L'agogna morta

La prima ad accorgersene fu la carpa. Aveva in mente di dare un'occhiata a uno dei prati sommersi subito dopo la curva, a valle, ma si era impantanata che mancavano ancora un sacco di colpi di pinna per arrivare a destinazione. Era parecchio, ormai, che superare la piega dell'ansa si era fatto difficile. Restava sempre meno acqua, e oggi non ce ne era proprio più. Pensò di sguazzare nel fango fin oltre l'ostacolo, le carpe sono brave a farlo. Non come le anguille, ma se la cavano.. Però non era piacevole, e c'era sempre il rischio degli uccelli: da quando l'acqua aveva incominciato ad abbassarsi avevano imparato ad appostarsi proprio lì per acchiappare i pesci di passaggio. Poco sportivo, ma efficace. Comunque, visto che non era l'unico posto del circondario dove andare a pascolare, la carpa aveva fatto solo un bel dietro front e non ci aveva pensato più. Fino a qualche giorno dopo, quando le capitò di parlarne con la tinca. La tinca lo disse al barbo. Il barbo al persico. Il persico al luccio. Il luccio, che per lavoro viaggiava parecchio, si ricordò di aver sentito una storia simile circolare all'altro capo dell'ansa. E allora, per togliersi il dubbio, si mise le pinne in spalla ed andò a controllare di persona. Arrivato dall'altra parte trovò in effetti un banco di sabbia a bloccare la via e, in acqua, solo un gruppo di avannotti. Alborelle probabilmente, così piccole che si faceva fatica a vederle. Chissà perchè gli altri pesci lo evitavano come peste. Era lì, in piena vista, era evidente che non fosse in caccia. Bah. "Ragazzino!" Uno degli avannotti si fece avanti.
"Dice a me signore?"
"Sì, a te. Quant'è che non si passa più di qua?"
"Da che mi ricordo io, di qua non si è mai passato, signore."
"Eh?"
"Questa è la fine del mondo, signore. Dove vuole andare?"
"Non importa ragazzino. Grazie."

Il luccio se ne tornò a valle, con la coda tra le pinne. Bisognava indagare fuori dall'acqua e, di conseguenza, fuori dalla sua portata. Avrebbe chiesto alle rane, che stanno un po' di là e un po' di qua. Prima però gli toccava convincerle che non era in caccia. Che fissazione!
"E se fosse una diga?"
"Una diga?" domandò il luccio.
"Ma sì" continuò la rana, "la tartaruga mi ha detto che lungo il fiume hanno visto quei topi che fanno le dighe."
"Ce ne fossero, sarebbero castori, non topi." Obiettò il topo campagnolo, che aveva visto i due chiacchierare e, incuriosito, si era avvicinato ad ascoltare. "Ma qui non ce ne sono. Nè ce ne sono mai stati."
"Sicuro?" chiese la rana, poco convinta..
"Siamo parenti, vuoi che non lo sappia?"
"Visto che sai così tante cose, perchè non ci dai una mano?" propose il luccio?
"Niente da fare, amico. In primo luogo odio l'umidità: sono topo di campo, io, non di fosso. E, in secondo luogo, di te non mi fido, luccio."
"Ma che fissazione, però!"

La rana ritornò già la sera successiva. "C'è poco da dire. Io e le mie sorelle ci siamo passate la voce e abbiamo fatto qualche giro... L'ansa è chiusa a monte e a valle, e non è solo una secca di traverso, è proprio sponda. Sponda sponda. Questa è una lanca adesso. Punto."
"Ma il fiume può tornare?"
"Io salto, ma non volo. E per dirtelo dovrei poter volare. Chiedi a un uccello."
"Chiedilo tu, è certo più facile incontrarne uno per terra che in acqua."
"Niente da fare amico, noi rane siamo cibo per la maggior parte di quelli che volano in alto. Cornacchie, cicogne, fai tu.."
"Chiedi ad una rondone, a un balestruccio, a un gruccione..."
"E quando li vedi a terra, quelli? Chiedi tu ad un airone"
"E lucci e aironi sono buoni amici, secondo te?"
"Ma tu sei un pesce intelligente, vedrai che un idea ti viene."

In pratica fu più semplice del previsto: bastò chiederlo a una folaga, che lo chiese ad un cannareccione, che lo chiese ad un tarabusino, che per ragioni di famiglia era in buoni rapporti con un sacco di aironi, e l'incontro fu organizzato.
"Per prima cosa voglio garanzia che tu non sia in caccia." incominciò il luccio.
"Ma che fissazione.. hai la mia parola."
"Bene. Ti chiedo di cercare una risposta per me, una risposta che può essere vista solo dall'alto. In qualche momento del tempo passato il mondo si è mosso e il nostro fiume ci ha lasciati indietro. Quello che ora abbiamo bisogno di sapere è se tornerà a riprenderci oppure se siamo rimasti fuori dai suoi pensieri, ora e per sempre."
L'airone ci pensò su, e poi rispose.
"Lune e lune addietro ho visto gli uomini arrivare al fiume. Avevano mezzi e strumenti, li ho visti andare, venire, scavare, riempire, abbattere e costruire tra fumi che toglievano il fiato e rumori insopportabili. Infine, se ne andarono. Ci fu una piena: forse a causa degli uomini, o forse no, il fiume cambiò direzione, tagliandosi una via diritta tra i capi dell'ansa. Poi passarono altre lune, ci furono ancora piene e secche. Ogni giorno la corrente portava un po' di terra in più sui banchi dove l'ansa e il nuovo corso si congiungevano, e ogni volta che l'acqua entrava nell'ansa lo faceva con più fatica. Noi abbiamo imparato ad appostarci lì per pescare, e devo dire che è stata una buona pesca fin che è durata. Poi, un giorno, la terra è affiorata per non essere più sommersa, e la via è rimasta chiusa. Altra terra si è posata da allora, e altra si poserà, perchè il fiume ora scorre forte e sicuro sulla sua nuova via. Non tornerà."
"Quindi questo ora è un mondo nuovo, un mondo con un inizio e una fine." Continuò il luccio. "Ne dovremo parlare."

Erano arrivati praticamente tutti. C'erano anche le sanguinerole, i vaironi, le lasche, i cavedani, i persici, i carassi, le scardole. C'erano le trote e le scavarde, che sono quei pesci che non si capisce bene che pesci sono.. C'erano le libellule, le lucciole, i maggiolini, gli scarabei, i rospi e le bisce d'acqua, che un po' guardavano sott'acqua e un po' sopra, per raccontare. C'erano i conigli, le lepri, le volpi, i ricci, i topi d'acqua, le donnole, si era fermato pure un cinghiale di passaggio, anche se non sapeva perchè. C'erano le nitticore, i tarabusi, le cinciallegre, i luì, i fringuelli, i codibugnoli, le capinere, i germani, le alzavole, due morette, tre martin pescatori e una sterna. E tutti gli altri abitanti del tratto di fiume che era diventato una lanca, camminassero, volassero, nuotassero o si spostassero in qualunque altro modo. Non tutti afferrarono la notizia, meno ancora ne furono preoccupati. Ma il luccio li avvertì:
"Ascoltate. Io sono nato in un fontanile, tanti anni fa e molto più a monte. L'acqua era pulita, più fresca di questa, la caccia era facile: tutto sommato potrei dire che che era un bel posto. Sì, proprio un bel posto. Poi la sorgente si asciugò, nessuno ha mai saputo perchè. Sul subito non ci demmo molto peso, ma nel giro di poche stagioni il fontanile si riempì di alghe, poi si interrò. Molti fratelli pesci morirono, gli uccelli se ne andarono, il bosco cambiò e anche tanti altri animali dovettero migrare. Io mi salvai solo perchè durante un temporale fortissimo riuscii a seguire un rivolo che debordava in una risaia e poi da lì arrivai in un fosso, poi in un altro e infine al fiume. Ero più giovane, allora."
"Non è detto che succeda anche qui." Obiettò un ramarro.
"E poi 'poche stagioni' sono comunque un sacco di tempo, per me almeno." Proseguì una farfalla.
"Possiamo sempre andare da qualche altra parte." raccomandò un cormorano.
"Facile per te, che non sei neanche di qui e ci vieni solo a pescare." contestò la testuggine "ma io dove vado?" E allora il toporagno si mise a litigare con il gufo, il ghiro con la puzzola, lo scoiattolo con la gallinella, il porciglione con la schiribilla e così via. Ognuno aveva qualcosa da dire e lo diceva chiaro e forte.
"Finiamola!" sbottò il luccio (e non fu facile per un pesce). "Non siamo qui per azzuffarci."
"E per che cosa, allora?" domandò l'upupa.
"Perchè il mondo sta per finire, ed è meglio che incominciamo a prepararci."

Gli anni passarono, e le cose andarono un tantino meglio del previsto. La lanca si riempì di vegetazione strana. Ninfee e nannufari nelle acque profonde. Tife e canne di palude lungo le sponde. Queste a dire il vero c'erano già anche prima, ma molte, molte meno. I pesci fecero un buon lavoro nel tenerle a bada, e la lanca continuò a respirare. Anni di piogge abbondanti portarono più acqua di quanto quelli di siccità riuscirono a sottrarre. E poi un po' ne filtrava anche dalla falda e dal fiume. Senza una corrente che li portasse via, però, tutti i detriti finivano sul fondo, anche le foglie, i frutti, i rami degli alberi circostanti e anche le piccole frane dalle sponde, la sabbia portata dal vento, il fango delle piogge e delle piene. Alla lunga la lanca si sarebbe interrata, quello era diventato evidente a tutti. Si sarebbe trasformata in un prato, prima, e in un bosco, poi. Ma ci sarebbe voluto ancora tempo, tanto tempo.
Il luccio era ormai vecchissimo, ma si era ripromesso di non morire fino a che non ci fosse stato più nulla da fare. Dei suoi vecchi amici non ne era rimasto nessuno, e i pesci, in totale, erano diminuiti di moltissimo di numero e di varietà. Solo qualcuna delle razze da fango, il pescegatto ad esempio, sembrava ancora cavarsela bene. Anzi, benone. Fuori dall'acqua non ci si poteva lamentare: tutta quella vegetazione in più aiutava gli uccelli e gli animali che abitavano nei canneti e sulle sponde. Tranne i pescatori, che avevano ormai quasi abbandonato la zona. A pochi passi dalla riva la situazione si faceva più incerta, perchè lì si stava combattendo una guerra.

Quando il fiume abbandona per sempre un tratto del suo percorso, quando le acque smettono di ricoprire e dilavare periodicamente un terreno, il bosco parte alla sua conquista. Prima arrivano le piante pioniere: il trifoglio, le euforbie, il ranuncolo. Le erbacce, insomma. Di solito non sono molto belle da vedere, ma sono robuste, maledettamente robuste. Bloccano il terreno, formano il primo substrato. E a dirla tutta hanno anche loro la loro poesia..
Poi arrivano gli arbusti: i salici, il biancospino, il prugnolo, il sambuco, la robinia. Che, a veder loro, si piglierebbero tutto lo spazio disponibile; specie la robinia, che cresce, cresce, cresce. Creano l'ombra, gli spazi e il cibo per gli animali, per gli uccellini.
Ma alla lunga anche gli alberi, quelli veri, arrivano per reclamare gli spazi che spettano loro di diritto. Alberi destinati a diventare gli anziani, i giganti, i patriarchi della foresta. I pioppi, le querce, gli aceri, gli ontani.
E piano piano, senza fretta, il bosco si mangia tutto, anche la lanca.
Così va il mondo, insomma. O meglio: andava. Prima che arrivassero gli uomini. Perchè gli uomini avevano inventato i diserbanti, che ammazzano le erbacce, ma non tutte. E gli antiparassitari, gli insetticidi. Gli uomini avevano cambiato la pianura come faceva più comodo a loro. Avevano introdotto specie nuove (anche la robinia, quella che cresce, cresce, cresce) e ne avevano eliminate altre. E, nel nostro caso, avevano pure piantato un pioppeto da taglio proprio lì, alla faccia del bosco. Anche per questo si erano impegnanti a tenere "pulito" il terreno. Pulito secondo il loro punto di vista, naturalmente. Le infestanti, che resistevano anche alle bastonate, crescevano come pareva loro. In compenso, il sottobosco, le siepi, i cespugli, tutta la vegetazione che offriva cibo e riparo insomma, veniva eliminata senza ritegno. Agli uomini non piace spartire, neanche con chi era lì prima di loro. Qua e là si inciampava in sacchi di prodotti agricoli dimenticati, parti di attrezzature obsolete, materiali dismessi, residui di lavorazione, inerti e tutte quelle altre cose che gli umani amano abbandonare in campagna. E che evidentemente non rientrano nel concetto di "tenere pulito". Poi, un giorno, una buona parte del pioppeto fu tagliata e portata via, e il posto venne dimenticato. Per mesi, forse per anni. Fino a quando un altro gruppo di uomini si fece avanti. Con zappe, badili, picconi e carriole.

"E che vogliono fare, in totale?"
Domandò il luccio al colombaccio, che lo teneva al corrente di quello che dall'acqua non si poteva vedere.
"Non promette nulla di buono. E' un po' che li vedo girare qui intorno, quelli lì"
"Bah.."
"Ma dai, questo posto assomiglia già al fondo di un nido vecchio di anni, se capisci cosa intendo.. Cosa vuoi che se ne facciano gli uomini? Vedrai che getteranno giù una colata di terra nera e ci piazzeranno le scatole che usano per spostarsi. O costruiranno un altro po' dei loro nidi. O magari una di quelle mangiatoie che puzzano di bruciato.."
"Speriamo di no.."
"Io ti dico solo che ho già visto cose di questo genere, capitano in continuazione nei paesi qui intorno."
"Speriamo di no.."
Per giorni, settimane, mesi li osservarono picconare, sbancare, scavare, sterrare, scarriolare e andarsene via con il mal di schiena. Ma tornavano sempre. E, passati i primi tempi di confusione totale, la lanca sembrava migliorare invece che peggiorare. Era difficile capire cosa stessero facendo. Alcune aree sembravano lasciate alla loro sorte. Altre erano lavorate in un modo, altre in una altro ancora. Alcuni tratti li ricoprivano di erba e altre cose. Poi li scoprivano. Poi ci seminavano.. Gli uccelli, che erano quelli che potevano ammirare tutta quella giostra con maggiore facilità, erano da tempo giunti alla conclusione che quegli umani fossero completamente matti. Ma anche simpatici, in fondo. Spesso e volentieri si fermavano ad osservarli, gli umani ai pennuti, intendo. E sembravano entusiasmarsi per ogni minima sciocchezza. Anche per questo qualche volta esageravano un po' nelle solite cose, per farli contenti. I pennuti agli umani, intendo. Le stagioni passavano, il bosco ricresceva. Ma quello vero, con anche tante piante che offrono bacche in quasi tutte le stagioni, e posti dove costruire i nidi e le tane. Le cose erano davvero migliorate, per tutti. Anche per i pesci nella lanca, che sembrava finalmente aver trovato un suo equilibrio. Tant'è che un giorno il luccio, decidendo forse che finalmente non c'era più niente da fare, se ne era andato. Almeno, così si pensava, perchè in realtà nessuno lo aveva più visto e basta. Però c'era anche chi diceva che invece era ancora là, da qualche parte, nelle acque fonde.
La lanca è grande, dopotutto. E chi lo sa?

Gli umani continuavano a venire, ma più di rado. A volte arrivavano in gruppo, magari con anche i loro piccoli. Si fermavano un po' e poi andavano via. A volte arrivavano solo i piccoli, con pochi adulti. Anche loro si fermavano un po' e poi andavano via. La rondine, che era nata tra le case degli uomini e aveva imparato a a conoscerli, si abbassò verso uno di loro che era tra quelli che si vedevano più di sovente e che sembrava spesso fare un po' da riferimento agli altri. Come tutte le volte, le rammentò una cosa che vedeva da piccola sul TV della famiglia che abitava di fronte al suo nido. "Secondo me assomiglia a Peppone." borbottò.
"Come?" chiese di rimando il suo compagno.
"Niente. Non capiresti."