sacro, volto e cartiglio di Thot e temporanea meraviglia della Pianura Padana. Se non c'è, sarà solo la fotografia di un uccello bianco e nero. Anche bella, magari, ma solo una fotografia.<br />
A proposito, fossi appena un po' più paranoico di quello che sono incomincerei a preoccuparmi seriamente. Sono letteralmente circondato da Ibis e ho la spiacevole sensazione che mi stiano tenendo d'occhio. Sembra un film di Hitchcock: stanno lì, senza far niente, e mi guardano. O comunque guardano nella mia direzione. <br />
Il momento è un'altra questione. Gli Ibis vivono dove c'è l'acqua. Oltre che di serpi si cibano di rane, pesci crostacei, qualche pianta acquatica e all'occorrenza anche di quello che si trova nei nostri campi e pure tra la nostra spazzatura. Si dice che vadano anche a caccia in gruppo con aironi e garzette, questo però io non l'ho mai visto. Di certo, condividono con loro dormitori notturni e colonie di nidificazione. Solitamente costruiscono il nido (in rami e vegetazione) sugli stessi alberi, ma più in basso e dentro ci covano 3 o 4 uova, da cui si spera nasceranno altrettanti pulcini. Praticamente identici agli adulti, a parte il nero sulle remiganti di cui parlavo e che verrà in seguito. Data la posizione del nido e l'allegra brigata circostante, almeno uno dei genitori deve sempre essere presente, giusto per assicurarsi la sopravvivenza della prole. Con grande sollievo di mamma e papà, dopo 5 o 6 settimane dalla nascita i piccoli sono in grado volare, e il più è fatto. Questo è il minimo sindacale che uno deve sapere se vuole sperare di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Una volta che è lì, diventa poi solo una questione di approccio, attrezzatura e tecnica. Rispettivamente: bazzecole, quisquilie e pinzillacchere. Se è tutto andato per il verso giusto abbiamo una bella foto, se no ci si riprova alla prima<br />
occasione. <br />
Sì, ma che accidenti fa adesso questo Ibis? Sarà un'impressione, ma se non mi abbassavo mi beccava in pieno. Un altro. Ancora (o è quello di prima?) Eccheca..spita, mi vengono addosso da tutte le parti, dieci, venti, ma quanti sono? Adesso è davvero come in un film di Hitchcock. Non credo siano pericolosi, ma per non sbagliare butto tutto quanto dentro allo zaino e me la filo a gambe levate. Schizzo nel sottobosco verso la riva con il branco delle bestiacce che ancora mi gracchia sulla testa, riesco ad arrampicarmi sull'argine, da qui in poi è tutto terreno scoperto. Sollevo lo zaino sulla testa per proteggermi e ...ma dove sono finiti?<br />
Mi guardo attorno: niente, scomparsi. Sarà un buon segno? Uno stormo di anatre passa sopra di me a volo radente. Dietro, nel fiume, sento un leggero sciacquio. Mi volto, e proprio in quel momento l'onda di piena spazza via i cespugli dove mi ero appostato. Tutto finisce sotto tre<br />
metri d'acqua, la piena rimbalza sulla salita dell'argine e poi prosegue per la sua strada. Resto a guardare. Adesso mi è venuto in mente qual'era l'altra ragione per cui gli Ibis erano venerati, in Egitto: sapevano prevedere le piene del fiume.<br />
<br />
Clicca <a href="http://dl.dropbox.com/u/1408885/Ibis.pdf">qui </a>per scaricare il raccconto in formato acrobat PDFUnknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-76936321924794148152009-01-26T15:30:00.001-08:002010-06-18T00:55:33.833-07:00il canto dello scricciolo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3kCvxCTdrI/AAAAAAAABzE/zPTD5YUi8iU/s1600-h/scricciolo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="308" src="http://4.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3kCvxCTdrI/AAAAAAAABzE/zPTD5YUi8iU/s400/scricciolo.jpg" width="400" /></a></div>Gli uccelli che vivono nei boschi e nei parchi sono spesso molto difficili da vedere. Ma non da sentire, per nostra buona sorte... e a fare tanta, ma proprio tanta attenzione, si potrebbe perfino notare che uno dei canti più squillanti e armoniosi (che a qualcuno ricorda il ghiaccio che si scioglie a primavera), proviene da uno dei pennuti di taglia più piccola: lo scricciolo.<br />
Ma non è sempre stato così: un tempo lo scricciolo cantava con una voce leggera leggera, in proporzione al suo minimo peso. Quello che vi vado a raccontare ora è di come come avvenne che acquistò il suo canto.<br />
<div><br />
Prendete un righello, uno di quelli di scuola. Mettete un dito dove incominciano le tacche e l'altro dito sul 10. Ecco: lo scricciolo, di solito, incomincia e finisce tra le vostre due dita. Anzi, visto che un centimetro è del becco e tre sono della coda (solitamente puntata verso il cielo come quella dei gatti), chi ne abbia visto uno dal vivo potrebbe pensare che siete stati pure abbondanti. Per necessità o per attitudine il nostro minuscolo amico è uno specialista del sottobosco. Non è un gran volatore, preferisce piuttosto camminare (o meglio, saltellare a piè pari) sul fondo della foresta, del bosco, della macchia o del giardino di casa alla ricerca di insetti, ragnetti, larve e altre prede di taglia minima. O anche bacche e semi, quando necessità impone. Lo si vede spesso (se lo si vede) intento a razzolare tra foglie cadute, arbusti, ceppi e radici o ad esplorare intrepido buchi e fessure, anfratti e tane, ammassi, mucchi e cataste. O a lanciarsi, come se fosse l'ultimo volo della vita, nel folto dei cespugli, a volte in cerca di cibo, più spesso in cerca di riparo. Detto tutto ciò, è facile capire come la neve e il freddo possano rendere difficile la vita di uno scricciolo. Ebbene, quell'inverno era purtroppo come questo: molto, molto freddo e con tanta, tanta neve. L'intera foresta era coperta sopra e sotto da un manto candido e scintillante, per arrivare a toccare il suolo e il suo confortevole tappeto di foglie ci sarebbe voluta una talpa delle nevi. I cespugli erano quasi impenetrabili, e a restare sotto al livello degli rami si correva facilmente il rischio di essere presi a palle di neve dagli alberi stessi. I torrenti e le pozze erano ovviamente ghiacciati, e perfino il poco terreno rimasto qua e là miracolosamente accessibile era gelato per parecchi centimetri sotto la superficie, e quindi di scarsa soddisfazione per un uccellino affamato. Per mettere insieme il pranzo con la cena, lo scricciolo della nostra storia, che per comodità potremmo chiamare Wren, aveva imparato ad appostarsi ai margini della strada che portava in città. Fin dalle prime ore del giorno il pesante traffico di carri e cavalli riusciva a rompere il ghiaccio e fino a tarda sera il viavai di cose, persone e animali ne impediva riformarsi. Rimanere schiacciati tra ruote, zoccoli e stivali non era difficile, ma il gioco valeva la candela.<br />
Quella mattina, che era una mattina come un'altra, Wren l'aveva passata appunto setacciando il bordo strada. Finora il raccolto era stato appena appena discreto, ma proprio in quel momento si era presentata una cavità particolarmente invitante. Ci infilò la testolina, sperando di raccogliere qualcosa di succoso, e si sentì improvvisamente stringere alla gola da un laccio invisibile. Terrorizzato, reagì d'impulso scattando all'indietro, e se a prenderlo fosse stata la maglia di una rete o il laccio di un archetto caduto e abbandonato, quel movimento sarebbe bastato per perderlo per sempre. Invece, riusciva ancora a muoversi, seppur non proprio liberamente. Ruotando il capo prima a destra a poi sinistra riuscì a vedere che tutto il suo minuscolo collo era completamente circondato da una banda di metallo dorato. "Salve, giovane scricciolo" lo salutò una voce nella sua testa, "ti ringrazio di avermi raccolto". Questa volta l'istinto lo lanciò verso il folto bosco, ma il peso di quello che aveva al collo lo tirò verso il terreno e Wren si trovò di botto nella neve alta a rimirarsi le zampette sullo sfondo del cielo. "Buffo modo di volare, giovane scricciolo." riprese la voce "E' questo forse un tratto tipico della tua specie?"<br />
"Chi sei!? Dove sei!?" replicò a viva voce Wren, appena recuperato un minimo di compostezza.<br />
"Ma sono l'Anello del Re, mio caro, mi conoscono tutti. E credo di trovarmi giusto intorno al tuo collo, o almeno, questa è la mia sensazione.. Dal mio punto di vista, una sistemazione molto più confortevole rispetto al fango della via in cui il mio padrone mi ha smarrito un paio di giorni or sono, non c'è dubbio alcuno."<br />
<br />
Risultò evidente quasi subito che di liberarsi dell'impedimento con una comune azione meccanica non ci sarebbe proprio stato verso. D'altra parte, la situazione non pareva affatto "comune". E chi, di conseguenza, avrebbe potuto fornire consiglio se non l'oggetto fuori del comune che l'aveva causata? "Signor Anello", espose lo scricciolo, "il peso della vostra consistenza è probabilmente meno di nulla per la possente mano del Re per cui foste forgiato, ma è un fardello insopportabile per un'anima di così piccole dimensioni come la mia. Volare mi è difficile, camminare faticoso, cacciare impossibile. In un inverno così duro, nel volgere di pochi giorni la Vostra Signoria si ritroverà nuovamente nel fango da cui l'ho sollevata, e con uno scricciolo congelato nel mezzo, per giunta. Quantomeno fino a primavera."<br />
"Più che la taglia dell'anima qui conta quella del corpo che la ospita, e non sempre le due vanno di pari passo. Ma vedo il senso di ciò che tu dici. Ti suggerirei di provare a serrare la mia forma nella forca di un ramo o di una radice e quindi far leva con le zampe per liberarti.."<br />
"Dubito, Signore, di riuscire a liberarmi in quel modo." replicò lo scricciolo "E se la forca si dovesse rinserrare oltre alla misura necessaria, è facile che al ramo o alla radice ci resterei, appunto, impiccato."<br />
Seguì qualche secondo di silenzio, quindi: “Beh, sono solo un anello, dopotutto. Non è che ci si debba aspettare chissà quale trovata da parte mia. Sarebbe il caso, piuttosto, che tu mi riportassi dal Re mio padrone, lui di certo saprà consigliarti per il meglio..”<br />
Questa volta fu lo scricciolo a prendere tempo prima di rispondere. "E sapresti tu dirmi, Signore, dove lo potrei trovare, io, il tuo Re e padrone?"<br />
"Ma certamente, mio caro. A palazzo, e dove se no?"<br />
<br />
Il consiglio in sé aveva una sua validità, per quanto l'anello, naturalmente, non avesse la benché minima idea di dove il palazzo fosse ubicato o di come lo si potesse raggiungere, A tal proposito, tuttavia, si poteva contare sull'aiuto dei molti uccelli che vivevano un po' nel bosco un po' in città. In linea di principio, almeno.<br />
Per prima cosa, avrebbe chiesto in dormitorio.<br />
D'inverno, quando fa freddo freddo freddo, gli scriccioli si riuniscono tutti insieme per passare la notte. Si ritrovano in vecchi nidi o in vecchie tane abbandonate, a volte basta una cavità in un albero o nel terreno. Di solito ognuno sta con la propria famiglia, magari con l'aggiunta di quella del vicino. Ma ci sono posti dove si radunano anche cinquanta e perfino sessanta pennuti, tutti in una volta. Come a dire: più siamo, più caldo ci teniamo. Quello è un dormitorio.<br />
Come è da aspettarsi, gli scriccioli pensano come vivono: a scatti. Mantenere la loro attenzione su uno stesso argomento per più di pochi secondi non è cosa facile. Tuttavia, il nuovo ornamento da collo di Wren riuscì a restare al centro della conversazione per il tempo necessario a raccogliere qualche informazione. Uno scricciolo conosceva dei merli che conoscevano delle cince che erano molto amiche di alcune gazze che frequentavano il palazzo, per lavoro dicevano. Raccontavano che l'ala sud della corte si apriva su una vasta area di giardini, dove anche di questa stagione il Re si avventurava di frequente, spesso in compagnia della giovane figlia. Raggiungere quei giardini sarebbe stato un buon primo passo, e anche una piccola impresa, viste le difficoltà di movimento dello scricciolo. Praticamente in risposta alla questione, l'anello intervenne: "Se posso.." esordì. All'istante, tutti i presenti nel dormitorio zittirono e si voltarono a fissare Wren, o meglio, a fissare il collare di cui anche loro, evidentemente, avevano sentito la voce. "..nelle terre del nord si racconta che uno scricciolo, tanti e tanti anni fa, riuscì a conquistare la corona di re degli uccelli sconfiggendo nientepopodimeno che l'aquila in un torneo di altitudine.." La platea taceva ancora, attenta. "Si issò, si dice, sul dorso dell'aquila, passando del tutto inosservato in virtù del suo esiguo peso, e quando l'aquila raggiunse la sua quota più alta lui poté partire da quella posizione, aggiudicandosi in tal modo la contesa." La platea continuava intempestivamente a tacere... “Intendo dire che il mio portatore potrebbe domandare un passaggio ad un altro volatile di dimensioni maggiori..” Dalla platea si sollevò quello che tra gli uomini si sarebbe definito un mormorio di approvazione. “Io conosco un'aquila, io conosco un'aquila!” esclamò sonoramente uno dei giovani. “Io conosco un'aquila, io conosco un'aquila!” proseguì.<br />
“Non il più brillante della nidiata, direi.” osservò sommessamente l'anello.<br />
“La vie della necessità sono spesso misteriose, mio Signore.” rispose lo scricciolo della storia.<br />
<br />
“Non è un'Aquila!” ebbe a che ridire Wren.<br />
“Sì che è un'Aquila.” replicò il giovane.<br />
"No che non lo è."<br />
"E invece sì"<br />
"Le aquile sono marroni."<br />
"Quelle marroni. Le altre no"<br />
"E sono più grosse."<br />
"Questa è un'Aquila Nana."<br />
"E' un Corvo"<br />
"E' un'Aquila<br />
"Insomma, Signori" sbottò l'oggetto della disputa "sono una Cornacchia Grigia, e sono senz'altro meno lugubre di qualunque Corvo e più intelligente di qualunque Aquila. Se non vi dispiace."<br />
"Ti avevo detto che non era un'Aquila"<br />
"Però ci assomiglia".<br />
"No che non ci assomiglia."<br />
"E allora!!" intervenne nuovamente la Cornacchia Grigia.<br />
Ci volle tempo e pazienza, ma alla fine i fatti furono esposti e la richiesta di trasporto formulata. Mantenendo fede alle sue affermazioni, e non ai nostri pregiudizi, la Cornacchia Grigia si mostrò subito acuta e disponibile. "A poca distanza dal palazzo si trovano le scuderie reali, dove siamo ben tollerate. Fin lì vi porterò, e non oltre, poiché più avanti offriremmo un bersaglio fin troppo facile a chiunque volesse provare la propria abilità con una freccia, un sasso, o magari anche una scopa. Dalle scuderie ai giardini è una questione di pochi balzi, anche per uno scricciolo e un anello. E chissà che magari il Re non vi risparmi la fatica decidendo di andare a cavallo proprio oggi."<br />
<br />
Così fu detto, e così fu fatto. Salutata la Cornacchia, i due si diressero verso un gruppo di umani dal piumaggio vistoso e colorato (si chiamano "vesti", precisò l'anello) scorti dall'alto durante il sorvolo. Raggiungerli fu un gioco da ragazzi, ma i guai incominciarono subito dopo. Wren balzò al fianco del capofila, e sprofondò nella neve, perso al mondo. Si lanciò in piena vista e, come era capitato la prima volta, il peso che si portava appresso lo precipitò dabbasso, di nuovo nella neve. Zampettò in mezzo alla traccia che faceva da sentiero e riuscì prima a farsi quasi calpestare dagli uomini e poi a farsi inseguire dai cani, che per fortuna erano cani da compagnia e non da caccia. Sfarfallò fin dentro ad un cespuglio, ma il ghiaccio e, ancora, la neve lo tennero all'interno, invisibile. "Canta, mio buon amico, canta. Se non riesci a farti vedere, cerca almeno di farti sentire.." gli suggerì, quasi gli intimò, l'anello. Lo scricciolo cantò, ma la sua voce si perse nel chiacchiericcio dei viandanti, nel rumore della marcia, nel niente.<br />
<br />
Il sole aveva appena superato il punto più alto della sua parabola quando arrivarono a palazzo, c'era ancora tempo.<br />
"Qual'è la finestra, Signore?"<br />
"Guardando a mezzo dei tuoi occhi, quella centrale, direi. Se la memoria non mi inganna."<br />
Scalare il rampicante che copriva la facciata del palazzo fu una delle cose più faticose che lo scricciolo avesse mai tentato, ma anche quell'impresa, alla fine, andò a termine. Saltellò sul davanzale fino ad arrivare a un punto in cui fosse possibile sbirciare all'interno attraverso i quadretti in cui la finestra era stata suddivisa. Si chiamavano "vetri", secondo l'anello.<br />
"Sono lì, li vedo." esclamò quest'ultimo, che stava evidentemente continuando ad osservare dagli occhi del portatore. Wren sbatté le ali, picchiettò sui "vetri", cantò, saltò, e poi fece tutto quanto un'altra volta, e un'altra ancora. Niente: lo scricciolo restava ignorato, invisibile ed inudito.<br />
"Abbiamo, per caso, un altro piano di riserva?" domandò alla fine, stanco e un tantino avvilito.<br />
"A dire il vero sì, amico mio, ma al momento mi sembra prematuro parlarne. Anche perché, se non mi sbaglio, stiamo per ricevere aiuto.."<br />
"E da chi, di grazia?"<br />
"Da me, direi." dichiarò qualcuno alle sue spalle.<br />
Wren si voltò in direzione della voce: "Cornacchia Grigia!"<br />
"Proprio io. Mi par di capire che i vostri tentativi finora non abbiano riscosso il successo sperato.."<br />
"A dir poco. Ma tu che ci fai qui? E le frecce? I sassi?"<br />
"Mi stanno ancora cercando. Ma non mi sembrava bello abbandonare voi due dilettanti qui a cavarvela da soli."<br />
"Salta sul cornicione, allora. Grande come sei ci vedranno di sicuro..."<br />
"Non se ne parla neppure, io sono ancora un visitatore non gradito quaggiù.."<br />
"E quindi?"<br />
"Quindi, adesso venite con me.."<br />
<br />
Erano in un'area più interna dei giardini. C'era una fontana, in gran parte ghiacciata, ma non del tutto. C'erano un bel po' di cespugli, di quelli che nella loro stagione si caricano di cose buone. C'erano anche parecchi alberi dello stesso tipo, con degli aggeggi evidentemente costruiti dagli uomini che pendevano dai rami. Qualcuno sembrava una casetta con la porta aperta. In mezzo allo spiazzo, in piena vista, si alzavano una serie di trespoli, piattaforme e ambaradan il cui proposito era un mistero. Tutto intorno era un concerto di canti e di voli di cince, passeri, fringuelli, regoli, pettirossi e tanti, tanti altri colleghi, anche di quelli che vengono da lontano. Quasi un intero piano del palazzo dava su questo giardino attraverso una fila interminabile di finestre con i "vetri".<br />
"Ma che posto è, questo?" domandò Wren.<br />
"Mentre vi tenevo d'occhio," rispose la Cornacchia "mi sono imbattuto in un gruppo di cinciarelle che mi ha raccontato di questo giardino. Il Re, credo per la figlia, ha messo insieme tutto questo spettacolo ad uso e consumo di voi uccelletti, che siete tanto simpatici e belli a vedere. Quelle cose piantate nel mezzo dello spiazzo sono delle mangiatoie, vale a dire dei posti dove gli umani giardinieri spargono del cibo che poi voi potete andare a spazzarvi via con comodo. Inutile dire che anche qui io sono bene accetto come un serpente nel nido."<br />
"E quindi?"<br />
"Ma sai dire solo 'equindi' ? Equindi, quasi tutte le sere, il Re e la figlia passano dietro a quelle finestre e si soffermano per un po' a rimirare il giardino. Se riusciamo a piazzarti in prima fila su di una delle mangiatoie non potranno non vederti, praticamente sono lì per quello. E il gioco è fatto."<br />
"Geniale!" affermò l'anello "e come ci arriviamo lassù?<br />
"Nel solito modo: sulle mie spalle."</div><div>"Aspetta, aspetta!" gridò Wren alla Cornacchia che si stava prudentemente, e piuttosto precipitosamente, allontanando dopo aver sbarcato i suoi passeggeri. Il pennuto grigio virò controvoglia e si portò a volteggiare sopra alla mangiatoia. "Che c'è adesso?"<br />
"E se il Re stasera non passa?"<br />
La Cornacchia virò di nuovo e si allontanò tra gli alberi.</div><div>"Guarda Papà, guarda quell'uccellino piccolino sulla mangiatoia. Che cosa ha intorno al collo?"<br />
"E' uno Scricciolo mia cara. Aspetta, fammi vedere..." il Re strizzò un tantino gli occhi, aveva notato che in quel modo tornava vederci bene quasi come una volta. Anche se durava solo un attimo.<br />
"Sembrerebbe un anello" aggiunse la principessa..<br />
"Perdiana, sembrerebbe IL MIO anello! Presto, che qualcuno mi porti il mantello! Presto, prima che voli via!"<br />
Wren balzò sulla mano del Re protesa appena sotto alla mangiatoia. La testolina si piegò verso il basso all'atterraggio e l'anello si sfilò senza nessuna difficoltà, cadendo nel palmo aperto. Era stato imbrogliato! Quel maledetto cerchio di metallo poteva allargarsi e stringersi come meglio credeva! Era stato imbrogliato e usato come mezzo di trasporto e fattorino.<br />
"E' vero, mio caro" gli confermò la solita voce. "Ma che altro avrei dovuto fare: in fondo sono solo un anello.."<br />
Prima che lo scricciolo riuscisse a mettere insieme una risposta sufficientemente saporita, fu il Re ad intervenire.<br />
"Frena la tua furia, piccolo amico, poiché essa è priva di destinazione. Non è nella natura di un anello comprendere il bene e il male o valutare le conseguenze delle proprie azione. Un anello compie ciò per cui è stato forgiato, e questo è quanto."<br />
Negli anni, ripensando a questa storia, a Wren sarebbe sorto più di un dubbio sull'affermazione Reale, ma al momento questa ebbe l'effetto di far evaporare la sua ira come nebbia al sole. Dopotutto sarebbe stato come arrabbiarsi con la pioggia perchè bagna o il sole perchè scalda. In effetti lo facciamo tutti, ma è meglio non vantarsene troppo.<br />
"Diversa è la questione per il Re, naturalmente..." continuò. "L'anello mi ha raccontato delle traversie che avete affrontato. Per essere notati, in particolare, e penso che si imponga un qualche genere di risarcimento. Non è in mio potere donarti più visibilità, e anche se lo fosse non credo che lo farei: ti sarebbe più di impiccio che d'aiuto nel vivere la tua vita d'ogni giorno. Ma è mio potere far sì che chiunque abbia orecchie per udire possa, d'ora in avanti, riconoscere uno scricciolo anche a grandi distanze, se lo scricciolo avrà voglia di cantare. Ora va, libero, piccolo amico, e porta con te la gratitudine del Re. La mia casa è la tua casa." Detto questo, lanciò lo scricciolo in aria. Con la coda dell'occhio Wren notò che la mano ora indossava l'anello. Planò a terra dopo un breve tratto e, senza sapere bene cosa aspettarsi, provò a cantare. Gli altri uccelli tacquero. Gli umani tacquero. Le foglie sugli alberi smisero di stormire. Il vento si fermò. Le nuvole, in alto, interruppero il loro viaggio. Tutto l'universo parve sospendere ogni attività per ascoltare quel primo canto, che nessuno avrebbe più dimenticato.<br />
"E con questo siamo pari, direi." pensò l'anello.<br />
<br />
Ecco come fu che lo scricciolo ottenne il suo canto, che a qualcuno ricorda il suono del ghiaccio che si scioglie, a primavera.<br />
<br />
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<a rel="license" href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/"><img alt="Creative Commons License" style="border-width:0" src="http://i.creativecommons.org/l/by-nc-nd/2.5/it/88x31.png" /></a><br /><span xmlns:dc="http://purl.org/dc/elements/1.1/" href="http://purl.org/dc/dcmitype/Text" property="dc:title" rel="dc:type">Il canto dello scricciolo</span> by <a xmlns:cc="http://creativecommons.org/ns#" href="http://traccevisibili.blogspot.com/2009/01/il-canto-dello-scricciolo.html" property="cc:attributionName" rel="cc:attributionURL">Fabrizio Burlone</a> is licensed under a <a rel="license" href="http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/">Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License</a>.<br />Permissions beyond the scope of this license may be available at <a xmlns:cc="http://creativecommons.org/ns#" href="http://traccevisibili.blogspot.com/" rel="cc:morePermissions">http://traccevisibili.blogspot.com/</a>.Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4680609969039050531.post-79766366429442044082008-12-24T10:16:00.001-08:002010-02-15T01:23:35.270-08:00volo di Natale<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3kQWiT890I/AAAAAAAABzI/TMxyBUcHXP4/s1600-h/volodinatale.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="315" src="http://2.bp.blogspot.com/_8OzU43qsZwc/S3kQWiT890I/AAAAAAAABzI/TMxyBUcHXP4/s400/volodinatale.jpg" width="400" /></a></div>"Nonno, nonno!."<br />
<br />
<div>Quello è mio nonno. Si chiama Geremia, è la Cicogna più vecchia di tutto lo stormo, forse di tutto il mondo. La mamma dice che ci sono più primavere sulle sue spalle che conchiglie nel mare. Io non lo so quante sono le conchiglie nel mare, ma devono essere proprio tante perché il mare l'ho visto ed è grandissimo. E lui che si prende cura di noi del primo anno. "Dove vai, nonno?"<br />
"Vado a trovare un amico, piccolo"<br />
"Posso venire anche io?"<br />
"C'è da volare un po'.."<br />
"A me piace volare."<br />
"Ma certo.. Facciamo così allora: dillo alla mamma, e chiedi se c'è qualcuno dei tuoi amici che vuole venire, che più siamo, meglio si vola."<br />
Ci avviamo in cinque, col nonno. A me piace volare, ma tanto. Quando si parte si fa fatica, ma poi si va sui posti dove c'è l'aria calda che viene su dal basso, e si sale, si sale, si gira in cerchio e si sale, fino a quando tutte le cose giù in terra diventano piccole piccole che si fa quasi fatica a vederle. Allora si va via diritto, ci si livella dicono i grandi, e si scivola via così, senza fatica che sembra quasi di volare. Anzi si vola proprio. Ali larghe, qualche piccola correzione, l'aria tutto intorno e il mondo che scorre di sotto. Potrei andare avanti per giorni, e a dirla tutta l'ho proprio fatto per davvero, alla fine dell'estate, quando abbiamo lasciato il nido dove sono nato per venire fino a qua. Mamma e papà erano preoccupati, perché è un viaggio lungo e difficile e avevano paura che non ce la facessi. Tanti di noi il primo anno non ce la fanno, ma io me la sono cavata benissimo. Mamma e papà mi hanno anche detto che quello era un viaggio diverso dal solito, perché il nonno doveva portare lo stormo a passare l'inverno in un altro posto.<br />
<br />
Il nostro stormo ha imparato a scendere dritto verso il caldo, sopra a una terra che si allunga nel mare per giorni e giorni. Si vola in alto, sulle montagne piene di boschi e con il mare in vista da tutte e due le parti. Dal lato dove sorge il sole ci sono spiagge lunghissime, dall'altro coste rocciose con un po' di isole e isolette, soprattutto all'inizio. Noi di solito viaggiamo più vicini a questa costa perché è più divertente. Quando si arriva al grande bivio, si piega un po' verso il tramonto, appena appena. Poi, dopo altri boschi e montagne, si passa sopra un piccolo tratto di mare, una specie di canale, e si vola sopra un'isola enorme. Poi ancora mare, ma questa volta per un salto lunghissimo. Volare sopra l'acqua è faticoso e pericoloso, non ci sono i giri d'aria calda che ti tengono su, e non ci si sono posti per scendere a riposarti se non ce la fai più. E' per questo che solo pochi stormi passano per questa via. Allora noi saliamo più che si può fino a che siamo ancora sulla terra e poi ci lanciamo via, fino dove si riesce ad arrivare. Alla fine ti tocca lavorare di ali, ma d'un colpo appare la costa e sei arrivato. Quasi, perché c'è ancora il deserto da attraversare e bisogna anche trovare il posto giusto per passare l'inverno, ma questo è più facile. Tutte queste cose me le hanno raccontate, perché io quella strada non l'ho ancora fatta. Quest'anno abbiamo piegato quasi subito verso il levante, scendendo lungo un grande fiume, fino al mare. E' lì che l'ho visto per la prima volta. Poi abbiamo seguito la costa per un bel po' di tempo, all'inizio c'era tanta sabbia, ma quando ha piegato verso il caldo abbiamo perso in fretta i boschi e la terra è diventata tutta dura e rocciosa, a volte di un bianco che faceva male agli occhi. Il mare era pieno di isole e isolette, tantissime, quelle più piccole bianche e pelate anche loro, con solo i gabbiani a volarci intorno. A me non piacciono i gabbiani. Fanno un sacco di rumore, e la mamma dice che rubano. Noi però siamo rimasti in alto, poi il nonno ci ha guidati verso l'interno e abbiamo sorvolato laghi, montagne, boschi e pianure, però diversi da quelli che ci sono intorno al nostro nido. Si sono uniti al nostro tanti altri stormi, c'erano cicogne che venivano da posti stranissimi, dove faceva sempre freddo, o dove c'erano solo alberi per giorni e giorni di volo, o dove non ce ne era neanche uno. Parlavano in modo strano, anche se ci si capiva lo stesso, e c'erano perfino delle cicogne nere come la notte, ma la mamma mi ha detto subito che il colore delle piume non conta, che tutte le cicogne sono sorelle. Doveva essere una cosa difficile da spiegare, perché era molto seria mentre lo diceva. A me sembrava tanto facile, invece. Anche io ero di un altro colore quando sono nato, e adesso sono così. Ma sono sempre io, il colore non conta. Basta pensarci no? Però ai grandi bisogna dare retta di tanto in tanto, se no vanno in confusione. Allora ho fatto la faccia seria anch'io, ho detto alla mamma che avevo capito e lei è stata contenta per tutta la giornata. Di notte, quando ci fermavamo per riposare, eravamo così tante da non sapere dove posarci. E alla mattina, quando salivamo in alto, bisognava fare attenzione a non prendere dentro nel vicino d'ala, e non era sempre facile. Più avanti c'era ancora il mare, ma era così piccolo che lo abbiamo attraversato tutto di un fiato, poi abbiamo attraversato una terra fatta tutta a montagne e colline ma senza una pianta, il nonno mi ha detto che non era proprio deserto, lui l'ha visto un sacco di volte, ma ci assomigliava parecchio. Alla fine siamo arrivati un'altra volta al mare, che si vede che c'è dappertutto. Qui era azzurrissimo e si vedeva anche una grande isola lontana lontana. Lo stormo ha girato verso il levar del sole, e, alla fine del mare, giù diritto verso i posti dove fa caldo. Noi ci siamo fermati un po' dopo, in un lago dove c'erano già un sacco di sorelle, ma la maggior parte dello stormo è andato più avanti. Mamma mi ha detto che avrebbero volato ancora per qualche giorno, noi invece per quell'inverno eravamo a posto.<br />
<br />
Il nonno sta facendo segno di scendere, si vede che siamo arrivati. Andiamo verso un villaggio degli uomini, da queste parti ci trattano abbastanza bene però a me fanno sempre un po' paura. Ci mettiamo in cima a uno dei loro nidi, quelli coperti che costruiscono con la pietra e pezzi di albero. Di fronte ce ne è un altro, più brutto, di quelli che di solito usano per tenere i loro animali. Infatti ce ne sono due dentro: sono una mucca e un asino. Ce ne sono uguali anche dove avevamo il nido noi, e anche lì vivono quasi sempre in costruzioni come quelle. Però lì c'erano anche due uomini, anzi uno era una donna. Queste cose le so perché me le spiega papà. Quando non so una cosa la mamma mi dice sempre di chiederla a papà, lui sbuffa un po' ma poi le cose me le dice.<br />
<br />
Il nonno sta guardando nell'altro nido, ma io non vedo niente. "Che c'è, nonno?"<br />
"Spostati un po' verso di me, guarda tra le ali della donna". Io non vedevo ancora niente, ma poi qualcosa si è mosso e ho capito: c'era un pulcino. I piccoli degli uomini a volte ci tirano i sassi, ma questo era davvero molto piccolo, doveva essere appena uscito dall'uovo, ed era molto buffo. Quasi carino. Sembrava addormentato, ma poi ha aperto gli occhi e ha guardato il nonno. Almeno, credo. Comunque ha agitato l'aluccia nella nostra direzione, come per salutare. Allora il nonno ha alzato la testa e ha risposto con il nostro tactac del becco, come facciamo sempre tra di noi quando ci incontriamo. Io e miei amici abbiamo fatto lo stesso, ed è stato un bel saluto. Anche il piccolo sembrava contento, e se gli uomini e le cicogne si rassomigliano almeno un pochino, secondo me ci ha sorriso. Poi ha chiuso gli occhi e si è rimesso a dormire.<br />
Mentre tornavamo ho chiesto al nonno chi era quel pulcino e perché siamo venuti a salutarlo.<br />
"E' il figlio di colui che ci guida quando voliamo." mi ha risposto. Io non ho capito, ma il nonno dice che capirò quando sarò più grande. Ha detto anche che quel piccolo un giorno diventerà un uomo molto importante, tanto che il giorno della sua nascita diventerà un giorno di festa in cielo e in terra. Sarà la festa del Santo Natale.<br />
E allora: buona festa. </div><div><br />
</div><div>Buon Natale a tutti.</div><div><br />
</div><div><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: Georgia, serif; font-size: 13px; line-height: 20px;">Clicca <a href="http://dl.dropbox.com/u/1408885/volo%20di%20Natale.pdf">qui </a>per scaricare il raccconto in formato Acrobat PDF</span></div>Unknownnoreply@blogger.com