il trucco del corvo

25/07/2010 - racconto modificato dopo la prima pubblicazione del 5/28/09. La versione originale è riportata al fondo.


Prima Parte
Il corvo aspettava. Appollaiato sul suo solito palo della luce, aspettava. Non appena uscii nel cortile gracchiò tre volte, il che rappresentava il suo saluto, ormai l’avevo imparato. Sollevai lo sguardo e risposi con un cenno della mano, giusto per fare un po’ di conversazione. I corvi sono animali intelligenti, gli scienziati americani hanno attaccato un pezzo di carne a uno spago e lo hanno lasciato penzolare da un ramo. I corvi hanno imparato a piazzarsi sul ramo, proprio di sopra, issare un tratto di spago con il becco, bloccarlo con le zampe in modo che il carico non scenda, riacchiappare la corda un po’ più dabbasso, issare un altro tratto, ribloccare e così via, fino a prendersi la carne. E ragionandoci su, oltretutto, mica andando per tentativi, a casaccio. Sempre ammesso che sia poi vero, intendiamoci, perchè a me sembra strano che gli scienziati, con tutte le cose importanti che hanno da fare, trovino tempo e voglia per mettersi a giocare con corvi, corde e bistecche.
Comunque, dicevo che qui in campagna noi ci facciamo un po’ di conversazione. Anche perché non è che ci sia molto d’altro in giro con cui chiacchierare, di solito. Però che anche quella mattina proprio quella particolare bestia fosse nuovamente lì, come la mattina precedente e quella prima ancora era piuttosto inquietante. Era un corvo come tutti gli altri: nero come il carbone dalla punta del becco a quella delle piume. Mezzo metro circa, a occhio; neanche poi tanto, tutto sommato, ne ho visti anche di 60 o 70 centimetri. Aveva anche una bella barba nera, sono le penne del sottogola che danno quell’impressione, si vedono bene quando muove la testa. Una cosa piuttosto comune. In totale, nulla che lo distinguesse a prima vista da tutti gli altri della sua razza. Eppure ero certo che fosse sempre lo stesso, che mi aspetta tutte le mattine da tre o quattro giorni a questa parte e che adesso si metterà a venirmi dietro per tutta la giornata. Non c'era un granché da farci, a parte prenderlo a fucilate. Il che non è per nulla una buona idea, perché ammazzare i corvi porta sfortuna. "Che sfortuna vuoi che ti porti?" mi aveva detto l’Antonio l’altra sera al circolo. "Se i corvi ti seguono vuol dire che puzzi già di morto. Almeno togliti la soddisfazione." E già, tutti buoni a fare gli spiritosi sui casi degli altri. Lo sanno anche i sassi che quando i corvi vengono a prendere le anime dei morti per guidarle dall'altra parte, se uno li ha fatti arrabbiare o magari li ha anche solo incontrati di cattivo umore, beh, allora la fanno perdere chissà dove, e a quel punto chi sarebbe a togliersi la soddisfazione? Magari è solo una storia e non c’è niente di vero, ma che ci spari lui ai corvi, se poi ha per davvero il coraggio di farlo. Io preferisco tenermeli buoni, e saluto, e faccio anche la riverenza per quel che mi costa..

Il contadino si avviò verso i campi, che comunque non avrebbero aspettato i suoi pensieri. A metà della mattinata si fermò per mettere qualcosa nello stomaco. Non faceva ancora caldo. L'inverno era finito, ma ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che la primavera arrivasse a prendere il suo posto. Cercò il corvo con lo sguardo, era già diventato un movimento automatico. C'era. Soddisfatto dell'occhiata ricevuta l'uccello abbandonò il suo posatoio e con pochi potenti battiti di ali attraversò il campo fino ai piedi delle colline. Prese a girare dentro alle correnti ascensionali, guadagnando quota. Era un volo lento, importante, solitario. I giovani invece li aveva visti volare spesso anche in stormi. Giocavano, si inseguivano, si sfidavano in gare di abilità che avevano forse lo scopo di conquistare il cuore delle loro future compagne, compagne per la vita. Ma per i corvi come per gli uomini, evidentemente, il tempo della spensieratezza prima o poi finiva, e quello che rimaneva era un volo lento, importante e solitario. Il trillo di un campanello lungo la strada lo scosse dai suoi pensieri. Si avvicinò alla carreggiata, ad aspettare il dottore che stava arrivando.
"Dov'é?" si premurò di chiedere il nuovo prima ancora di essersi del tutto fermato.
"Là, dottore." Rispose l'uomo indicando in direzione delle colline.
"Dove? Ah sì lo vedo. Piuttosto lontano.." c'era più di un po' di delusione nella sua voce, mentre estraeva il suo binocolo.. "Ah ecco, un Corvo Imperiale, dunque".
"Un corvo. Sì dottore."
"E ti segue.."
"E mi segue."
"Sono animali molto intelligenti sai? In America.."
"Sì, la cordicella, l'avevo letto pure io da qualche parte. Ma sarà vero?"
"E non solo quello.. Hanno anche osservato che possono imparare a usare piccoli attrezzi per procurarsi il cibo che non riescono a raggiungere altrimenti. Bastoncini, rametti, cose di quel genere.. Che se trovano carogne troppo dure per loro becchi vanno a chiamare predatori più grossi che le riescano ad aprire, meglio avanzi che mai. Che memorizzano la locazione delle riserve di altri corvi per poi saccheggiarle, e che ne costruiscono di fasulle per depistare la concorrenza. Che amano giocare, fanno anche ad acchiapparello con cani e lupi."
"E che seguono i contadini?"
Il dottore sembrò doverci pensare su un momento. "No, di questo non ho memoria."
"Magari non è cosa di scienza.."
"Ah, di leggende ce ne sono fin che si vuole, i corvi sono tra gli animali più chiacchierati. Nella nostra tradizione sono normalmente associati a morti, cimiteri tombe e oltretomba. Sicuramente per via delle loro abitudini saprofaghe, si capisce. Che mangiano carcasse, cioè. In Svezia rappresentano gli spiriti dei morti assassinati,
in Germania le anime dei dannati. Per contro, nel Nordest Asiatico e sulla Costa Pacifica è considerato un dio creatore e
benevolo. Nel Nordeuropa due corvi sono gli occhi e le orecchie di
Odino. Su e giù per le isole britanniche sono associati a dei e dee,
maghi, talismani, di tutto e di più. Poi, da quando hanno girato il film dove è morto il povero Brandon Lee, il figlio di Bruce Lee, quello del kung fu, è tutto un fiorire di riferimenti e leggende metropolitane. O magari è solo che gli stai simpatico, e ti segue per quello.."
"Non credo, dottore. Non sono mai stato così simpatico, e glielo dimostro subito lasciandola qui da solo e tornando al mio lavoro."
"Tocca a tutti in un modo o nell'altro. Ma dato che io, invece, ho ancora qualche ora libera, ti saluto e continuo il giro. Ci si vede.." Detto questo rilanciò la bicicletta e si allontanò sul sentiero, con binocolo che non aveva riposto che sbatteva a destra e a manca ad ogni pedalata..
Il contadino lo guardò arrancare per un po', poi, come promesso, tornò al lavoro. La giornata proseguì come doveva, di tanto in tanto l'uomo cercava il corvo, e da qualche parte immancabilmente lo trovava. Nel primo pomeriggio il tempo prese a guastarsi. Dalle colline scendevano sul piano nuvole basse cariche di una pioggerellina fine fine, di quelle che ti inzuppano fino alle ossa prima ancora tu possa decidere se sta per davvero piovendo o è solo umidità. Finito un lavoro che non poteva essere lasciato a metà, il contadino caricò armi e bagagli sul motocarro e prese la via del ritorno. Era già arrivato praticamente a casa quando notò le tracce: un fuoristrada. Venivano da una stradina che non portava da nessuna parte e proseguivano lungo lo sterrato che saliva in collina. Maledetti fuoristradisti, pensò. Capitava sempre più spesso che evadessero dalle zone a loro assegnate per cercare aree incontaminate da contaminare con le loro macchine. E c'era anche uno dei capanni da quella parte.. Senza pensarci due volte girò il mezzo e partì all'inseguimento. Davanti a lui il corvo, posato su di un ramo, fece sentire la sua voce. Ma la cosa passò del tutto inosservata.

Seconda Parte
Il fuoristrada era parcheggiato davanti al capanno, portiere spalancate e musica ad alto volume. Se si poteva chiamare musica.
Il contadino mollò il mezzo in un posto qualunque, saltò giù e si diresse come una furia verso la porta del capanno. La spalancò. Il tavolo al centro della stanza era ingombro di lattine di birra e di quello che sembrava la rimanenza di una discreta fornitura da impasticcati. Sotto al tavolo c'era un uomo che sembrava dormire nella stessa posizione in cui doveva essere caduto. A fianco, sul pavimento, un altro tipaccio si era congelato a metà di un complicato approccio a una ragazza che appariva ben poco entusiasta delle sue attenzioni. "E tu chi diavolo sei?" Sbraitò, rialzandosi in piedi fin troppo prontamente ed assestando una pedata di sveglia al suo compare.
"E quello chi diavolo è?" domandò l'altro. Istintivamente il contadino aveva fatto un passo indietro riportandosi nello spiazzo antistante al capanno. Uno dei due gli fu subito appresso. Da qualche parte aveva recuperato un coltello dall'aspetto decisamente cattivo. "Ti ho chiesto chi diavolo sei?" incalzò. Un altro passo indietro. "Dove credi di andare?" Poi in alto risuonò il verso del corvo, e una macchia nera di penne e piume sbucò dal nulla e si tuffò tra i due uomini. Più per sorpresa che per spavento il tipaccio si gettò a terra, offrendo al contadino una buona occasione per darsela a gambe. Raggiunse il limitare del bosco mentre l'altro stava ancora rotolando via da un pericolo immaginario, e in un attimo fu al riparo dell'ombra degli alberi e della foschia che scendeva dalle colline. Più o meno nella stessa direzione in cui si era allontanato il corvo. Il secondo tipaccio intanto era schizzato fuori dalla porta e si era lanciato all'inseguimento. Si sentirono due esplosioni e la corteccia di un tiglio alla sinistra dell'inseguito eruppe in mille pezzi.
Correre in un bosco non è cosa particolarmente facile, specie quando inciampare in una radice o in una buca può costare la pelle. Quella però era casa sua, il suo terreno, e in breve accumulò un vantaggio tale da perdere di vista i cacciatori. La foschia era diventata quasi nebbia, e anche l'oscurità era aumentata. Trovò un riparo e si mise in ascolto: inaspettata, un automobile si avviò e si allontanò, distante, approssimativamente in direzione del capanno.
"Ci ha fregato la macchina!" esclamò una voce vicina, troppo vicina.
"Non dire scemate, ce l'avevamo davanti."
"Sarà tornato indietro."
"Sì, con un missile."
"E allora chi é stato?"
Ci fu una pausa, poi:
"Te lo dico io chi è stato: la tipa che ci siamo portati su."
Si sentì una risata fragorosa.
"Certo che sei proprio bravo ad organizzare queste uscite. Prima peschi un ufficio postale che ha in cassa meno soldi di noi, poi la tipa che doveva essere una cosa sicura si impasticca male e cambia idea a mezza strada, poi ci viene a trovare l'uomo dei boschi. E adesso siamo anche rimasti a piedi."
"Piantala di fare l'idiota. Da che parte?
"Tu di là, io di qua. Chi lo vede spara."
Ci furono dei rumori di passi, alcuni dei quali sempre più vicini. Un fruscio d'ali.

Il corvo si era posato su di un ramo proprio in fronte a me. Io però stavo cercando di capire cosa stesse succedendo al tronco, qualche metro più sotto. Perchè era coperto per più di metà da un’ombra netta, precisa, come tagliata da un sole che invece non c’era. Poi l'ombra si mosse, e i miei capelli mi si rizzarono sulla testa. Perse spessore (solo in quel momento feci caso che ne aveva uno) e affondò nella pianta.
"Non ti muovere.." mi ordinò la voce del tipaccio. Non poteva sapere che non lo avrei fatto per tutto l'oro del mondo. Era spuntato da non so dove e si stava spostando di lato per mettersi davanti. Io non riuscivo a staccare gli occhi dal tronco in cui l'ombra era scomparsa. "Bravo, così. Ma che diavolo stai fissando? Non hai mai visto una pianta?" L’aria sembrò tremolare leggermente tra lui e l'albero, come sopra una strada quando fa caldo. Qualche foglia si spostò, mossa dal niente. Poi, d'un colpo, il bosco si sollevò con mani, braccia, testa ed infine un busto intero. Come un uomo che emerga di spinta dall'acqua di un fiume o di un lago, solo che qui tutto quanto era fatto solo di terreno, di fogliame, di muschio. La forma afferrò il tipaccio per le spalle e in un istante lo tirò giù, dentro al fiume di suolo, al lago, a quello che era. La superficie oscillò un paio di volte, poi tornò a solidificarsi e fu tutto finito. O quasi. Una mano riemerse, seguita da un volto. Impossibile dire da cosa fosse formato, eppure lo era. Portò l'indice sulle labbra, in un inequivocabile comando di silenzio. Poi si sgretolò in mille pezzi, andato. Scappai come se avessi avuto il diavolo alle calcagna, perchè probabilmente ce l'avevo. Dietro di me sentivo l'altro tipaccio sbraitare e correre nella mia direzione: fosse un inseguimento o una fuga, non saprei. Credo che mi stesse anche sparando contro, ma non ci potrei giurare.
Attraversai un sentiero e, come sarebbe presto o tardi dovuto succedere, mancai completamente il passo successivo finendo a terra come un perfetto imbecille Prima che riuscissi a rialzarmi il mio inseguitore mi fu addosso. Mi afferrò per la giacca, mi tirò su e mi attaccò ad una pianta. Era bello grosso. "Che hai fatto al mio amico? Chi diavolo.." alle sue spalle in un boato di legno, terra, foglie, polvere, cespugli e quant'altro un tratto di bosco sembrò esplodere in mille pezzi ricadendo subito dolo sul posto. Meccanicamente l'uomo si voltò verso lo sconquasso, mollando la presa. Mi afflosciai come un sacco vuoto, mentre l'altro puntava la pistola contro tutto quello che sembrava muoversi.
Dapprima lo percepii solo come un leggero brivido lungo la schiena. L'aria diventò ghiaccio nei polmoni. Poi ebbi la netta sensazione che qualcosa si fosse portato al mio fianco, qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì. Mi si parò davanti, e non aveva una forma: era un ombra corporea, un semplice luogo di oscurità. Ma aveva un volto, un volto identico a quello dell'uomo di terra che avevo visto prima, un volto che, Dio mio, sorrideva. Si girò, un attimo prima guardava me e subito dopo era voltato dall'altra parte. Attraversò lo spazio tra me e il mio aggressore in un istante, e in quell'istante sembrò essere dovunque allo stesso tempo. Abbracciò il vivo alle spalle e, per la prima volta, parlò.
"Non c'è niente lì" gli sussurrò all'orecchio. "E' solo la mano che nasconde il trucco". L'uomo si bloccò, congelato. Con un solo movimento innaturale l'apparizione passò davanti e avvolse la sua mano d'ombra attorno a quella armata dell'altro. D’istinto il ladro si sottrasse alla stretta, ma la pistola restò indietro, sospesa nella presa dello spettro.
"Ed è un bel trucco, non ti pare?" domandò, gettando l'arma da qualche altra parte, nel bosco.
L'altro arretrò di un passo e finalmente vide il suo avversario. La comprensione che si dipinse sul suo volto fu subito spazzata via dall'incredulità, e quindi dal terrore.
"No! Non è possibile. Tu.. tu sei morto!!"
"Sì, sono morto. Sono morto perché tu mi hai ucciso, canaglia! Sono morto e ho fatto un patto con un corvo, il corvo che avrebbe dovuto portare via l'anima di un altro uomo che tu avresti ucciso. E il corvo mi ha portato qui."
"Ma, ma.."
"Non ci sono 'ma'. Io ho pagato il mio prezzo e tu adesso pagherai il tuo."
Detto questo avanzò di un passo e affondò la mano nel petto dell'altro e quando la estrasse nel pugno teneva il suo cuore. Batteva ancora, lo vedevo pulsare, ne sentivo il ritmo. Il suo padrone lo guardava incredulo. Poi la mano del morto avvampò di una fiamma intensa, fredda, spaventosa.
"Questo è il fuoco dell'Inferno" dichiarò il morto "dove mi troverai ad aspettarti. E adesso brucia!"
L'altro tremò per un istante, poi urlò, come se.. come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Cadde a terra continuando a tremare ed ad urlare, ma il grido sembrava venire da più lontano, sempre da più lontano man mano che il cuore di consumava. Poi tutto cessò, quasi all'improvviso. Il morto che stava in piedi gettò i resti di quello che aveva tenuto in mano a fianco del morto che stava sdraiato. Come era già accaduto poco prima, il terreno per un attimo perse la sua solidità e il tipaccio (adesso mi faceva un po' impressione chiamarlo così) sparì, anche troppo lentamente, sotto la sua superficie.
"E' finita" annunciò la voce dello spettro, senza traccia di sollievo o consolazione.
Il corvo alzò la testa e gridò il suo verso, conferma o semplice eco di quanto era stato detto.
Quando abbassai lo sguardo l'apparizione o quel che era se ne era andata.

Arrivai al motocarro in pochi minuti, evidentemente in qualche punto delle mie corse avevo preso a tornare indietro. Anche l'auto, ovviamente, non c'era più. Nel capanno era rimasto solo un gran disordine e alcune lattine di birra vuote, niente altro. Uscendo, trovai ancora il corvo che mi aspettava, appollaiato su di un ramo basso. Gracchiò nella mia direzione, poi con il becco picchiettò il ramo alcune volte. Non capivo, quindi (suppongo) lo rifece. Andai al rimorchio e slegai un sacchetto di qualcosa che stava in un angolo. Quello che mi interessava era il cordino.
In mancanza d'altro ci attaccai un pezzo di una merendina della scorta di emergenza. Lo assicurai al ramo nel punto che mi era stato indicato e mi misi a guardare. Il corvo lo pinzò con il becco qualche centimetro al di sotto, lo issò e poi con una zampa bloccò lo spago. Si chinò, lo afferrò nuovamente e ne issò un altro tratto. In pochi istanti con quella tecnica raggiunse il pezzo di merendina e se la sbafò. Poi gracchiò un altro paio di volte, si alzò in volo e sparì oltre agli alberi.
Potevo essermi sognato tutto quanto, in fondo. Alla fine dei conti c'eravamo solo io e un pezzo di spago a penzoloni da un ramo..



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Il Trucco del Corvo
by Fabrizio Burlone 
is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
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Illustrazione di Eugenio Bausola


Versione originariamente pubblicata (5/28/09):
#1
Il corvo aspettava. Appollaiato sul suo solito palo della luce, aspettava. Non appena l'uomo uscì nel cortile il corvo gracchiò tre volte, il che rappresentava il suo saluto. L'uomo sollevò lo sguardo e rispose con un cenno della mano.
Non era una conversazione solita, ma neanche del tutto inusuale. I corvi sono animali intelligenti, gli scienziati americani hanno attaccato un pezzo di carne a uno spago e lo hanno lasciato penzolare da un ramo. I corvi hanno imparato a issare lo spago, bloccarlo con le zampette e prendersi la carne. E semplicemente ragionandoci su, non andando per tentativi. Beh, sempre ammesso che sia vero, naturalmente. Perchè in effetti sembra proprio strano che gli scienziati, con tutte le cose importanti che hanno da fare, trovino pure tempo e voglia per mettersi a giocare con pennuti, cordicelle e rami. Capita, comunque, che tra corvi e contadini in campagna ci si voglia scambiare quattro chiacchiere, dicevo. Non è insolito. Insolito era, invece, che anche quella mattina proprio quel particolare corvo fosse nuovamente lì, come la mattina precedente e quella prima ancora. Non aveva nessun segno particolare che lo distinguesse dai suoi consimili. Nero come la notte dalla punta del becco a quella delle piume, visto così sembrava misurare un po' di più di un mezzo metro. Due cose che lo qualificavano come un corvo e non come una cornacchia, anche se molti fanno confusione. Neanche troppo grande, ad ogni modo, visto che potevano arrivare anche a 60 o 70 centimetri. A volte, quando muoveva la testa, le piume del sottogola si arruffavano formando una specie di barba nera. Ma anche questo era un tratto comune. Un corvo come tanti, insomma. Eppure l'uomo era certo che fosse sempre lo stesso, che lo aspettava tutte le mattine da tre o quattro giorni a questa parte e che adesso avrebbe preso a seguirlo per tutta la giornata. Non c'era un granché da farci, a parte prendere a fucilate la bestia, e questo non se la sentiva proprio di farlo. Perchè ammazzare un corvo porta sfortuna.
"Che sfortuna vuoi che ti porti?" gli avevano detto gli amici in osteria. "Se i corvi ti seguono vuol dire che puzzi già di morto. Almeno togliti la soddisfazione." Lui non aveva risposto. C'era una storia che raccontavano i vecchi.. Diceva che i corvi venivano a prendere le anime dei morti e le guidavano dall'altra parte. O chissà dove, se li facevi arrabbiare..
Si avviò verso i campi, che comunque non avrebbero aspettato i suoi pensieri. A metà della mattinata si fermò per mettere qualcosa nello stomaco. Non faceva ancora caldo. L'inverno era finito, ma ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che la primavera arrivasse a prendere il suo posto. Cercò il corvo con lo sguardo, era già diventato un movimento automatico. C'era. Soddisfatto dell'occhiata ricevuta l'uccello abbandonò il suo posatoio e con pochi potenti battiti di ali attraversò il campo fino ai piedi delle colline. Prese a girare dentro alle correnti ascensionali, guadagnando quota. Era un volo lento, importante, solitario. I giovani invece li aveva visti volare spesso anche in stormi. Giocavano, si inseguivano, si sfidavano in gare di abilità che avevano forse lo scopo di conquistare il cuore delle loro future compagne, compagne per la vita. Ma per i corvi come per gli uomini, evidentemente, il tempo della spensieratezza prima o poi finiva, e quello che rimaneva era un volo lento, importante e solitario. Il trillo di un campanello lungo la strada lo scosse dai suoi pensieri. Si avvicinò alla carreggiata, ad aspettare il dottore che stava arrivando.
#2
"Dov'é?" si premurò di chiedere il nuovo prima ancora di essersi del tutto fermato.
"Là, dottore." Rispose l'uomo indicando in direzione delle colline.
"Dove? Ah sì lo vedo. Piuttosto lontano.." c'era più di un po' di delusione nella sua voce, mentre estraeva il suo binocolo.. "Ah ecco, un Corvo Imperiale, dunque".
"Un corvo. Sì dottore."
"E ti segue.."
"E mi segue."
"Sono animali molto intelligenti sai? In America.."
"Sì, la cordicella, l'avevo letto pure io da qualche parte. Ma sarà vero?"
"E non solo quello.. Hanno anche osservato che possono imparare a usare piccoli attrezzi per procurarsi il cibo che non riescono a raggiungere altrimenti. Bastoncini, rametti, cose di quel genere.. Che se trovano carogne troppo dure per loro becchi vanno a chiamare predatori più grossi che le riescano ad aprire, meglio avanzi che mai. Che memorizzano la locazione delle riserve di altri corvi per poi saccheggiarle, e che ne costruiscono di
fasulle per depistare la concorrenza. Che amano giocare, anche ad acchiapparello con cani e lupi."
"E che seguono i contadini?"
Il dottore sembrò doverci pensare su un momento. "No, di questo non ho memoria."
"Magari non è cosa di scienza.."
"Ah, di leggende ce ne sono fin che si vuole, i corvi sono tra gli animali più chiacchierati. Nella nostra tradizione sono normalmente associati a morti, cimiteri tombe e oltretomba. Sicuramente per via delle loro abitudini saprofaghe, si capisce. Che mangiano carcasse, cioè. In Svezia rappresentano gli spiriti dei morti assassinati,
in Germania le anime dei dannati. Per contro, nel Nordest Asiatico e sulla Costa Pacifica è considerato un dio creatore e
benevolo. Nel Nordeuropa due corvi sono gli occhi e le orecchie di
Odino. Su e giù per le isole britanniche sono associati a dei e dee,
maghi, talismani, di tutto e di più. Poi, da quando hanno girato il film dove è morto il povero Brandon Lee, il figlio di Bruce Lee, quello del kung fu, è tutto un fiorire di riferimenti e leggende metropolitane. O magari è solo che gli stai simpatico, e ti segue per quello.."
"Non credo, dottore. Non sono mai stato così simpatico, e glielo dimostro subito lasciandola qui da solo e tornando al mio lavoro."
"Tocca a tutti in un modo o nell'altro. Ma dato che io, invece, ho ancora qualche ora libera, ti saluto e continuo il giro. Ci si vede.." Detto questo rilanciò la bicicletta e si allontanò sul sentiero, con binocolo che non aveva riposto che sbatteva a destra e a manca ad ogni pedalata..
Il contadino lo guardò arrancare per un po', poi, come promesso, tornò al lavoro. La giornata proseguì come doveva, di tanto in tanto l'uomo cercava il corvo, e da qualche parte immancabilmente lo trovava. Nel primo pomeriggio il tempo prese a guastarsi. Dalle colline scendevano sul piano nuvole basse cariche di una pioggerellina fine fine, di quelle che ti inzuppano fino alle ossa prima ancora tu possa decidere se sta per davvero piovendo o è solo umidità. Finito un lavoro che non poteva essere lasciato a metà, il contadino caricò armi e bagagli sul motocarro e prese la via del ritorno. Era già arrivato praticamente a casa quando notò le tracce: un fuoristrada. Venivano da una stradina che non portava da nessuna parte e proseguivano lungo lo sterrato che saliva in collina. Maledetti fuoristradisti, pensò. Capitava sempre più spesso che evadessero dalle zone a loro assegnate per cercare aree incontaminate da contaminare con le loro macchine. E c'era anche uno dei capanni da quella parte.. Senza pensarci due volte girò il mezzo e partì all'inseguimento. Davanti a lui il corvo, posato su di un ramo, fece sentire la sua voce. Ma la cosa passò del tutto inosservata.
#3
Il fuoristrada era parcheggiato davanti al capanno, portiere spalancate e musica ad alto volume. Se si poteva chiamare musica. Il contadino mollò il mezzo in un posto qualunque, saltò giù e si diresse come una furia verso la porta del capanno. La spalancò. Il tavolo al centro della stanza era ingombro di lattine di birra e di quello che sembrava la rimanenza di una discreta fornitura da impasticcati. Sotto al tavolo c'era un uomo che sembrava dormire nella stessa posizione in cui doveva essere caduto. A fianco, sul pavimento, un altro tipaccio si era congelato a metà di un complicato approccio a una ragazza che appariva ben poco entusiasta delle sue attenzioni. "E tu chi diavolo sei?" Sbraitò, rialzandosi in piedi fin troppo prontamente ed assestando una pedata di sveglia al suo compare.
"E quello chi diavolo è?" domandò l'altro. Istintivamente il contadino aveva fatto un passo indietro riportandosi nello spiazzo antistante al capanno. Uno dei due gli fu subito appresso. Da qualche parte aveva recuperato un coltello dall'aspetto decisamente cattivo. "Ti ho chiesto chi diavolo sei?" incalzò. Un altro passo indietro. "Dove credi di andare?" Poi in alto risuonò il verso del corvo, e una macchia nera di penne e piume sbucò dal nulla e si tuffò tra i due uomini. Più per sorpresa che per spavento il tipaccio si gettò a terra, offrendo al contadino una buona occasione per darsela a gambe. Raggiunse il limitare del bosco mentre l'altro stava ancora rotolando via da un pericolo immaginario, e in un attimo fu al riparo dell'ombra degli alberi e della foschia che scendeva dalle colline. Più o meno nella stessa direzione in cui si era allontanato il corvo. Il secondo tipaccio intanto era schizzato fuori dalla porta e si era lanciato all'inseguimento. Si sentirono due esplosioni e la corteccia di un tiglio alla sinistra dell'inseguito eruppe in mille pezzi.
Correre in un bosco non è cosa particolarmente facile, specie quando inciampare in una radice o in una buca può costare la pelle. Quella però era casa sua, il suo terreno, e in breve accumulò un vantaggio tale da perdere di vista i cacciatori. La foschia era diventata quasi nebbia, e anche l'oscurità era aumentata. Trovò un riparo e si mise in ascolto: inaspettata, un automobile si avviò e si allontanò, distante, approssimativamente in direzione del capanno.
"Ci ha fregato la macchina!" esclamò una voce vicina, troppo vicina.
"Non dire scemate, ce l'avevamo davanti."
"Sarà tornato indietro."
"Sì, con un missile."
"E allora chi é stato?"
Ci fu una pausa, poi:
"Te lo dico io chi è stato: la tipa che ci siamo portati su."
Si sentì una risata fragorosa.
"Certo che sei proprio bravo ad organizzare queste uscite. Prima peschi un ufficio postale che ha in cassa meno soldi di noi, poi la tipa che doveva essere una cosa sicura si impasticca male e cambia idea a mezza strada, poi ci viene a trovare l'uomo dei boschi. E adesso siamo anche rimasti a piedi."
"Piantala di fare l'idiota. Da che parte?
"Tu di là, io di qua. Chi lo vede spara."
Ci furono dei rumori di passi, alcuni dei quali sempre più vicini. Un fruscio d'ali.
#4
Da qui in avanti la devo raccontare io, perchè c'ero. Il corvo si era posato su di un ramo di un albero proprio in fronte a me. Era un albero strano, non tanto l'albero in sè, quanto il fatto che un lato del tronco risultava evidentemente in ombra, malgrado il sole se ne fosse andato da ore. Poi l'ombra si mosse, e i miei capelli si rizzarono sulla testa. Perse spessore (solo in quel momento mi resi conto che ne aveva uno) e affondò nella pianta.
"Non ti muovere.." mi ordinò la voce del tipaccio. Non poteva sapere che non lo avrei fatto per tutto l'oro del mondo. Era spuntato da non so dove e si stava spostando di lato per mettersi davanti. Io non riuscivo a staccare gli occhi dal tronco in cui l'ombra era scomparsa. "Bravo, così. Ma che diavolo stai fissando? Non hai mai visto una pianta?" La terra sembro tremolare leggermente tra lui e l'albero, come sopra una strada quando fa caldo. Al suolo qualche foglia si spostò, mossa dal niente. Poi, d'un colpo, la terra si sollevò con mani, braccia, testa ed infine un busto intero. Come un uomo che emerga di spinta dall'acqua di un fiume o di un lago, ma qui era il bosco stesso ad essere persona. Afferrò il tipaccio per le spalle e in un istante lo tirò giù, dentro al fiume, al lago, a quello che era. La superficie oscillò un paio di volte, poi tornò a solidificarsi e fu tutto finito. O quasi. Una mano riemerse, seguita da un volto. Impossibile dire da cosa fosse formato, eppure lo era. Portò l'indice sulle labbra, in un inequivocabile comando di silenzio. Poi si sgretolò in mille pezzi, andato. Scappai come se avessi avuto il diavolo alle calcagna, perchè probabilmente ce l'avevo. Dietro di me sentivo l'altro tipaccio sbraitare e correre nella mia direzione: fosse un inseguimento o una fuga, non saprei. Credo che mi stesse anche sparando contro, ma non ci potrei giurare.
Attraversai un sentiero e, come sarebbe presto o tardi dovuto succedere, mancai completamente il passo successivo finendo a terra come un perfetto imbecille Prima che riuscissi a rialzarmi il primo dei miei inseguitori mi fu addosso. Mi afferrò per la giacca, mi tirò su e mi attaccò ad una pianta. Era bello grosso. "Che hai fatto al mio amico? Chi diavolo.." alle sue spalle in un boato di legno, foglie, polvere, cespugli e quant'altro un vecchio albero, un olmo probabilmente, sembrò esplodere a pezzi e bocconi direttamente sul posto. Istintivamente l'uomo si voltò per fronteggiare la nuova situazione, mollando la presa. Mi afflosciai come un sacco vuoto, mentre l'altro puntava la pistola verso tutto quello che sembrava muoversi.
Dapprima lo percepii solo come un leggero brivido lungo la schiena. L'aria diventò ghiaccio nei polmoni. Poi ebbi la netta sensazione che qualcosa si fosse portato al mio fianco, qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì. Mi si parò davanti, e non aveva una forma: era un ombra corporea, un semplice luogo di oscurità. Ma aveva un volto, un volto identico a quello dell'uomo di terra che avevo visto prima, un volto che, Dio mio, sorrideva. Si girò, un attimo prima guardava me e subito dopo era voltato dall'altra parte. Attraversò lo spazio tra me e il mio aggressore in un istante, e in quell'istante sembrò essere dovunque allo stesso tempo. Abbracciò il vivo alle spalle e, per la prima volta, parlò.
"Non c'è niente lì" gli sussurrò all'orecchio. "E' solo la mano che nasconde il trucco". L'uomo si bloccò, congelato. Con un solo movimento innaturale l'apparizione passò davanti e avvolse la sua mano d'ombra attorno a quella armata dell'altro. All'istante il ladro si sottrasse alla stretta, ma la pistola restò indietro, sospesa nella presa dello spettro.
"Ed è un bel trucco, non ti pare?" domandò, gettando l'arma da qualche altra parte, nel bosco.
L'altro arretrò di un passo e finalmente vide il suo avversario. La comprensione che si dipinse sul suo volto fu subito spazzata via dall'incredulità, e quindi dal terrore.
"No! Non è possibile. Tu.. tu sei morto!!"
"Sì, sono morto. Sono morto perché tu mi hai ucciso, canaglia! Sono morto e ho fatto un patto con un corvo, un corvo che avrebbe dovuto portare via l'anima di un altro uomo che tu avresti ucciso. E il corvo mi ha portato qui."
"Ma, ma.."
"Non ci sono 'ma'. Io ho pagato il mio prezzo e tu adesso pagherai il tuo."
Detto questo avanzò di un passo e affondò la mano nel petto dell'altro e quando la estrasse nel pugno teneva il suo cuore. Batteva ancora, lo vedevo pulsare, ne sentivo il ritmo. Il suo padrone lo guardava incredulo. Poi la mano del morto avvampò di una fiamma intensa, fredda, spaventosa.
"Questo è il fuoco dell'Inferno" dichiarò il morto "dove mi troverai ad aspettarti. E adesso brucia!"
L'altro tremò per un istante, poi urlò, come se.. come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Cadde a terra continuando a tremare ed ad urlare, ma il grido sembrava venire da più lontano, sempre da più lontano man mano che il cuore di consumava. Poi tutto cessò, quasi all'improvviso. Il morto che stava in piedi gettò i resti di quello che aveva tenuto in mano a fianco del morto che stava sdraiato. Come era già accaduto poco prima, il terreno per un attimo perse la sua solidità e il tipaccio (adesso mi faceva un po' impressione chiamarlo così) sparì, anche troppo lentamente, sotto la sua superficie.
"E' finita" annunciò la voce dello spettro, senza traccia di sollievo o consolazione.
Il corvo alzò la testa e gridò il suo verso, conferma o semplice eco di quanto era stato detto.
Quando abbassai lo sguardo l'apparizione o quel che era se ne era andata.
#5
Arrivai al motocarro in pochi minuti, evidentemente in qualche punto delle mie corse avevo preso a tornare indietro. Anche l'auto, ovviamente, non c'era più. Nel capanno era rimasto solo un gran disordine e alcune lattine di birra vuote, niente altro. Uscendo, trovai ancora il corvo che mi aspettava, appollaiato su di un ramo basso. Gracchiò nella mia direzione, poi con il becco picchiettò il ramo alcune volte. Non capivo, quindi (suppongo) lo rifece. Andai al rimorchio e slegai un sacchetto di qualcosa che stava in un angolo. Quello che mi interessava era il cordino.
In mancanza d'altro ci attaccai un pezzo di una merendina della scorta di emergenza. Lo assicurai al ramo nel punto che mi era stato indicato e mi misi a guardare. Il corvo lo pinzò con il becco qualche centimetro al di sotto, lo issò e poi con una zampa bloccò lo spago. Si chinò, lo afferrò nuovamente e ne issò un altro tratto. In pochi istanti con quella tecnica raggiunse il pezzo di merendina e se la sbafò. Poi gracchiò un altro paio di volte, si alzò in volo e sparì oltre agli alberi.
Potevo essermi sognato tutto quanto, in fondo. Alla fine dei conti c'eravamo solo io e un pezzo di spago a penzoloni da un ramo..