Non era stato un cattivo inverno, anche se a fine dicembre la primavera era tremendamente lontana e poteva ancora capitare di tutto. Il freddo aveva incominciato a mordere presto: a novembre il terreno aveva preso a congelarsi sempre più di frequente e a sgelarsi sempre più di rado. Le pozze e i bordi dei ruscelli si erano ricoperti di festoni di ghiaccio che quando c'era il sole luccicavano che sembrava un giorno di festa. Ma durava solo un attimo, perché il sole ormai usciva solo un attimo per volta, se usciva. Poco dopo però era caduta la prima neve. Era una bella cosa, perchè sotto alla neve faceva più caldo che fuori, e così la terra poteva scongelarsi un poco. L'estate di San Martino l'aveva trasformata in acqua, ma poi era arrivata la seconda, e poi la terza, e dopo un po' si era perso il conto. La neve aveva coperto i monti e le valli, era scesa fino in pianura. Ma si era posata leggera leggera, come un velo di sposa, come la spuma di un'onda o un pensiero rimasto a metà. Qualche pista era diventata più difficile da percorrere. Qualche naso, cercando l'erba, si era gelato più del solito. Qualche vecchio ramo aveva dato l'addio al suo albero, ma tanto era vecchio. E questo era più o meno tutto quello che era costato, per quell'anno, avere a disposizione un paesaggio da favola. Quello e, alla bisogna, un po' di lavoro in più per cavare le bacche invernali dal di sotto della coltre di neve che le ricopriva, cosa che aveva trattenuto anche il codibugnolo che ora stava volando come un forsennato nel tramonto per arrivare all'appuntamento più o meno in orario.. E dire che non era neanche il suo cibo preferito. I Codibugnoli sono insettivori, lo sanno tutti, ma d'inverno si piglia quel che c'è e quelle bacche trovate per caso erano troppo invitanti per lasciarle lì. E adesso c'era da correre, anzi da volare; il sole era ormai sparito sotto l'orizzonte, quello che restava era la luce dell'ora blu. Per fortuna non mancava molto. Attraversò i campi a est del paese mentre dalla neve si alzava già la nebbia, nebbia che poi restava lì a galleggiare a mezz'aria, indecisa tra l'avventurarsi nel cielo che avrebbe potuto disperderla con un solo colpo di brezza e passare un'altra notte nel sicuro porto del suolo, degli alberi, dei fossi, dove il vento non arrivava mai. Sorvolò la vecchia siepe e la via che veniva da Spinaceto, girò intorno alle prime case di Greccio passando sopra a quelli che dovevano essere orti o giardini, immobili ed irriconoscibili sotto alla coltre che li ricopriva. Bucò anche qualche nuvola di fumo degli uomini, che sapeva di caldo e di cibo. Sfrecciò attraverso una macchia di alberi e poi di nuovo sui prati innevati, mentre il crepuscolo si stava girando in notte e su, in alto, le stelle incominciavano a scintillare. Discese infine in quello che nell'oscurità sembrava l'inizio di una faggeta, indovinò un albero, si posò su di un ramo ed attese.
I minuti passavano lentamente, di tanto in tanto qualche rumore lo faceva sobbalzare ma in pratica tutto il mondo sembrava tranquillo, in pace. Forse in attesa. Quando l''apprensione superò la prudenza, decise finalmente di farsi sentire.
- C'è qualcuno, qui? - domando' al buio.
- Io ci sono, ma tu chi sei? - rispose una voce da qualche ramo più in alto.
- Codibugnolo, e tu?
- Picchio muratore, piacere. -
- Sei qui da tanto?
- Da un po', era ancora chiaro..
- E siamo in tanti?
- Parecchi - aggiunse qualcuno da un altro angolo. - Passera mattugia, siamo in quattro.
- Cinciallegra, cinciarella, cince bigie, more e dal ciuffo. Presenti in buon numero sull'albero qui di fianco. Piacere.
- Peccato per il buio, che non si vede nulla. - commento' il codibugnolo.
- Non ci pensate: manca poco al sorgere della luna, ormai. – dichiarò uno dei gufi
- Sarà, - obbiettò un fringuello – ma per adesso è buio, buio pesto.
- Guarda bene, si nota già la differenza all'orizzonte. Sarà una bella luna, dico io..
- Me lo auguro, io non ci vedo ad un palmo dal becco e ad ogni suono o rumore il cuore mi balza fino in gola, e poi convincerlo a tornare giù è un'impresa.
- Non temere piccolino, - raccomandò un voce lì accanto - oggi è un giorno di pace, e siamo tutti qui in pace. Nessuno escluso.
- Perdiana! - esclamò il fringuello, che per lo spavento era schizzato tre rami più in alto. - Ecco quello che intendevo! Non potevi annunciarti in qualche modo, sparviere? E comunque non ci sei solo tu in queste foreste..
- Ma, come dice l'amico sparviere, tutti quelli che sono qui sono venuti in pace. - Annunciò dal basso una voce che tutti conoscevano e temevano.
La luna, intanto, si era finalmente decisa a far mostra di sé, fredda, enorme appena sopra l'orizzonte. E anche attraverso la foschia che galleggiava a mezz'aria riusciva a mostrare chiaramente la forma del lupo che aveva parlato. Il silenzio calò sul bosco come una foschia ancora più densa, mentre ciascuno, in cuor suo, pesava le parole del predatore per decidere se fidarsi o meno. Perchè va bene la pace, ma un lupo è sempre un lupo..
- Aspetta aspetta, che questa non me la voglio perdere - dichiarò una vocina ancora più in basso. Da una chiazza di erba rimasta lì probabilmente per scommessa fece capolino un lepre. Con un paio di balzi si portò vicino al lupo, rallentando per poi fermarsi a meno di un metro.. - Sicuro che non cambi idea, adesso? -
- Ho promesso, - confermò l'altro, - e se anche non lo avessi fatto, oggi è diverso. Questa notte siamo tutti più buoni, no?
- In che senso? - domandò la lepre allarmata.
- Buoni nel senso buono, intendo. Ma se mi temi tanto, perche ti metti a portata dei miei denti?
- E quando mi ricapita di vedere un lupo da così vicino. - dichiarò soddisfatto il piccolo quadrupede.
- L'occasione ti potrebbe ricapitare, - commentò al volo un codirosso da un ramo - Di poterlo poi raccontare probabilmente no..
- Ma tu non eri migrato? - domandò un gheppio dopo qualche attimo di imbarazzo generale..
- Seee e secondo te questa me la mancavo? - rispose l'altro.
- Basta con questo baccano lì sotto, che sta arrivando qualcuno. - Avvertì una civetta dall'alto. Di nuovo, il bosco si azzittì. Chi poteva si tirò su per vedere tutto quanto di prima mano, ma per chi non aveva occhi da rapace non c'era un granché da vedere, al momento.. Quel qualcuno era evidentemente un uomo e stava appena uscendo dal limite del paese lungo il vecchio sentiero. Con una tenacia a dir poco ammirevole avanzò sulla strada ghiacciata fino alla curva, rischiando di scivolare e cadere più o meno ad ogni passo.. Quindi si guardò intorno un paio di volte, come per farsi sicuro della posizione, e tagliò nel campo, nella neve alta, verso il bosco. Si affondava fino al ginocchio, a metà strada dovette fermarsi a riprendere fiato. Si asciugò del sudore che gli scendeva negli occhi con la manica del saio. La foschia, finito il suo compito, si stava diradando rapidamente, e la luce della luna faceva brillare la neve sul prato come la vetrate delle cattedrali che aveva visto nei suoi viaggi, o i gioielli che portavano le dame. In cielo, qua e là, luccicavano nubi leggere, ricami d'argento sul tessuto della notte. Dove la la luna non poteva ancora arrivare era una celebrazione di stelle di ogni fattura, piccole e grandi, luminose o appena visibili. Tutte a guardare giù, verso il prato innevato dove il piccolo frate stava guardando in su. Era una notte magica, era la notte di Natale. Come gli capitava sempre più spesso di fare, il frate ringraziò l'Onnipotente per aver profuso nel creato così tanta bellezza ed armonia. Poi, rinfrancato dalla sosta, riprese il cammino. Arrivato agli alberi incontrò meno neve e riuscì a marciare più agevolmente, ma dopo aver seguito il margine del bosco per poche decine di metri tornò a fermarsi. Gli era parso di sentire un richiamo. Poi un altro, e un altro ancora, e in un attimo si trovò circondato da un autentico stormo di uccelli e uccelletti festanti, cinguettanti, gorgheggianti, starnazzanti e tutte quelle altre cose che fanno gli uccelli quando sono felici. "Francesco, sono qui!" diceva uno, "Francesco, anche io ci sono!" aggiungeva un altro, "Francesco, siamo pronti, andiamo?" domandava un terzo.
"Fanatici.." pensò dignitosamente il lupo, ma poi si unì al comitato di benvenuto con l'intenzione di cercare anche di scroccare una grattatina proprio dietro alle orecchie, che è vero che non è molto dignitoso, però gli piaceva parecchio.
Ora, è difficile dire se Francesco intendesse letteralmente la conversazione che lo attorniava, parola per parola voglio dire, ma di certo ne intendeva perfettamente il senso e, come si conviene ad una persona educata si soffermò per più di un attimo a scambiare qualche frase di cortesia con un uccelletto qua, uno scoiattolo là, un riccio, una volpe, un daino e in definitiva chiunque altro cercasse di attirare la sua attenzione. Ma alla lunga il dovere si fece pressante e gli toccò quindi di richiamare all'ordine la platea.
"Fratelli e sorelle" esortò il frate "Il vostro affetto scalda il mio vecchio cuore anche nel gelo di questa lunga notte di inverno. Ma il tempo stringe ormai, siamo convenuti qui per uno scopo e tale scopo deve essere adempiuto. Quindi, orsù, raduniamoci e partiamo, che la strada non è molta ma prima o poi va affrontata"
"Faccio strada io" dichiarò il cinghiale scattando in avanti, "voi rimanete nella mia pista". Alcuni uccelli sorrisero della proposta, ma, notata l'occhiataccia con cui il frate di redarguiva, si guardarono bene dal prendere iniziative e rimasero disciplinatamente nelle retrovie, spostandosi di posatoio in posatoio. Tornata sulla strada, la strana comitiva si lasciò alle spalle Greccio dirigendosi verso Stroncone. Malgrado le evidenti difficoltà di terreno e di clima, proseguirono a passo piuttosto spedito per mezza lega circa, fino ad arrivare ad uno slargo probabilmente spianato apposta per l'occasione. Lì, un'assemblea pittoresca quanto la loro sembrava proprio attendere solo il loro arrivo.
"Avanti, avanti!" li incoraggiò il frate "la processione sarà qui tra non molto, ognuno si trovi il suo posto. Il lupo con i pastori e gli agnelli, e non voglio sentire proteste. Cervi daini e cerbiatti sul margine del bosco, attenti alle corna. I cinghiali sottovento, per favore. Quelli che volano si mettano dove credono, avanti, avanti; di spazio ce n'è, di tempo molto meno.."
Così, con qualche titubanza ma senza timore, ognuno si piazzò come richiesto: i lupi con gli agnelli, i servi coi padroni, gli animali con gli uomini. Perchè quella era una notte magica, era la notte di Natale. Il nostro codibugnolo trovò posto con le altre cince tra i rami di un faggio non troppo distante dalla grotta. Eccoli là: il bue e l'asino, i due umani che rappresentavano Giuseppe e Maria e la mangiatoia dove sarebbe stato deposto il Bambino. Proprio come aveva detto Francesco, ma essere lì, essere presente, era tutta un'altra cosa. La luce incerta delle delle torce e dei fuochi illuminava guizzante i volti di mercanti, artigiani, cavalli e cavalieri, soldati in strane corazze, madonne, nobiluomini, fanciulle, pastori e guerrieri vestiti con abiti esotici, strani animali. Tutti in attesa intorno alla caverna, tutti presi nella parte che faceva loro rivivere, per una notte, una storia di mille anni prima, e mille leghe più altrove, una storia che tutti avevano sentito raccontare. Dalla strada di Greccio giunse un canto che era anche musica, poi, piano piano comparvero bagliori di ceri e di fiaccole, in ultimo le sagome degli uomini che li portavano.
La processione avanzò lentamente, solennemente, per unirsi alla rappresentazione del primo presepe della storia, il presepe vivente di Greccio, nell'anno del signore 1223.
Nella mangiatoia adesso c'era un bambino. "Guarda!", esclamò il codibugnolo "E' arrivato!"
- Ma no, ma no - lo corresse una cincia - è un simulacro, una cosa simbolica. L'ha fatto la figlia del Signore di Stroncone, me l'ha detto mio cugino che abita nel giardino della dama.
- Sarà - contestò il codibugnolo - ma a me sembra un bambino vero..
- Ma figurati, tu porteresti uno dei tuoi pulcini qui fuori, al freddo, con questa neve? E in piena notte, per giunta?
- Tutto quello che vuoi, però si muove. Guarda, adesso sta salutando quelli lì davanti. Ehi, qui! Ci siamo anche noi!
- Lo sa che ci siete anche voi - lo rimbrottò Francesco che, invisto ed invisibile, si era intanto lasciato scivolare indietro tra la folla per trovare un angolo di tranquillità proprio sotto a quell'albero. - Però potreste anche far qualcosa di più per farvi notare...
Allora tutti gli uccelli dell'albero confabularono tra di loro per qualche istante, e poi, come un corpo unico, si alzarono in volo e scesero in un sol balzo nello spiazzo che gli uomini, forse volontariamente o forse no, avevano lasciato libero innanzi alla grotta. In un istante anche i pennuti che avevano trovato posto altrove si unirono allo stormo. "Fanatici.." pensò dignitosamente il lupo, ma poi anche lui si avviò per prender posto nell'apertura. Figurante, per una volta, ma comunque ben in vista, perbacco. Quindi arrivarono i cervi e i cinghiali le lepri e le donnole, e infine tutti gli altri. Colpito da tutto quel movimento il presepe si era azzittito, e adesso stava in attesa. Gli animali del cerchio esterno si accucciarono così che tutti potessero vedere, e allora gli usignoli presero a cantare. Poi i pettirossi, gli scriccioli, i merli, i fringuelli, le capinere e ancora tutti gli altri. Anche le gazze e le ghiandaie, perfino i corvi e le oche trovarono il loro posto nel canto, e quello fu praticamente un miracolo. Era una canzone dolcissima, che raccontava di una notte silenziosa, una notte santa, una notte in cui gli angeli parlavano con i pastori e la pace sembrava essere scesa sulla terra per regnare per sempre: la notte in cui Gesù era nato. La canzone ebbe fine e tutti gli animali tornarono al loro posto, felici di aver fatto la loro parte. Ma la melodia restò a lungo nelle orecchie e nei cuori degli uomini, che da allora la tramandarono di padre in figlio fino a quando, quasi seicento anni dopo, un monaco austriaco non ne scrisse la partitura e un altro ci aggiunse le parole, facendone dono, per sempre, all'umanità tutta. Date le circostanze, è probabile che qualche dettaglio si sia perso nel tempo, nella distanza e nella, diciamo, traduzione. Ma la canzone è rimasta la stessa, un augurio di pace e felicità in cielo e in terra, per tutti gli uomini buona volontà.
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Natale AD 1223 by Fabrizio Burlone is licensed under a
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I minuti passavano lentamente, di tanto in tanto qualche rumore lo faceva sobbalzare ma in pratica tutto il mondo sembrava tranquillo, in pace. Forse in attesa. Quando l''apprensione superò la prudenza, decise finalmente di farsi sentire.
- C'è qualcuno, qui? - domando' al buio.
- Io ci sono, ma tu chi sei? - rispose una voce da qualche ramo più in alto.
- Codibugnolo, e tu?
- Picchio muratore, piacere. -
- Sei qui da tanto?
- Da un po', era ancora chiaro..
- E siamo in tanti?
- Parecchi - aggiunse qualcuno da un altro angolo. - Passera mattugia, siamo in quattro.
- Cinciallegra, cinciarella, cince bigie, more e dal ciuffo. Presenti in buon numero sull'albero qui di fianco. Piacere.
- Peccato per il buio, che non si vede nulla. - commento' il codibugnolo.
- Non ci pensate: manca poco al sorgere della luna, ormai. – dichiarò uno dei gufi
- Sarà, - obbiettò un fringuello – ma per adesso è buio, buio pesto.
- Guarda bene, si nota già la differenza all'orizzonte. Sarà una bella luna, dico io..
- Me lo auguro, io non ci vedo ad un palmo dal becco e ad ogni suono o rumore il cuore mi balza fino in gola, e poi convincerlo a tornare giù è un'impresa.
- Non temere piccolino, - raccomandò un voce lì accanto - oggi è un giorno di pace, e siamo tutti qui in pace. Nessuno escluso.
- Perdiana! - esclamò il fringuello, che per lo spavento era schizzato tre rami più in alto. - Ecco quello che intendevo! Non potevi annunciarti in qualche modo, sparviere? E comunque non ci sei solo tu in queste foreste..
- Ma, come dice l'amico sparviere, tutti quelli che sono qui sono venuti in pace. - Annunciò dal basso una voce che tutti conoscevano e temevano.
La luna, intanto, si era finalmente decisa a far mostra di sé, fredda, enorme appena sopra l'orizzonte. E anche attraverso la foschia che galleggiava a mezz'aria riusciva a mostrare chiaramente la forma del lupo che aveva parlato. Il silenzio calò sul bosco come una foschia ancora più densa, mentre ciascuno, in cuor suo, pesava le parole del predatore per decidere se fidarsi o meno. Perchè va bene la pace, ma un lupo è sempre un lupo..
- Aspetta aspetta, che questa non me la voglio perdere - dichiarò una vocina ancora più in basso. Da una chiazza di erba rimasta lì probabilmente per scommessa fece capolino un lepre. Con un paio di balzi si portò vicino al lupo, rallentando per poi fermarsi a meno di un metro.. - Sicuro che non cambi idea, adesso? -
- Ho promesso, - confermò l'altro, - e se anche non lo avessi fatto, oggi è diverso. Questa notte siamo tutti più buoni, no?
- In che senso? - domandò la lepre allarmata.
- Buoni nel senso buono, intendo. Ma se mi temi tanto, perche ti metti a portata dei miei denti?
- E quando mi ricapita di vedere un lupo da così vicino. - dichiarò soddisfatto il piccolo quadrupede.
- L'occasione ti potrebbe ricapitare, - commentò al volo un codirosso da un ramo - Di poterlo poi raccontare probabilmente no..
- Ma tu non eri migrato? - domandò un gheppio dopo qualche attimo di imbarazzo generale..
- Seee e secondo te questa me la mancavo? - rispose l'altro.
- Basta con questo baccano lì sotto, che sta arrivando qualcuno. - Avvertì una civetta dall'alto. Di nuovo, il bosco si azzittì. Chi poteva si tirò su per vedere tutto quanto di prima mano, ma per chi non aveva occhi da rapace non c'era un granché da vedere, al momento.. Quel qualcuno era evidentemente un uomo e stava appena uscendo dal limite del paese lungo il vecchio sentiero. Con una tenacia a dir poco ammirevole avanzò sulla strada ghiacciata fino alla curva, rischiando di scivolare e cadere più o meno ad ogni passo.. Quindi si guardò intorno un paio di volte, come per farsi sicuro della posizione, e tagliò nel campo, nella neve alta, verso il bosco. Si affondava fino al ginocchio, a metà strada dovette fermarsi a riprendere fiato. Si asciugò del sudore che gli scendeva negli occhi con la manica del saio. La foschia, finito il suo compito, si stava diradando rapidamente, e la luce della luna faceva brillare la neve sul prato come la vetrate delle cattedrali che aveva visto nei suoi viaggi, o i gioielli che portavano le dame. In cielo, qua e là, luccicavano nubi leggere, ricami d'argento sul tessuto della notte. Dove la la luna non poteva ancora arrivare era una celebrazione di stelle di ogni fattura, piccole e grandi, luminose o appena visibili. Tutte a guardare giù, verso il prato innevato dove il piccolo frate stava guardando in su. Era una notte magica, era la notte di Natale. Come gli capitava sempre più spesso di fare, il frate ringraziò l'Onnipotente per aver profuso nel creato così tanta bellezza ed armonia. Poi, rinfrancato dalla sosta, riprese il cammino. Arrivato agli alberi incontrò meno neve e riuscì a marciare più agevolmente, ma dopo aver seguito il margine del bosco per poche decine di metri tornò a fermarsi. Gli era parso di sentire un richiamo. Poi un altro, e un altro ancora, e in un attimo si trovò circondato da un autentico stormo di uccelli e uccelletti festanti, cinguettanti, gorgheggianti, starnazzanti e tutte quelle altre cose che fanno gli uccelli quando sono felici. "Francesco, sono qui!" diceva uno, "Francesco, anche io ci sono!" aggiungeva un altro, "Francesco, siamo pronti, andiamo?" domandava un terzo.
"Fanatici.." pensò dignitosamente il lupo, ma poi si unì al comitato di benvenuto con l'intenzione di cercare anche di scroccare una grattatina proprio dietro alle orecchie, che è vero che non è molto dignitoso, però gli piaceva parecchio.
Ora, è difficile dire se Francesco intendesse letteralmente la conversazione che lo attorniava, parola per parola voglio dire, ma di certo ne intendeva perfettamente il senso e, come si conviene ad una persona educata si soffermò per più di un attimo a scambiare qualche frase di cortesia con un uccelletto qua, uno scoiattolo là, un riccio, una volpe, un daino e in definitiva chiunque altro cercasse di attirare la sua attenzione. Ma alla lunga il dovere si fece pressante e gli toccò quindi di richiamare all'ordine la platea.
"Fratelli e sorelle" esortò il frate "Il vostro affetto scalda il mio vecchio cuore anche nel gelo di questa lunga notte di inverno. Ma il tempo stringe ormai, siamo convenuti qui per uno scopo e tale scopo deve essere adempiuto. Quindi, orsù, raduniamoci e partiamo, che la strada non è molta ma prima o poi va affrontata"
"Faccio strada io" dichiarò il cinghiale scattando in avanti, "voi rimanete nella mia pista". Alcuni uccelli sorrisero della proposta, ma, notata l'occhiataccia con cui il frate di redarguiva, si guardarono bene dal prendere iniziative e rimasero disciplinatamente nelle retrovie, spostandosi di posatoio in posatoio. Tornata sulla strada, la strana comitiva si lasciò alle spalle Greccio dirigendosi verso Stroncone. Malgrado le evidenti difficoltà di terreno e di clima, proseguirono a passo piuttosto spedito per mezza lega circa, fino ad arrivare ad uno slargo probabilmente spianato apposta per l'occasione. Lì, un'assemblea pittoresca quanto la loro sembrava proprio attendere solo il loro arrivo.
"Avanti, avanti!" li incoraggiò il frate "la processione sarà qui tra non molto, ognuno si trovi il suo posto. Il lupo con i pastori e gli agnelli, e non voglio sentire proteste. Cervi daini e cerbiatti sul margine del bosco, attenti alle corna. I cinghiali sottovento, per favore. Quelli che volano si mettano dove credono, avanti, avanti; di spazio ce n'è, di tempo molto meno.."
Così, con qualche titubanza ma senza timore, ognuno si piazzò come richiesto: i lupi con gli agnelli, i servi coi padroni, gli animali con gli uomini. Perchè quella era una notte magica, era la notte di Natale. Il nostro codibugnolo trovò posto con le altre cince tra i rami di un faggio non troppo distante dalla grotta. Eccoli là: il bue e l'asino, i due umani che rappresentavano Giuseppe e Maria e la mangiatoia dove sarebbe stato deposto il Bambino. Proprio come aveva detto Francesco, ma essere lì, essere presente, era tutta un'altra cosa. La luce incerta delle delle torce e dei fuochi illuminava guizzante i volti di mercanti, artigiani, cavalli e cavalieri, soldati in strane corazze, madonne, nobiluomini, fanciulle, pastori e guerrieri vestiti con abiti esotici, strani animali. Tutti in attesa intorno alla caverna, tutti presi nella parte che faceva loro rivivere, per una notte, una storia di mille anni prima, e mille leghe più altrove, una storia che tutti avevano sentito raccontare. Dalla strada di Greccio giunse un canto che era anche musica, poi, piano piano comparvero bagliori di ceri e di fiaccole, in ultimo le sagome degli uomini che li portavano.
La processione avanzò lentamente, solennemente, per unirsi alla rappresentazione del primo presepe della storia, il presepe vivente di Greccio, nell'anno del signore 1223.
Nella mangiatoia adesso c'era un bambino. "Guarda!", esclamò il codibugnolo "E' arrivato!"
- Ma no, ma no - lo corresse una cincia - è un simulacro, una cosa simbolica. L'ha fatto la figlia del Signore di Stroncone, me l'ha detto mio cugino che abita nel giardino della dama.
- Sarà - contestò il codibugnolo - ma a me sembra un bambino vero..
- Ma figurati, tu porteresti uno dei tuoi pulcini qui fuori, al freddo, con questa neve? E in piena notte, per giunta?
- Tutto quello che vuoi, però si muove. Guarda, adesso sta salutando quelli lì davanti. Ehi, qui! Ci siamo anche noi!
- Lo sa che ci siete anche voi - lo rimbrottò Francesco che, invisto ed invisibile, si era intanto lasciato scivolare indietro tra la folla per trovare un angolo di tranquillità proprio sotto a quell'albero. - Però potreste anche far qualcosa di più per farvi notare...
Allora tutti gli uccelli dell'albero confabularono tra di loro per qualche istante, e poi, come un corpo unico, si alzarono in volo e scesero in un sol balzo nello spiazzo che gli uomini, forse volontariamente o forse no, avevano lasciato libero innanzi alla grotta. In un istante anche i pennuti che avevano trovato posto altrove si unirono allo stormo. "Fanatici.." pensò dignitosamente il lupo, ma poi anche lui si avviò per prender posto nell'apertura. Figurante, per una volta, ma comunque ben in vista, perbacco. Quindi arrivarono i cervi e i cinghiali le lepri e le donnole, e infine tutti gli altri. Colpito da tutto quel movimento il presepe si era azzittito, e adesso stava in attesa. Gli animali del cerchio esterno si accucciarono così che tutti potessero vedere, e allora gli usignoli presero a cantare. Poi i pettirossi, gli scriccioli, i merli, i fringuelli, le capinere e ancora tutti gli altri. Anche le gazze e le ghiandaie, perfino i corvi e le oche trovarono il loro posto nel canto, e quello fu praticamente un miracolo. Era una canzone dolcissima, che raccontava di una notte silenziosa, una notte santa, una notte in cui gli angeli parlavano con i pastori e la pace sembrava essere scesa sulla terra per regnare per sempre: la notte in cui Gesù era nato. La canzone ebbe fine e tutti gli animali tornarono al loro posto, felici di aver fatto la loro parte. Ma la melodia restò a lungo nelle orecchie e nei cuori degli uomini, che da allora la tramandarono di padre in figlio fino a quando, quasi seicento anni dopo, un monaco austriaco non ne scrisse la partitura e un altro ci aggiunse le parole, facendone dono, per sempre, all'umanità tutta. Date le circostanze, è probabile che qualche dettaglio si sia perso nel tempo, nella distanza e nella, diciamo, traduzione. Ma la canzone è rimasta la stessa, un augurio di pace e felicità in cielo e in terra, per tutti gli uomini buona volontà.
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Natale AD 1223 by Fabrizio Burlone is licensed under a
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