Il pan dei merli, vale a dire la vera storia del Panettone.

Pan dei merli 2

Il pan dei merli. 

  

Natale

Toni inspirò con forza l’aria carica di sapori che saliva dalla cucina. Lo faceva tutte le mattine mentre scendeva dalla stanzetta in cui dormiva con gli altri sguatteri. Era più forte di lui: era come fare colazione in anticipo. Sapeva benissimo che gli altri ragazzi lo prendevano in giro per quello, per quello e per l’espressione di meraviglia che gli si dipingeva sul viso ogni giorno quando finalmente varcava la soglia delle Grandi Cucine. Lo facevano anche i cuochi, anche il capo cuoco qualche volta, ma solo per scherzo. Loro erano tutte persone importanti, sempre indaffarate a lavorare e a dare ordini. Taglia questo, pela quello, pulisci di qui, pulisci di là. E non andava mai bene niente a sentir loro, si poteva sempre fare di meglio e in minor tempo. Ma a lui era troppo contento al momento per prendersela per tutte quelle ramanzine. Era la mattina di Natale e lui era nel posto più bello del mondo. Cosa avrebbe potuto chiedere di più? Uno degli aiutanti gli sbraitò qualcosa sul “restare imbambolati” e poi proseguì per la sua strada, in altre faccende affaccendato. In effetti non c’era tempo da perdere, oggi. La notte prima era anche dovuto scappar via dalla Veglia di Natale per poter dormire qualche ora prima di presentarsi in cucina, ma Padre Giovanni si era detto d’accordo e di conseguenza doveva esserlo stato anche il Padreterno. Per fortuna, o di proposito, la chiesetta riservata alla Servitù non distava molto dal Palazzo (anche se era un tantino “fuori mano”) e allora eccolo qui adesso, bello fresco e riposato. E affamato. Raccolse qualcosa da mettere sotto i denti lungo la via che portava al suo angolino privato, proprio a fianco di una grande credenza ormai in disuso. Gli si fermò quasi il cuore nel vedere che questa mattina anche quella era stata ripulita e adoperata. In parte, almeno. Aprì lo stipetto di mancina, temendo quello che avrebbe potuto scoprire. Il suo segreto era ancora lì, meno male, proprio dove lo aveva messo lui, intatto. Solo un bel po’ più grande, ma quello se lo aspettava. Nessuno si era accorto di niente (che fortuna), quindi richiuse il tutto, prudentemente. Un cuoco finalmente lo notò, trovandogli immediatamente qualcosa da fare. Toni si prese al volo un altro po’ di colazione e attaccò il lavoro, fischiettando. Era proprio contento, oggi. Solo l’estate prima, chi avrebbe mai detto che lui, proprio lui, sarebbe diventato un giorno uno degli sguatteri di cucina del Duca Ludovico Sforza detto “il Moro”? Una posizione invidiabile, a dir poco. Certo che, a pensarci, i casi che lo avevano portato fin lì erano stati a quantomeno bizzarri. Tutto era cominciato su, verso la Martesana, dove la sua famiglia viveva facendo quello che più o meno facevano tutti da quelle parti, vale a dire la fame..
  

Luglio

Da quando erano cominciati i lavori per le nuove conche, a bazzicare il Naviglio e gli Approdi non era poi così difficile trovare un lavoro giornaliero. Però, bisognava farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, accattivarsi la simpatia di barcaioli, capimastri, carrettieri e quant’altri, guadagnarsi la loro fiducia. Poi c'era da darsi da fare, lavorare sodo e lasciare una buona impressione, perchè per uno che veniva preso ce ne erano sempre due che restavano fuori. Oggi a me domani a te, dicevano gli uni agli altri, ma Toni aveva scoperto in fretta che  con un po' di impegno si riusciva a mangiare tutti i giorni, o quasi. Lui ci riusciva, almeno. La cosa peggiore, comunque, era il dover aspettare in riva alla Martesana: una noia mortale, non c’era mai niente da vedere lì, mai niente da fare. Anche per quello, probabilmente, uno degli altri ragazzotti si era portato dietro la fionda del fratello e adesso si stava divertendo a tirare i sassi contro i legni dall’altra parte del canale.
“Così son capaci tutti, ci vuole un bersaglio più difficile” lo sfidò un suo compare.
“E quale, se ne vedi?” rilanciò il fromboliere.
“Quelle Rondini lassù. Riesci a prenderle?”
Tutti quanti rivolsero lo sguardo verso il cielo.  Appena visibili, in alto, le Rondini volavano come il vento.
Senza troppa convinzione, il ragazzo montò una pietra nell’attrezzo, lo roteò un paio di volte con una certa abilità e infine scagliò il proiettile. Che passò a un miglio di distanza dal suo bersaglio per poi sparire rapidamente alla vista del lanciatore ed atterrare chissà dove.
“Impossibile” dichiarò questi.
“Se non sei capace..”
“Non è che non sono capace. E’ proprio che è impossibile. Provate voi a mano, se non ci credete. Sopra alla roggia ce ne sono un sacco che volano basse. Provate. Se riuscite a prenderle almeno una mi rimangio quello che ho detto. E ci metto anche la fionda, sopra. Contro niente.”
Spronato dalla sfida e dalla posta in palio il gruppo corse verso la Martesana, armato di sassi, ciottoli e pietre varie. La sassaiola partì micidiale, per venire interrotta bruscamente alla terza o quarta salva dalle bestemmie di un barcaiolo di passaggio che si era trovato involontariamente a ridosso delle traiettorie dei più scriteriati. I ragazzi ruppero le righe dandosi ad una fuga a dir poco precipitosa,  e senza aver fino a quel punto raccolto alcun trofeo.
“Sciocchi” commentò Toni dall’approdo da dove aveva osservato la scena. “E poi quelle non sono neanche Rondini, sono Rondoni.”
“E quale che sono le differenze, ragazzo?” gli domandò un tizio che si era fermato accanto a lui a guardare. Toni si voltò, incuriosito, a scrutarlo. Non ci aveva fatto caso subito, ma era proprio quell’omone che si era visto in giro di recente da quelle parti a controllare il canale. Prendeva misure, disegnava appunti su di un taccuino che si portava sempre appresso, raccoglieva pezzi di terreno di riva, faceva domande agli operai e ai capimastri. Doveva essere un gran signore, a giudicare dalle vesti e dagli ornamenti. E un gran sapiente: barba e capelli lunghi, aspetto imponente, sembrava proprio uno dei Re Magi come li aveva visti ritratti sulla pala di Sant'Eustorgio qualche tempo addietro, in città. E poi lo aveva notato spesso e volentieri anche più a valle, dove c’era la testa dei lavori, intento a parlare fitto fitto con ingegneri e direttori che parevano prendere assolutamente sul serio di tutto quello che lui diceva, senza discussioni. Da non crederci. A volte arrivava con un codazzo di ragazzi e nobiluomini e sembrava tenere lezione, o illustrare un’idea. E adesso stava chiedendo una cosa proprio a lui.. Che strano accento, però.
“Le differenze sono parecchie, Messere” rispose senza esitazione. “In volo, il rondone è più grande di quasi un palmo, e soprattutto ha una forma inconfondibile, di una falce senza il manico o di uno spicchio di luna, se preferisce. Testa e coda si notano appena ed è tutto scuro, a parte la gola che è invece chiara, quasi bianca. Ma non è facile da notare quando stanno in alto. La rondine invece ha una coda lunga lunga, fatta come la forcella di un ramo, la pancia è bianca e gola e parte del capo attorno al becco sono tinte di un rosso scuro, come quello di un mattone.  E poi volano in modo completamente diverso, la rondine è più agile, più mobile..”
“Aspetta che ti mostro una cosa, allora..” Il signore gli aprì davanti il taccuino e prese a sfogliare le pagine. Toni scorse di sfuggita immagini di strane macchine, di parti anatomiche, di volti, di figure di cavalli parziali e intere, il tutto immerso in una strana calligrafia illeggibile (e lui sapeva leggere, appena appena ma lo sapeva fare) che sembrava occupare qualunque posizione disponibile sulla pagina. “Ecco!” esclamò alla fine l’uomo. “Questi che sono, secondo te?” 
"Rondoni. Vedete qui come l'ala è così robusta e comunque sottile e slanciata? Questo con la pancia bianca poi deve essere un Rondone Maggiore, il più grande e il più potente di tutti." Toni si soffermò ad ammirare le figure che sembravano volare sulla carta davanti a lui. "Certo che Voi siete proprio bravo a disegnare, sapete?" dichiarò alla fine. "Anche se tutto questo dettagliare di ali dritte e piegate, chiuse e aperte, vicine e lontane mi sembra in fondo più difficile che bello. Avete mai pensato di fare qualche ritratto? O qualche pittura di Santi o di Madonne? Da quanti ne vedo nei palazzi e nelle chiese mi viene da pensare che ci sia richiesta, e magari uno bravo come Voi potrebbe anche ricavarci qualcosa." 
"In effetti qualche cosa l’ho fatta, anche" dichiarò l'altro candidamente, "Ma in fin dei conti io mi vedo più come un costruttore che come un artista, e questi schizzi qua sono giusto degli appunti per dei progetti che c’ho in testa..  Nulla di preciso ancora, ma un domani chissà...  E tu, piuttosto, come l’è che sai tutte codeste cose sulle Rondini?"
"Sulle Rondini e su gli altri uccelli" dichiarò il ragazzo. "Mio padre coltiva il Gelso, su a Concorezzo, e io gli do una mano. O meglio, dovrei dire 'gli davo', visto che adesso con tutto questo parlare di guerra che si sta facendo si è fermato tutto quanto ed è rimasto senza lavoro."
"A me lo dici, ragazzo. Io c'ho rimesso un cavallo e cento tonnellate di bronzo per questa guerra che non l’è nemmeno ancora cominciata. Mi spiace per il tuo babbo, comunque. Ma sono certo che si ripiglierà in fretta, il gelso ha un futuro qui a Milano. Ci potrei anche scommettere."
Toni non aveva capito un granché della cosa del cavallo, ma lo prese come un augurio di buona fortuna. "Grazie”rispose quindi educatamente. “E’ quel che dice anche lui. Nel frattempo bisogna pur mangiare, però.. A proposito, non è che Voi, che mi sembrate un gran signore,  avreste qualche cosa da offrire a un giovane di buone speranze che sa tante cose sugli uccelli?"
Il Gran Signore parve un poco imbarazzato dalla richiesta. "Non so quanto denaro abbia dietro, ma posso vedere.."
"No, no" si affrettò a chiarire Toni. "Intendevo un lavoro, non un elemosina. Non è che mi dispiaccia darmi da fare ai cantieri, ma oggi ti pigliano, domani non ti pigliano, dopodomani chissà. Sto cercando qualcosa di più stabile. Le braccia le ho buone e la fatica non mi spaventa. Che dite?"
L'altro ci pensò su un pochettino. "E’ che  al momento non saprei per cosa prenderti, ragazzo" dichiarò alla fine. “Di questi tempo ho più gente da pagare che lavori da portare avanti, perdiana, e pure a me mi  tocca di campare alla giornata, ormai. D'altra parte..”
"D'altra parte..." incalzò il ragazzo.
"D'altra parte, l’è un po' di tempo che ho messo gli occhi su di una bella vigna dalle parti di Porta Vercellina, giù in città. E' del Duca, e l’è tenuta proprio maluccio in fin di conti.  Non penso che se ne avrà a male se gliela sistemiamo noi un tantino. Dai miei vigneti, nel Montalbano, di vino buono riesco sempre a tirarne fuori parecchio, perbacco. Poi, a cose fatte, magari si riesce anche a fargli metter giù un contrattino. Dove il vino l’è bono la gente è felice, diceva il mio babbo. Facciamo così: domani mattina devo andare a Santa Maria delle Grazie, per vedere di un lavoro nel refettorio. Se ti fai trovare lì un po’ dopo i mattutini, poi si va a dare un'occhiata. Va bene?"
Per tutta risposta il ragazzo sputò sul palmo e lo porse per la stretta, come da tradizione. Leonardo da Vinci sputò a sua volta e accettò l'invito, e così il patto fu suggellato. 

  

Ottobre

E così erano passati tre mesi.
Il lavoro alla vigna era partito subito, ed era partito bene per giunta: Leonardo si faceva vivo  quasi quotidianamente per mostrare cosa andava fatto e cosa no, e lui metteva in opera.
Non solo mangiava due volte al giorno, perfino tre di tanto in tanto, ma riusciva anche a portare a casa dei bei soldi per la famiglia. E' vero che la strada da fare tutti i giorni avanti e indietro era lunga e costava un bel po’ di tempo (e un bel po’ di scarpe), ma il lavoro andava preso dove te lo davano, diceva sempre suo padre. Ai suoi tempi era anche peggio, aggiungeva. Brav'uomo il papà del Toni. Delle volte scendeva anche lui giù in vigna a dare una mano al figlio. Così, senza chiedere alcun compenso. E allora Leonardo aggiungeva qualcosa al salario di Toni, di nascosto quasi.
Col passare del tempo Toni aveva insegnato al Gran Maestro tutto quel che sapeva sui suoi uccelli e sulle loro abitudini, di come riuscissero a procurarsi il cibo o un posto per fare il nido, di come alcuni passassero tutta la loro esistenza da soli o quasi e altri al contrario preferissero riunirsi in grandi gruppi nei boschi sugli argini o nei giardini. Di come alcuni arrivassero d'estate e partissero d'inverno mentre altri sembravano piuttosto seguire un percorso inverso e altri ancora si potevano invece vedere tutto l'anno, anche se magari non erano davvero sempre gli stessi. E poi gli aveva raccontato tante e tante altre cose. Leonardo sembrava particolarmente interessato ai Grandi Volatori.  Le Rondini ed i Rondoni come abbiamo già visto, e poi i Falchi (il Gheppio, il Grillaio, il Lodolaio e lo Smeriglio, che lui chiamava genericamente "falchetti", e anche il Pellegrino, il Nibbio, l'Astore o lo Sparviere che rientravano invece nella categoria dei "falchi" vera e propria).  Le  Aquile (che comprendevano anche Bianconi e Poiane), gli Avvoltoi,  i Gabbiani e le Sterne  (e anche qui ci sarebbe stato da fare un bel po' di distinguo). Era incredibile, ad ogni modo, quante cose già sapesse il suo padrone sull'argomento. Solo che era un sapere molto particolare, quasi chirurgico. Se conosceva benissimo, a menadito si potrebbe dire, l'anatomia di praticamente tutti i tipi di ala o la struttura di tutti gli ordini di penne e di piume, ben poco sapeva invece degli usi e dei costumi dell'uccello che le impiegava o le indossava. O perchè portasse un certo colore piuttosto che un altro o anche solo dove e quando lo si potesse incontrare o vedere "all'opera", per così dire. Tutte quelle cose, insomma, che facevano parte del comune sapere di chi viveva in campagna, fosse per evitare un danno al raccolto o per riempire un paniere. Perchè di quei tempi, non dimentichiamolo, gli animali erano anche cibo o denaro.
Fu durante quelle lunghe chiacchierate sull'argomento che i due  se non diventarono proprio amici (non era  il caso), costituirono quantomeno un solido legame tra loro. Legame destinato a proseguire anche quando, con l'arrivo dell'inverno, i lavori alla vigna subirono una drastica e deludente interruzione. La vendemmia non era andata benissimo, Leonardo se lo aspettava: fretta e vino buono non erano mai andati d'accordo. Ma il Duca, che non era uomo di pazienza, aveva presto perso interesse nella cosa e conseguentemente aveva anche chiuso i cordoni della borsa. Il Maestro non se l'era presa più di tanto, comunque.. "E poi" aveva detto a Toni, "quelli che ce l'hanno in mano adesso più che andar di male in peggio non possono. Dai tempo al tempo e finirà che gliela piglio io per un pezzo di pane, vedrai"
"Sì, ma intanto io che faccio?" gli aveva domandato quello.
"Qualcosa troveremo. Vieni da me in bottega, domani, e si vedrà."

  

Novembre

Non è che a Toni non piacesse il nuovo lavoro, è solo che gli sembrava un fattoapposta. Messer Leonardo lo aveva affidato al giardiniere perchè "Il ragazzo gli desse una mano, che l'era bravo..". Solo che il giardiniere di  mani ne aveva già due, e gli bastavano e avanzavano. Due mani ciascuno avevano anche quelli del laboratorio, e tutte due destre per giunta. Il Signore, invece, a lui aveva assegnato due sinistre. Non so se mi spiego...E allora tutto quel che riusciva a fare era di dare un aiutino qua, un aiutino là, vai prendere questo, vai a pigliare quell'altro, fammi questa commissione per favore, vai a parlare con tizio, vai a chiamare caio eccetera.  Ma non era un lavoro per davvero.
Meno male che c'era la cucina, anzi, meno male che c'era donna Maturina, in cucina. Perchè se c'era un'altra cosa che lui sapeva fare bene per davvero, beh, quello era preparar da mangiare. Non che ci avesse studiato, o fosse uno di quelli che nascono già imparati. E' che gli piaceva, e allora guardava l'arte e la metteva da parte. Nonna e mamma erano sempre state dei fenomeni a mettere su un pranzo da signori con con quel poco che avevano a disposizione. Il papà di uno dei suoi amici, poi, aveva una trattoria dalle parti di Crescenzago, appena dopo il giardino dei Berra. C'era sempre un gran via vai da quelle parti, e anche lui qualche volta era andato lì a dare una mano. In amicizia, si intende, in cambio di un pasto caldo. Il loro cuoco era proprio bravo, però, e gli piaceva tanto chiacchierare. Così lui passava sempre più tempo in cucina a guardare quello che si faceva che ai tavoli a lavorare. In amicizia, si intende.  Anche con donna Maturina, la cuoca favorita di del suo padrone, le cose si erano messe bene fin da subito. A quella piaceva "provar di cose nuove", diceva, e al Messere di far da cavia non garbava affatto. Ecco, allora, che il palato di Toni tornava buono ad entrambi. Il ragazzo, in più, aveva del talento di suo, e spesso riusciva a suggerire idee e soluzioni che poi, messe giù come si deve, facevano presto a trovare il loro posto sulla tavola.
Fu Madonna Cecilia, mentre posava con il suo gatto in braccio, a spingere il suo destino proprio in quella direzione.   "La curi tu anche quest'anno la festa di Natale a Palazzo, Leo?" domandò così, a sorpresa.
"No, mia cara. Io e il tuo Duca non si è proprio in ottimi rapporti, sai?"
"Ancora per quella cosa del Cavallo?"
"Sì e no, adesso c'è anche una vigna in ballo. E il mio Cavallo non era cosa dappoco, ad ogni buon conto."
"Si, ma se non la fai tu la farà Ranieri, e sarà un disastro."
"Ranieri l'è un ottimo Maestro di Cerimonie, ha lavorato anche a Ferrara, dagli Este.. "
"Che ce l'hanno prestato senza battere ciglio.."
"Mah, non sarà che a te tutto quello che sa di Este ti va di traverso?"
"Ma cosa dici, Leo? E' che con te è tutta un'altra cosa. Come dite a Firenze?  Tu giochi in un altra categoria."
"Lascia stare il calcio, ragazza. E vedi di stare ferma, piuttosto, che se no il quadro mi viene mosso. Vedrò quel che riesco a fare.  Ma di più non chiedermi, che non m'impegno."
"Non un gran che, ma già meglio di niente. Ne riparleremo. Ma il ritratto me lo stai facendo con il gatto o con qualche altro bestia di tuo gusto come le altre volte? Perché a me piacerebbe avene anche uno con Micio."
"Ferma donna! E taci adesso, che l'arte l'è al lavoro.."

Fin da bambina, o quasi, la futura contessa Cecilia Gallerani si era ricavata un posto particolare nel cuore del Grande Maestro, che non sapeva proprio dirle di no. E poi, sotto sotto, anche lui pensava più o meno lo stesso del Ranieri.  Però, dato che al momento il Moro avrebbe dato retta più facilmente al gatto di  Cecilia  che a lui,   questa volta se la doveva giocare di rimbalzo.
Nei mesi scorsi aveva imparato ad apprezzare lo spirito e l'intelligenza del suo attuale aiuto cuoco e tuttofare. Se fosse riuscito ad piazzarlo in cucina dal Duca avrebbe avuto anche lui occhi e orecchie sul posto, e una testa di cui potersi fidare per prendere delle iniziative  casomai fosse servito. Quindi scese in cucina a parlarne con Toni, che apprezzò subito l'idea fino a mostrarsene addirittura entusiasta. Era un lavoro vero stavolta, e da farsi in nome e per conto del Maestro per giunta. Come una specie di emissario, un congiurato, un complice perfino. "Emissario" suonava meglio però, molto meglio. "Mi raccomando" concluse Messer Leonardo. "Occhi aperti e bocca chiusa. E spirito della cosa, ben inteso, che non penso di poterti fare entrare ai piani alti. Come aiuto, forse, o sguattero anche."
"Magari.." commentò Toni, che già non vedeva l'ora.
"Fammi sapere tutto quel che capita, e.. Ma che l'è questo?" mentre stavano parlando Leonardo aveva preso a sgranocchiare una specie di panetto dolce che Toni stava mettendo via..
"E'.. è il pan dei Merli" rispose il giovane un tantino imbarazzato. "Ma non è per voi, Signore.. Lo faccio per gli uccelli del parco, ne vanno matti."
"Ecco dov'è che finiscono i miei soldi, dunque. In pasto alle bestie." protestò il Maestro per burla..
"Ma no, ma no, Signore.." tentò di giustificarsi Toni. "Lo faccio con quel che resta in fondo alle stoviglie e alla credenza. Briciole di canditi e rimanenze di uva passa per il pane dolce. Gli avanzi delle uova, i fondi del burro e dello zucchero, un po' di lievito e poco altro.."
"Per esser fatto di cosa da poco, l'è bono. E parecchio. Perdici su dell'altro tempo, ragazzo, quando puoi. Vale più di qualcosa, secondo me.." E, raccolti gli ultimi pezzi del Pan dei Merli, il Maestro tornò verso i suoi alloggi lasciandosi dietro un Toni intento a chiedersi se avesse ricevuto dei rimproveri o dei complimenti.

  

Natale

Per farla breve, la festa del Ranieri si dimostrò decisamente al di sotto delle aspettative già in fase di preparazione.  Di conseguenza, e anche per far cessare le proteste di Madonna Cecilia, il Duca fu costretto (suo malgrado) a rivolgersi a Leonardo. Che non solo si dichiarò più che propenso a subentrare al posto del Maestro di Cerimonie uscente (fu opinione comune che Madonna Cecilia doveva entrarci in qualche modo anche in questo), ma si rivelò anche decisamente ben informato sui fatti trascorsi e con due o tre idee per rimetter le cose in carreggiata già bell’e pronte. Non per nulla era l’uomo più brillante dei suoi tempi.  Anche a passaggio di consegne avvenuto, però, Toni restò al suo posto a fare da quinta colonna.  Il che ci riporta alla cucina del Duca ed al Pranzo vero e proprio.
Mentre la servitù proseguiva il suo viavai senza sosta da e verso il salone dei banchetti, sui fuochi friggevano le frittelle e ribollivano le minestre, arrostivano le carni e cuocevano i pasticci.  Leonardo aveva arricchito il menu con due ricette nuove nuove create apposta per celebrare la prosperità del Ducato: il risotto d’oro e la costoletta impanata. Che, cotta al punto giusto, mostrava anch’essa il colore del metallo più prezioso.  Il tutto annaffiato da litri e litri di buon vino, ma buono per davvero, non come quello della vigna del Duca. In totale,  i commensali  si stavano divertendo, anche i piccoli spettacoli a tema pensati per riempire i tempi morti tra le portate erano stati più che apprezzati e tutto sembrava andare per il meglio. Ecco perché Leonardo si sentiva inquieto. Ed ecco perché quando la catastrofe avvenne il Genio si sentì in un certo qual modo perfino un po’ sollevato. Cosa era successo? Presto detto. Mentre tutti erano concentrati sul Fagiano Stufato in pignatta o indaffarati con gli Gnocchi di Pane, il dolce principale del pranzo nonché il preferito del duca, la Torta di Ceci Rossi,  era bruciato.
“Bruciato?” sbottò il Maestro “E chi l’è stato a farlo bruciare?”
Uno dei cuochi fece un passo in avanti. Provò a dire qualcosa, forse una scusa o forse il nome di un altro, ma tutto quello che riuscì ad emettere fu un flebile gemito. Poi rientrò nei ranghi, senza aver chiarito alcunché. “Va bene, va bene. Non importa, ora. Chi  l'è che sa mettere insieme qualcosa con quel che abbiamo?”
“Una torta di riso?” propose uno .
“Ci vuole troppo tempo” obbiettò un altro.
“La ripiena di pere?” fu la proposta successiva.
“Le pere ci sono, in dispensa fuori mi pare. Ma va fatta freddare, poi.”
“Pancristiano?”
“Per il Duca? Ma scherziamo?”
“Bello caldo, con zucchero e cannella è squisito..”
“Ma non per il Duca, perbacco.”
“E il Pane dei Merli?”
I cuochi si guardarono intorno, alla ricerca del titolare della voce che aveva parlato e che sembrava provenire dalle retrovie. Leonardo avanzò in quella direzione e alla fine si trovò faccia a faccia con Toni, mentre tra gli  astanti si alzava qualche risatina di scherno nei confronti dello sguattero che aveva osato prendere la parola. Il Maestro le zittì con un gesto.
“Ne hai di pronto?”
Toni annuì. “Parecchio. L’avevo fatto per gli uccelli del parco del Castello, che sono tanti..”
“E va bene per un Duca?”
“Ci ho lavorato molto, come mi avevate suggerito. E adesso direi che è pronto per qualsiasi tavola. Con tutta la roba buona che c’è qui, poi, Vi assicuro che viene particolarmente bene.”
“E allora facciamolo!” decise Leonardo, senza esitazione. “Voi, laggiù. Seguite il ragazzo e fatevi dare il suo dolce. E voialtri preparatevi a portarlo in tavola. Avanti, diamoci da fare, che non c’è tempo da perdere.”
Sconcertati dallo sviluppo degli eventi, e anche un tantino intimoriti da quello sguattero che sembrava essere così in confidenza con il Gran Maestro, cuochi e servitori scattarono  al lavoro senza fare altre domande.  “Va scaldato un attimino, prima. Così si ammorbidisce” avvertì Toni.
“E scaldatelo, allora! Siete sordi, forse? Muoversi, marmaglia, muoversi!” sbraitò il capocuoco, perché da che mondo e mondo i capocuochi sbraitano, anche solo per marcare un punto.

La cucina taceva. I fuochi tacevano. Non volava una mosca, forse anche perché era dicembre. Poi, uno dei servitori irruppe dalla sala, affannato. Leonardo, preoccupatissimo, lo intercettò a mezza via. “E allora?” gli domandò di un fiato. L’altro faticò un attimo a riprendersi, infine rispose con un sussulto “Ne vogliono ancora”. Un boato di sollievo esplose da tutti i cuori, irrefrenabile.
  

Epilogo 

La giornata volgeva ormai al termine, ma un paio di punti erano rimasti in sospeso. Toni finì di impastare il suo pane, quindi lo ripose nella credenza e lo coprì con un canovaccio. A fianco di quello ce ne erano parecchi altri.
“Ecco, adesso c’è solo da farlo riposare per un paio d’ore, e poi si inforna. Pensavo anche di usare qualcosa per stringerlo sui lati, così che cresca un po’ in altezza. Ci devo ancora ragionare.”
Messer Leonardo si ripulì le mani.. “Ti ringrazio per la ricetta, intanto. Certo che non l’è così semplice come la mettevi te l’altra volta. Prima lo impasti e poi t’hai da lasciarlo lievitare.  Poi un'altra volta: impasto e riposo.  E una terza, sempre impasto e  riposo per la lievitazione.  Nel  mentre, metti quello prima  e  quell’altro dopo. E non all’incontrario, che  se no l’è un disastro. Giralo così, dosalo cosà. Mi è toccato di far da scolaretto, insomma.  Però l’è sempre bello poter far qualcosa con le proprie braccia, che non è che mi capita più di sovente, ormai. ”
“Se si va di fretta ne bastano anche due di impasti, ma a me restava comodo dargli un colpo ogni tanto, tra un lavoro e un altro.. Eppoi, con l’abbondanza che c’è qui in cucina, sentirete che sapore..”  anticipò Toni.
“Speriamo, che gli altri di stamane mattina li ho solo visti passare, neanche l’odore  sono riuscito a sentire.  Due sono miei, allora. E’ inteso.”
“Due sono vostri, e questi qui in fondo sono da restituire ai Merli. Tutto sommato al Duca abbiamo servito i loro, a pranzo, e  bisognerà pur compensarli in qualche modo.”
“Quel che è giusto è giusto” commentò il Gran Maestro. “Piuttosto,  tu che credi di fare adesso? Torni da me o ti fermi qui, dal Duca?”'
“Pensate che mi terrebbero, Maestro?” domandò il ragazzo con più di un filo di emozione nella voce.
“E questa l’è già una risposta, direi. Certo che ti terranno, dopo che gli hai salvato la faccia appena da  qualche ora.”
“In fondo io gli ho solo servito il mio Pane dei Merli”
“Ho visto gente diventar ricca e famosa per molto meno, sai?  Anche nobile, delle volte. Tu diventerai solo sguattero titolare, per ora. Non l’è mica un gran sforzo dopo tutto. E poi quello che gli hai servito non era mica solo del pane per gli uccelletti, perbacco.”
“Non capisco, Maestro.”
“Che tu credi, che il grande Leonardo possa portare  al pranzo di Natale da lui personalmente organizzato un dolce fatto da uno sguattero per dei Merli?” 
“Ancora non capisco, Maestro” ripeté Toni, sempre più confuso..
“Aspetta, che avevo visto una bottiglia di bianco aperta qui vicino.” Il Genio se ne versò una coppa e fece altrettanto per il ragazzo. “Ecco, bevi anche tu, che l’età ce l’hai già adesso. Ottimo, mi aveva dato quest’impressione.  Ti dicevo, una portata che la va a finire sul desco del Duca non può essere una cosa improvvisata, deve avere il suo perché.”
“Ha detto che l’avevate fatto Voi?” domandò Toni un attimino spaventato dalla prospettiva.
“O Santo cielo, ma no di certo. Ho detto che l’è del più bravo dei miei allievi, un giovine per cui nutro grandi speranze e che ho mandato qui di nascosto  a fare esperienza, nel miglior posto possibile.  E non è che sia poi tanto differente da quel che l’è stato per davvero, del resto. Solo un po’ più colorito..”
A Toni vennero i lucciconi agli occhi a sentire quelle parole.
“Suvvia, ragazzo, non esageriamo adesso. Però non chiamarlo più ‘Pan dei Merli’.  Adesso è il ‘Pan del Toni’ e, credimi, la gente ne parlerà parecchio da qui in avanti. Vedrai che ti diventerà una ricetta fissa sotto Natale. Io queste cose me le sento.. Ma non dovevamo andare a metter fuori qualcosa per i pennuti del parco?”
“Sì, Maestro, ma è meglio domattina. Se la notte fa brutto tempo, poi il cibo si bagna.”
Il Genio se lo prese sottobraccio, avviandosi verso l’uscita. “Ecco, proprio di questo ti volevo parlare. Mi è venuto in mente che se noi mettiamo fuori  un basamento con sopra una tettoia, a dimensioni d’uccello s’intende..”


Mentre Toni e Leonardo si avviano verso il giardino, anche la nostra storia si avvia verso la conclusione. Così è nato il panettone, forse. E forse no. Questa è la storia che mi hanno raccontato i Merli del Castello Sforzesco di Milano, e loro sostengono che venga proprio dal millequattrocento, quasi millecinque.  Mentre ci pensate su, lasciate che vi porga anche i loro auguri. E i miei.
Un felice Natale a tutti, dunque, e tanti auguri di Buone Feste 


Il pan dei Merli by Fabrizio Burlone is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
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Illustrazione di Eugenio Bausola
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