Natale forcello


NATALE FORCELLO copia

Novembre, Ricetto di Candelo.

L'uomo richiuse la porta dietro di sé, consegnandosi all’Autunno.  Tra non molto avrebbe rimpianto il calore del camino davanti a cui si erano svolte le trattative, ma per il momento andava bene così. Era stata una buona giornata, assolutamente. A più di tre anni dalla grandinata del ‘905, che aveva distrutto i vigneti del Gattinara, riuscire a portarne a casa una fornitura ad un prezzo ragionevole era stata un’autentica fortuna. Brava gente, questi qui di Candelo. Commercianti, sicuro. Ma onesti, o quasi. E gente che vedeva lontano. Prima o poi la produzione dei vini sarebbe tornata a regime, c’era da scommetterci, ma nel frattempo quelli  stavano accumulando una fortuna. Mentre tanti altri, in Valle, erano stati costretti ad emigrare o ad andare a lavorare in fabbrica, e meno male che c’erano quelle, ad ogni modo. La Valle non sarebbe più stata quella di una volta, sicuro, ma la gente sarebbe vissuta per vedere tempi migliori, e quello era quello che contava per davvero. Un gemito prolungato proveniente dalla fitta nebbia che fluiva lungo i vicoli del ricetto lo riscosse dai suoi pensieri. Cosa era stato?  Ora non si sentiva più. Si guardò intorno, cercando di indovinare qualcosa, ma la fioca luce dei lampioni non aiutava per nulla. Il ricetto di Candelo era un autentico angolo di medioevo arrivato fino all’era moderna, con i suoi stretti vicoli lastricati e i muraglioni fortificati. Bellissimo, niente da dire, ma a quell’ora e con quel tempo anche piuttosto inquietante.  Chissà cosa altro poteva averlo seguito nel suo viaggio nel tempo, arrivando fin lì dai secoli oscuri. Che mica si chiamavano “oscuri” per niente. Rieccolo. Questa volta non cessò improvvisamente, ma anzi proseguì modulandosi in intensità e frequenza. Una seconda voce si unì alla prima, accordandosi alle sue variazioni. Musica, ecco cos’era! Un canto, oppure.. no, erano strumenti.. Come si chiamavano? Pive, ecco!  Incuriosito, l’uomo si incamminò in direzione del suono. Percorse un paio di stradine, attraversò una specie di piazzetta, arrivò fino ai muri perimetrali e poi tornò un tantino indietro, sempre immerso in una nebbia da poterci piantare i chiodi. Alla fine svoltò l’angolo giusto.  La musica, che intanto era cessata, non poteva che venire da lì: dalla bottega del Liutaio. Senza neanche sapere bene il perché, aprì la porta ed entrò nel laboratorio. Quattro facce stupite ed anche un po’ intimorite si voltarono a guardarlo. “Fate, fate pure. Non badate a me” li autorizzò l’uomo. A torto o a ragione, i quattro decisero di accogliere l’invito del nuovo arrivato e tornarono ai loro affari. Quello che doveva essere il Mastro Liutaio proseguì l’esame dei curiosi strumenti che si trovavano sul banco di lavoro, dettando di tanto in tanto istruzioni al suo ragazzo di bottega che si affrettava a prendere nota. Gli altri due, intanto, rispondevano alle domande poste, prelevando e dando fiato agli strumenti quando la cosa risultava necessaria o utile.
L’uomo si avvicinò al bancone, per osservare. Le due pive erano simili, eppure diverse. Erano entrambe formate da un sacco di pelle oblungo piuttosto consumato (di pecora o di capra si sarebbe detto), a cui erano ancorati, rispettivamente, tre e quattro legni che assomigliavano vagamente a dei flauti o dei pifferi, fatti di legno chiaro tirato a lucido. Era proprio su di uno di quelli che il Liutaio stava lavorando, con qualche incertezza è vero, ma anche con una certa efficacia. Nel mentre, i due Pivari mostravano di riuscire comunque a produrre una varietà di suoni impressionanti, muovendo le dita sui fori dei legni, soffiando nel sacco e premendolo per svuotarlo. Peccato che tutte quelle prove non mostrassero alcuna armonia. Però a quello si poteva anche rimediare.
“Scusate..” intervenne.
Nuovamente, gli altri quattro si interruppero e si voltarono a guardarlo.
“Potreste suonarmi qualcosa? Se non è di troppo disturbo, si intende. E se gli strumenti lo permettono.”
“Veramente stavamo facendo altro, al momento”  replicò il Liutaio.
“Certamente, non intendo interferire. Ma vorrei cionondimeno ascoltare qualcosa di Natalizio,  proprio qui ed ora. Naturalmente sarei disposto a compensare il disturbo” aggiunse, depositando sul bancone il prezzo di una discreta sedia a teatro.
Tentati dalla somma, o forse incuriositi dal personaggio, i Pivari imbracciarono i loro strumenti. “Tanto si doveva provare, no?” domandarono in direzione del Liutaio, il quale annuì senza troppa convinzione. Soddisfatta la forma, i due attaccarono a suonare un pezzo appartenete al repertorio richiesto, facendo quindi seguire un paio di brani assortiti tanto per gradire. Terminata la prova, tornarono a guardare quello che adesso era diventato un cliente, in attesa di un commento o di una nuova richiesta. 
Per tutta risposta ottennero un leggero applauso, che sembrava ad ogni buon conto trasmettere una certa soddisfazione.
“Bravi, ragazzi miei. Bravi, veramente. Complimenti. Questo è proprio quello che speravo di sentire.”
“Beh, grazie.” Rispose uno dei ragazzi. “E quando Mastro Antonietti avrà finito il lavoro, la mia Piva suonerà anche meglio.”
“Splendido!” proseguì l’altro. “Ma lasciate che mi presenti,  adesso. Mi chiamo Guglielmo Guglielmina e tra le altre cose sono il proprietario dell’Hotel Mottarone. E avrei una proposta da farvi.”

24 dicembre, Mottarone.

"E allora?" domandò Agostino. 
"Un momento" rispose Bartolomeo, sbuffando come una locomotiva. "Lasciami riprendere fiato." Aveva fatto tutta la strada di corsa proprio perchè non vedeva l'ora di portare la notizia al suo compaesano, ma adesso un attimo di respiro gli ci voleva proprio.  
"E allora?" ripeté il primo Pivaro dopo pochi istanti.
"Si può fare. Thomas ci  presta gli ski, come li chiama lui, e quando arriviamo giù li possiamo lasciare ad un tizio che è un amico suo. Poi ci pensa lui a farglieli avere." 
"E la pista?" 
"Mi ha spiegato tutto per filo e per segno, e dice che è talmente facile che anche due novellini come noi possono scenderla a occhi chiusi. Dice anche che se non ce la facciamo, per quest'anno smette di insegnare gli ski ai turisti e passa il resto dell''inverno a prenderci a pedate nel sedere."
"E allora facciamolo" dichiarò Agostino, mostrando più convinzione di quanta in realtà non ne avesse. Per due come loro, che avevano imparato ad usare gli sci appena appena, approfittando dei tempi morti della loro arte e della disponibilità del maestro di sci Svizzero che l’Hotel Mottarone metteva a disposizione dei suoi illustrissimi clienti, pensare di venir giù dal Mottarone da soli era semplicemente una follia. Ma era stata una stagione pazza, quella,  quindi una pazzia in più o una pazzia in meno che differenza faceva? E poi, divertimento a parte, era il modo più veloce per poter scendere a valle, e i patti con il Signor Guglielmina erano chiari: fino al termine del Galà di Mezzanotte loro dovevano ritenersi in servizio. Partendo, anzi, skiando alle prime luci dell'alba, però, avrebbero raggiunto Armeno in tempo per scroccare un passaggio 
a Don Giulio, che si doveva recare alla collegiata di Gozzano di prima mattina, non si ricordava più per che cosa. Lì, all'Albergo del Falcone, avrebbero poi senz'altro trovato un altro passaggio per arrivare almeno fino a Borgosesia, e magari anche a Biella. Natale è Natale, ma c'era sempre qualche carrettiere o qualcosa del genere che doveva viaggiare per forza, anche a dispetto dei Santi.  Da Biella in poi un qualche tipo di trasporto lo si sarebbe trovato, alla peggio si poteva salire a piedi.  E magari arrivare comunque a casa prima di notte, o al massimo per Santo Stefano. Certo, ci voleva un bel po' di fortuna appunto, ma la fortuna aiuta gli audaci, no?
“Oh, ma ti sei imbambolato?"
“Eh? No. O forse sì, ma solo un attimo. Cosa stavi dicendo?"
“Che sarebbe il caso di provare un po', per questa sera."
“Sì certo. Andiamo.”
Un po’ per vezzo e un po’ per necessità, fin dall’inizio avevano scelto di esercitarsi all’aperto, in “divisa” da Pivari. E un po’ in disparte, per evitare di svelare il repertorio e/o di infastidire i clienti. In fondo era solo una questione di punti di vista. Sul retro dell’albergo si trovavano un paio di stradine di servizio che venivano mantenute agibili anche durante l’inverno, quantomeno per un breve tratto. Una di queste accedeva ad una radura riparata dal bosco su due lati che pareva fatta apposta per suonarci con le Pive, o almeno così era sembrato a loro. E allora, quando potevano provavano proprio lì, solo che quella mattina il posto era occupato. In mezzo allo spiazzo innevato, evidente a più non posso, ci stava un uccello nero. Non un corvo o una cornacchia, ma piuttosto un gallo, o meglio, un galletto. Ne aveva sagoma (grosso modo) e dimensioni,  e a ben vedere anche il tipico portamento. Non mostrava cresta e bargigli evidenti, ma soltanto due vistose sopracciglia rosso fuoco. E un altrettanto vistosa coda candida, che però nella circostanza si confondeva un tantino con lo sfondo della neve. Sembrava razzolare nello spiazzo come avrebbe fatto un suo equivalente domestico in un’aia, o forse era solo l’impressione che dava mentre si faceva strada nella neve alta, intento a fare chissà cos’altro.  Seminascosti tra gli alberi, altri due ospiti dell’albergo stavano osservando la scena con evidente interesse. Uno dei due alzò la doppietta rimasta fino a quel momento celata al di sotto del pesante tabarro, prendendo la mira. Senza pensarci su due volte, Bartolomeo imbracciò la Piva e scatenò un vero e proprio uragano sonoro, una cosa da far paura. Istintivamente i cacciatori si voltarono a guardare, e quando tornarono a cercare la preda, beh, quella se ne era già andata da un pezzo. Bartolomeo allargò le braccia in loro direzione, come a dire “Sono qui per suonare, che ci volete fare?”. Quelli lo mandarono a quel paese con un gesto inequivocabile, poi girarono sui tacchi e andarono a cercare miglior fortuna altrove.
“Sì, e altrettanto anche  a Voi!” replicò Bartolomeo a mezza voce: erano pur sempre clienti dell’Albergo
 dopotutto.
“Non ti vanno proprio giù, vero?” commentò Agostino sogghignando.
“Chi? I cacciatori? E certo che no! Che male gli avrà fatto, poi, quella povera bestia?”
“Prova a chiederglielo. Guarda, è ancora lì.”
In effetti il gallo era tornato, e li stava guardando con quella che non poteva essere altro che curiosità. Bartolomeo suonò una manciata di note, una specie di saluto. Per tutta risposta l’altro aprì la coda a ventaglio, mettendo in mostra una bizzarra coppia di lunghissime penne laterali dalla punta ricurva che facevano rassomigliare il tutto a una..
“Com’è che si chiamava quella cosa che suonava Nerone mentre Roma bruciava?” domandò Bartolomeo.
“La Cetra?”
“Sì, quella lì. Non ti sembra che la sua coda assomigli a una Cetra?”
“O era una Lira? Che differenza c’è tra le due? Comunque sì, mi sembra. Neanche tanto, però. Ma è lui che fa queste voci?” Si sentiva uno strano risucchio, come lo scarico di un lavandino mal funzionante,  e un borbottio a metà strada tra il verso del piccione e quello del tacchino.
“Sembrerebbe di sì. Beh, se lui canta, noi suoniamo, no?”
“Siamo qui per questo. Attacca.” Ai primi accordi della melodia scelta per il compito
 il gallo prese a zompettare avanti e indietro, a saltare, a camminare in cerchio. E a sprofondare anche nella neve, ma quello probabilmente non rientrava nelle sue intenzioni. Sbalorditi, i due Pivari si interruppero per guardarlo, e altrettanto fece l’uccello. Ripartirono, e ripartì anche lui. Si fermarono nuovamente, e nuovamente si fermò anche quello. Dopo un po’ di tira e molla i musicisti decisero di proseguire indipendentemente dalle coreografie altrui,  e il volatile proseguì anche lui per una buona ventina di minuti. Poi, senza una ragione apparente, spiccò rumorosamente il volo e scomparve nel primo sottobosco.  
Rientrati in albergo, i due andarono a cercare il Rinaldo Covina, che faceva un po’ da guida per i turisti e aveva dimostrato di saperne più di tutti su piante e animali del posto.
“Era senz’altro un Gallo Forcello,  o Fagiano di Monte se preferite. Ma non ce li avete voi, dalle vostre parti?"
“Adesso che lo hai battezzato, mi sembra proprio di sì. Devo averne sentito parlare qualche volta.  Ma stanno sempre su in alto, come qui. I nostri galli del fondovalle al massimo sono Padovani, come le galline."
"Non ne avevo mai visti neanche io" intervenne Bartolomeo. "Fino ad oggi almeno." 
"Allora venite con me, che ve ne faccio vedere un altro."
"Qui in albergo?"
"Sì, venite.."
Passarono attraverso le cucine, sfidando le ire dei cuochi già ferocemente impegnati nella preparazione della cena del Galà di Natale,  e arrivarono fino alla hall, dove la direzione aveva allestito il tradizionale Presepe. 
"Ecco: date un occhiata là, sul tetto della capanna" li invitò il Covina. I due si avvicinarono per guardare. Sulla tettoia che riparava la Natività c'era un gallo nero che non poteva essere che il loro amico Forcello. 
"Non mi vorrai dire che ce ne era uno anche a Betlemme!" Protestò Bartolomeo. 
"No, no di certo. Però ci sono delle leggende che raccontano di come durante la notte di Natale, il primo Natale intendo, un gallo nero abbia cantato dal momento della nascita di Gesù fino all'alba successiva. Per portare al mondo la lieta novella, dicono alcuni. Oppure per tenere lontani i diavoli del deserto, sostengono altri. Insomma, il perché con si sa, ma comunque ha cantato."
"Ma davvero?"
"Proprio così, ne parla anche Shakespeare nell'Amleto. Qualcosa del genere, comunque."
"Beh, ma che c'entra il nostro gallo?"
"E' un'idea del nostro Don Giulio. Dice che dai versi che fa questo qui, è ovvio che deve essere stato lui a cantare tutta la notte da Gesù. E così si è giocato la voce.."
Dopo un istante di assestamento i due ragazzi scoppiarono in una sincera risata, risata a cui si unì subito anche la guida.
"Sarà venuto in montagna per curarsi" azzardò Agostino. "L'aria di queste parti è fenomenale per la gola, si sa."
"Comunque sono ancora più contento di aver fatto amicizia, oggi" commentò Bartolomeo. "E se è alle dipendenze dirette del capo lassù, speriamo che ci metta qualche buona parola, di tanto in tanto."
"Speriamo."
"Speriamo."

25 dicembre, Mottarone.


Bartolomeo si svegliò con gli occhi tutti appiccicati e la bocca che sapeva di segatura. Mamma mia, che festa. Avevano suonato prima, avevano suonato durante, e avevano suonato anche dopo, fuori, sulla neve. Le pive erano state un successone. Un Inglese, anzi, no: uno Scozzese, aveva anche provato a replicare un paio di melodie delle sue terre. Dove, diceva, si usavano degli strumenti molto simili ai loro. Il risultato non era stato all'altezza delle aspettative, ma tutti quanti si erano divertiti un mondo. Un Americano di Atlanta, Georgia, per un po' aveva requisito l’intera orchestrina cercando di far suonare quadriglie  e contraddanze, e anche un tipo di musica che lui chiamava "di campagna" e che giurava che prima o poi sarebbe partita dalla sua città alla conquista di tutti gli Stati Uniti d'America. Quelli veri, quantomeno. Ma il culmine della serata era stata la Messa di Mezzanotte, era perfino arrivato un prete apposta da Varallo per celebrarla. A Don Giulio non era piaciuto per niente, ma era un amico di famiglia dei proprietari. E poi lui non sarebbe potuto venire, ad ogni modo. Avevano bevuto troppo, e dormito troppo poco, ma adesso era ora di muoversi. Agostino era già più avanti, aveva recuperato un po' degli avanzi che avevano raccolto nelle cucine la sera prima e stava facendo colazione. "C'è la nebbia" dichiarò. 
"Hai guardato fuori?"
"No, mi hanno mandato un telegramma. Certo che ho guardato fuori."
"Nebbia o non nebbia, noi dobbiamo andare."
"E chi dice di  no? Però c'è la nebbia."
Mandato giù qualche boccone e preparato il necessario, i due si avventurarono all'aperto. 
"Caspita che nebbia!" esclamò Bartolomeo appena superata la porta. 
"E che ti avevo detto?"
"Sì, ma non mi aspettavo che fosse così spessa. Speriamo che si sollevi."
"Tecnicamente sono nuvole, ed è difficile che si sollevino più di tanto. Al massimo si diradano. O si spostano."
"Quello che è. Basta che si levino dalle scatole. Non si riesce neanche a capire da che parte si deve andare."
"Beh, non esageriamo. La pista si vede ancora."
"Più o meno. Comunque muoviamoci. Sono tutto rintronato, magari questo fresco mi rimette a posto."
"O ti ammazza. Dai andiamo."
Pochi minuti dopo la via era già perduta. Avevano probabilmente voltato a sinistra dove avrebbero dovuto voltare a destra. O erano andati dritti. O qualcos'altro. Di fatto, l'ultima discesa li aveva portati a un punto morto, con il bosco da una parte ed un versante impraticabile dall'altra. O, almeno, così sembrava. 
"E qui dove siamo, adesso?"
"Ne so quanto te. Sono dei pinnacoli quelle ombre laggiù?"
"O forse una cima." 
"Non ce ne dovrebbero essere lungo la pista."
"Non lungo quella giusta, quantomeno."
"Dici che ci siamo persi?"
"Sembra proprio di sì, a meno che... Ma cos'è questo rumore?" dalle chiazze di rododendri che spuntavano dalla neve proveniva uno strano risucchio, seguito spesso da un borbottio a metà strada tra il verso del piccione e quello del tacchino. 
"Deve essere uno di quei galli." 
Improvvisamente dalla  macchia sbucò una testolina nera sormontata da due 'sopracciglia' di un bel rosso vivo, cancellando ogni possibile dubbio. "Magari è proprio il nostro amico" azzardò Agostino.
"Può essere. Quanti mai ce ne saranno, qui?"
Intanto il Forcello si era fatto avanti.  Arrivato a circa un metro dai due Pivari si fermò ad osservarli in quella che non poteva essere altro che una posizione di attesa. 
"Mi dispiace, bello mio, ma questa volta non abbiamo il tempo per fermarci a suonare. Nemmeno per tirar fuori gli strumenti, a dire il vero. Ma ci ha fatto piacere incontrarti, se sei sempre tu."
Il Gallo li scrutò ancora per un secondo o due, poi girò sugli speroni e si avviò sui suoi passi per qualche metro. Quindi si voltò nuovamente e tornò a fissarli.
"Ma cosa vuole, secondo te?" domandò Bartolomeo più a se stesso che al socio, muovendosi quasi automaticamente verso l'animale. "E adesso che fa?" Il Gallo si era allontanato di qualche altro metro, come per mantenere le distanze, ma poi si era fermato nuovamente a guardarli.
"Secondo me vuole che lo seguiamo" rispose alla fine Agostino.
"E dove?" 
"Cosa vuoi che ne sappia. Magari ci vuole presentare la famiglia."
"Facile."
"O magari conosce una strada per scendere a valle."
"E magari ci porta lui in bicicletta."
"Bravo, fai anche lo spiritoso, così si offende e ci molla qui." 
"Ma non starai pensando di seguirlo sul serio?"
"Abbiamo fatto cose più strane."
"Dimmene tre."
"Comunque, che altra scelta abbiamo? Non si vede un accidente, non sappiamo dove siamo o da che parte andare, e intanto Don Giulio tra una mezz'ora al massimo scende a Gozzano, che ci siamo o no."
"Un po' ci aspetta, l'hai sentito."
"Un'altra mezz'ora al massimo. Poi deve partire, altrimenti non arriva in tempo neanche lui."
"E allora seguiamo il  Gallo?"
"Hai un'idea migliore?" 
Bartolomeo si girò verso il volatile. "Allora vada pure, signore. Noi la seguiamo."
Come a dimostrare di aver compreso il messaggio, il Gallo si avviò immediatamente, seguito alla meglio dai due Pivari ancora montati su sci. A volte spiccava il volo per brevi tratti, sempre preoccupandosi però di rimanere in vista. A volte risaliva il pendio o scalava una gobba, con i due amici che arrancavano dietro avanzando a"liska di pescie", come diceva Thomas. Per la maggior parte del tempo, però, si limitava a guidarli giù lungo un tracciato che vedeva solo lui e che consentiva anche ai due principianti di tenere il passo. Dopo un viaggio durato un'eternità, anche se poi non doveva essere stata neppure un'ora, la foschia prese a diradarsi. Il cielo si fece più luminoso, e qua e là cominciarono a comparire i contorni delle nuvole (o dei banchi di nebbia), agitati da una brezza invisibile ma piuttosto vigorosa. Infine apparvero i primi squarci di sereno, e tutto d'un colpo il gruppetto si trovò allo scoperto, al centro di un'incantevole prato innevato. Il Forcello si arrestò nuovamente, voltandosi per controllare il risultato. Poi gloglottò sonoramente un paio di volte ed infine volò via, rientrando nel nebbione e sparendo alla vista.
"Tanti saluti anche te, amico mio. E grazie per il passaggio" gli gridò dietro Agostino.
"E Buone Feste, quelle rimaste  almeno. Ci rivediamo tra qualche giorno" completò Bartolomeo. "Ma tornando a noi, hai capito dove siamo finiti? Non vedo i Laghi, né a destra né a sinistra. E anche queste montagne qui davanti non mi suonano giuste, anche se in un certo qual modo mi sembrano familiari."
"Giù a Sud c'è una città piuttosto grande, potrebbe essere Gozzano. O Borgomanero."
"Non mi quadra. E' troppo grossa. E poi, se lo fosse, il Lago d'Orta sarebbe proprio qui di fianco. Dove invece c'è quel fiume."
"Aspetta: lo so io dove siamo.  Quello è il Cervo, e la città a valle è Biella."
"Lo sapevo. Sei impazzito."
"Ma no, guarda: Rosazza (lo vedi il castello?), San Paolo, Sagliano e..”
"Andorno! Ti venisse un colpo, siamo a neanche un ora da casa!"
"Ed è tutta discesa."
"Ma come è possibile?"
"Merito della nostra guida, immagino."
"Ammesso e non concesso, la domanda rimane: come è possibile?"
"Avrà piazzato quella buona parola presso le sue amicizie altolocate, ricordi? Francamente, non lo so e non mi importa. L'unica cosa che conta è che se ci diamo una mossa invece di stare qui a friggere aria, magari riusciamo ad arrivare a casa per il pranzo. 
"Giusto. Allora scendiamo."
Precipitarono a valle ad una velocità che neanche una valanga avrebbe potuto eguagliare, raggiungendo le prime abitazioni del paese in anche meno dell'ora preventivata. Per caso o per combinazione, che poi è la stessa cosa, la prima persona che incontrarono fu il Giuseppe, cioè il cognato di Agostino. 
"Ma guarda un po' chi si vede, i due artisti. Ma non dovevate rimanere su all'albergo fino a Natale?"
"Già. E difatti che giorno è oggi?"
"La Vigilia."
Il Beppe non era il suo parente (o affine) più sveglio.
"No, caro. La vigilia era ieri, e di conseguenza oggi è Natale. 
"Ascolta: non so che calendario usiate su in montagna, ma qui oggi è la Vigilia, e il Santo Natale è domani. E se non credi a me, credi al parroco. Don Dino, che giorno è oggi?"
Il parroco stava giusto passando di li. "Ma hai già bevuto a quest'ora Beppe?"
"No, è mio cognato che ha dei problemi con il calendario."
"E' la Vigilia di Natale. Perché, che credeva?"

24 dicembre, Tavigliano.

La messa di Mezzanotte stava per incominciare. Agostino raggiunse Bartolomeo per scambiare due parole, dal rientro in paese i due non avevano più avuto occasione di incontrarsi. 
"Sai," attaccò, "questo pomeriggio pensavo che sarebbe stato divertente riuscire a rientrare in Albergo in giornata, giusto per vedere le nostre facce nel vedere le nostre facce."
"Curioso, non mi era venuto in mente. In effetti sarebbe stato divertente."
"E invece siamo qui. E ad ogni modo non so se mi sarei creduto."
"Forse dovremmo dire che siamo 'anche' qui'."
"Certo che è un Natale strano questo." 
"Un doppio Natale. Un Natale Forcello."
"Già, proprio Forcello."
"E allora facciamoci gli Auguri"  
"E allora Buon Natale. Buon Natale di qua e di là."
"Buon Natale a Noi, Buon Natale a Tutti."


E Buon Natale anche ai lettori.


Natale Forcello by Fabrizio Burlone is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

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Illustrazione di Eugenio Bausola

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